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9. Lea Sestieri 30.03.1995

Bibbia > 3° Corso di cultura biblica: Gesù di Nazareth, ebreo di nascita cristiano di adozione (1994-1995)



trascrizione integrale


La distruzione di Gerusalemme e le nuove strutture

2) Giudaismo rabbinico e tradizione talmudica



SOMMARIO

I. Inizio ed evoluzione del giudaismo rabbinico
a) da Ezra (sec. V a.e.v.) alla rivolta di Bar Kokhba (sec. Il):
I
soferim: le prime scuole - I tannaim: Mishnah, Tosefta
b) Dal sec. IlI al sec.VII:
Le Accademie di Yavne, Usha, Tiberiade (Palestina) - Le Accademie di Sura e Pumbedita (Babilonia)

II. I testi
Talmud
Yerushalmi (di Gerusalemme), Talmud Babli (Babilonese), Targumim, Midrashim

III. La liturgia

IV. Il pensiero del giudaismo rabbinico-talmudico

V. Conclusioni



I. Inizio ed evoluzione del giudaismo rabbinico

a) da Ezra (sec. V a.e.v.) alla rivolta di Bar Kokhba (sec. Il):
I
soferim: le prime scuole - I tannaim: Mishnah, Tosefta

Lévinas, uno tra i più apprezzati filosofi ebrei viventi, profondo conoscitore del Talmud come dimostrano alcuni suoi commenti tra lo storico-filosofico e la modernità d'interpretazione, definisce il giudaismo rabbinico con queste parole: «II giudaismo rabbinico è il principale avvenimento della spiritualità ebraica. Se non vi fosse il Talmud non vi sarebbero ebrei» (
Difficile libertà, p. 201).
Osservazione che ha la sua ragione d'essere sia dal punto di vista storico sia da quello della fede.

Nel precedente incontro, ricordavo che alcuni studiosi indicano in Ezra l'iniziatore del giudaismo rabbinico. È infatti, secondo il testo biblico, nell'epoca di Ezra che si comincia a leggere e a spiegare con una certa regolarità la Torah.
Il verso di
Geremia 23,29: «Non è forse la mia parola come fuoco e come un martello che frantuma la roccia?» e il verso 12 del Salmo 62: «Dio l'ha enunciato una volta, io l'ho inteso due volte» hanno probabilmente suggerito ai primi soferim (scribi) l'interpretazione che la parola del Signore ha molteplici aspetti, come sarà detto più tardi nel Talmud: «Come il martello divide la roccia in una moltitudine di frammenti (chiaro riferimento al verso di Geremia), un solo testo biblico da luogo a molteplici interpretazioni» (Sanhedrin 34a).

La parola interpretata passa prima agli scribi e poi ai rabbini, come insegna un verso di un altro trattato del Talmud: «Finito il tempo profetico Dio ha parlato attraverso i maestri rabbini» (
Yoma 9b). La volta precedente abbiamo detto che con Aggeo, Malachia e Zaccaria si ritiene finito il tempo dei profeti e comincia quello dei rabbini, Dio parla per mezzo dei maestri rabbini.

Qualcosa ancora più chiaro leggiamo all'inizio del
Pirqé Avot (Capitoli dei padri). Si riferisce alla Grande Assemblea, un’assemblea di dotti. Qualcuno dice che fu fondata addirittura da Ezra, in realtà nacque subito dopo, se non nel V sec., sicuramente nel IV. Intorno ai secoli V - IV, più sicuramente nel III, dominò la vita culturale e giuridica della comunità ebraica in Terra d'Israele.
Pirqé Avot comincia con queste parole: «Mosè ricevette la Torah dal Sinai e la trasmise a Giosuè; Giosuè agli Anziani (probabilmente i Giudici) e gli Anziani ai Profeti; ed i Profeti la trasmisero ai membri della Grande Congregazione. Questi ultimi dissero tre cose: “Siate lenti nel giudizio, educate molti discepoli e fate argine alla Legge (Torah)”».

La citazione suggerisce alcune osservazioni. Se nell'interpretare - e questa volta si sta interpretando la Torah, la parola di Dio - si seguono solo il pensiero, le proprie tendenze, la propria ispirazione, in quest'epoca soggette a varie influenze esterne, si corrono rischi di falsificazioni e sovvertimenti pericolosi del pensiero originario.
Per questa ragione l'inizio di
Avot vuol essere un consolidamento della tradizione scritta e orale. Si vuol indicare che il pensiero espresso e che si esprimerà, è frutto sia dell'insegnamento scritto (Torah she biktav) che di quello orale (Torah she bè al pe).

Le parole usate in questo brano sia per "ricevere" (è Mosè che riceve), sia per "trasmettere" (è Mosè che trasmette a Giosuè), sono due parole che attraverso i millenni hanno indicato la “tradizione”. Ed esattamente
quibbel ("ricevere") da cui deriva qabbalah ("tradizione", più tardi usata soltanto per la tradizione mistica) e masar ("consegnare", "trasmettere"), da cui deriva l'altra parola che usiamo sempre per tradizione, massoret ("tradizione"), cioè la tradizione che si riceve e quella che si trasmette.
È quindi già presente in questa citazione il doppio aspetto della tradizione.

Infine si presentano tre concetti essenziali:
"Siate lenti nel giudizio". La giustizia esercitata con moderazione è uno dei tanti avvertimenti che si ritrovano nella letteratura rabbinica dove si raccomanda di considerare per ogni problema le sue caratteristiche specifiche.

"Educate molti discepoli". L'educazione di numerosi discepoli è propria di quest'epoca, del I secolo e del tempo
immediatamente prima della distruzione di Gerusalemme. Il detto indica che bisogna allargare, aumentare il numero dei discepoli, diffondere nella forma più ampia la conoscenza.
Su questo tema, che può sembrare perfino ovvio, vi furono discussioni molto serie nel I sec. a.e.v. tra le due scuole di Hillel e Shammai. Hillel sosteneva la necessità della scuola aperta, senza distinzione di censo e di carattere morale degli allievi; Shammai pretendeva qualità specifiche dagli alunni: che fossero modesti in senso morale, di famiglia nobile e ricca, e che fossero intelligenti.

"Fate argine alla legge". La “siepe intorno alla Torah” è un'espressione che ritorna continuamente e spesso questo principio è stato considerato come un volersi allontanare dal mondo circostante, una specie di esclusivismo.
L'intenzione dei rabbini era senz'altro quella di creare barriere protettive, ma protettive nel doppio significato: verso le influenze esterne ed anche verso le esagerazioni interne integraliste, fornendo norme che impedissero di entrare nel campo del divieto più rigoroso. Il Talmud infatti mette in guardia perché la siepe non finisca per danneggiare la vigna.


Le prime scuole di studio della Torah furono molto probabilmente organizzate dai soferim, ossia dagli scribi.
Tra i nomi più noti ricordati nella Magna Congregazione figurano nel III sec. a.e.v. Simeone il Giusto; nel I sec. a.e.v. Simeon Ben Shetah, fratello della regina Salome Alessandra, molto attivo nell'organizzazione scolastica; nel I sec. e.v., alcuni anni prima della caduta di Gerusalemme, Yehoshua ben Gamaliel che cercò di organizzare scuole nelle varie città della Terra d'Israele. Ma è solo dal III sec. che si formarono accademie stabili.

Nel
Pirqé Avot si trova la divisione delle età in cui si debbono studiare i vari argomenti: a cinque anni si ha l'età per lo studio della Bibbia, a dieci per la Mishnah, a tredici per compiere i comandamenti, a quindici per il Talmud e a diciotto per il matrimonio.

Le scuole più antiche di cui si ricorda il nome sono quelle di Shammai e di Hillel, considerate le prime scuole tannaite, cioè di quegli studiosi
tannaim i cui insegnamenti furono poi raccolti nella Mishnah redatta da R. Yehudah Hanasi alla fine del II sec., dopo la prima e la seconda rivolta contro i romani.
Si tratta di una raccolta che abbraccia come minimo studiosi di tre secoli se partiamo da Hillel e Shammai fino al II sec., ma ci si può spingere indietro fino al V sec. arrivando a Simeon Ben Shetah e a Simeone il Giusto. Si parla generalmente di cinque generazioni di
tannaim.

Vediamo il significato delle parole. Abbiamo parlato di
tannaim e di Mishnah, la parola tanna è il corrispondente aramaico dell'ebraico shanah che significa "ripetere", "imparare", "insegnare"; shenaim è il numero due in ebraico, quindi shanah è qualcosa che si ripete e se si ripete serve ad imparare.
Ma la ripetizione fa anche parte dell'insegnamento, quindi il
tanna è l'insegnante e Mishnah può significare ripetizione in quanto studio.

Per chiarire la formazione del testo della Mishnah, così importante ed essenziale nel giudaismo rabbinico, è opportuno risalire al fondatore, anche se non è stato lui a farne la redazione, ossia al rabbino fariseo Yohanan ben Zakkai, discepolo di Hillel, che durante l'assedio di Gerusalemme riuscì a fuggire con un inganno dalla città e ad ottenere da Vespasiano, in quel momento ancora in Giudea, la concessione di aprire una scuola a Yavne (Yamnia).
Di fronte alla distruzione della città e del Santuario, si dedicò con tutte le sue forze di uomo pio e di cultura ad elaborare un programma per la sopravvivenza e la ricostruzione della fede ebraica. Considerava infatti che causa della distruzione del Tempio fosse stata «la mancanza di applicazione nello studio della Torah» (
Mekilta [misura] su Es 19,1-2).
Insieme con i suoi discepoli cercò di offrire un programma di vita religiosa di ampia portata, capace di affrontare le vicissitudini della storia d'Israele, compresa la mancanza del Tempio.

Mentre gli avvenimenti politici diventavano sempre più complicati e sorgeva una nuova rivolta, quella di Bar Kokhba contro Roma, a Yavne illustri discepoli di Yohanan continuavano a portare avanti il suo programma. I nomi più conosciuti sono quelli di Gamaliel ll della famiglia di Hillel, R. Aqiba, R. Shimon bar Yochai, R. Meir, per ricordarne solo alcuni.

La sconfitta di Bar
Kokhba e la completa distruzione di Gerusalemme, diventata Aelia Capitolina, non fermano gli studiosi. Alcuni di loro muoino tra i tormenti, come i dieci rabbini martiri che avevano appoggiato la rivolta di Bar Kokhba.
Si conosce il racconto del martirio di uno di loro, R. Aqiba, che muore pronunciando l'ultima parola “Uno” del primo verso dello
Shema': “Ascolta Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è Uno”.
Lo stesso testo riporta il dialogo con i discepoli che gli chiedevano: “Come puoi essere cos
i contento nel momento in cui stai soffrendo tanto?” e R. Aqiba risponde: “Non sapevo come avrei potuto servire Dio - Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze - non sapevo come avrei potuto compiere ciò, in questo momento sono contento perché lo sto realizzando”.

Altri, quelli che restano in vita, continuano nell'opera intrapresa, tra di essi vi sono i due grandi R. Meir (130-160) e R. Yehudah Hanasi (160- 195).
Si viene così formando la raccolta dei detti dei
tannaim, dal tempo di Shammai ed Hillel fino ai contemporanei. Si parla di una prima Mishnah di R. Meir e se ne ricorda anche una di R. Aqiba.

Verso la fine del ll secolo a Usha, dove si era trasferito dalla località di Yavne, R. Yehudah Hanasi, soprannominato il Santo Rabbi, completa il testo della Mishnah in sei ordini:
Zeraim (Agricoltura) preceduto dal testo delle Benedizioni Berakhot perché «non è lecito godere delle cose di questo mondo senza pronunciare una benedizione» (Ber 35a); Mo'ed (Feste); Nashim (Donne); Neziqin (Danni) che si conclude con il Pirqé Avot; Qodashim (Sacrifici); Tahorot (Purità). I sei ordini sono divisi in sessantatre trattati, capitoli e paragrafi.
È
probabile che proprio la difficile situazione politica e il pericolo di dispersione abbia spinto Rabbi il Santo alla redazione.

La lingua della Mishnah è l'ebraico cosiddetto mishnico. L
o stile è retorico, teologico, e molto tecnico.
Il fine dell'opera è fornire una guida ai giudici e ai maestri di religione, la compilazione ha infatti la forma di un codice in cui vengono annotate anche le opinioni contrarie con i rispettivi nomi dei rabbini. Nel testo sono registrati i nomi di 148
tannaim da Hillel a Yehudah.
In quello stesso periodo, per opera di R. Oshaya e R. Hija, viene redatta la Tosefta ("Aggiunta", "Complemento"), opera
halachica, cioè normativa, con la stessa struttura in sei ordini della Mishnah.
Durante il periodo di Yehudah II, nipote del redattore della Mishnah Yehudah Hanasi, la sede del patriarcato è spostata a Tiberiade.


b) Dal sec. III al sec. VII:
Le Accademie di Yavne, Usha, Tiberiade (Palestina) - Le Accademie di Sura e Pumbedita (Babilonia)

Tra i secoli III e VII
nelle accademie della Palestina (Yavne, Usha, Cesarea, Seppori, Lidda, Tiberiade) e in quelle di Babilonia (Nehardea, Sura, Pumbedita) si studia attentamente il testo della Mishnah, si discute sulle varie halakhot per trovare formule più adatte alle nuove situazioni.
Gli studiosi della Mishnah sono chiamati
amoraim (interpreti). Essi compilano con le loro discussioni la Ghemarah (gamar), "Completamento" delle norme date dalla Mishnah.



II. I Testi

Il Talmud Yerushalmi (di Gerusalemme) - il Talmud Babli (Babilonese)


In Palestina il lavoro degli
amoraim tende soprattutto a dare spiegazione dell'halakhah della Mishnah, completata però con il più disparato materiale aggadico, cioè omiletico, e con interpretazioni bibliche.
Gli ordini considerati non sono sei, ma solo i primi quattro, ed i trattati trentanove sui sessantatre della Mishnah. Si forma così il Talmud palestinese o Yerushalmi (gerosolomitano) che si considera terminato nella prima metà del V sec. quasi certamente a Tiberiade, ed è scritto nell'aramaico di Galilea.

R. Abba Arika, nella prima metà del III sec., arriva a Babilonia dalla Palestina con il testo della Mishnah e fonda la scuola di Sura che dura quasi otto secoli.
La sua intelligente attività da impulso allo studio e all'interpretazione dell'
halakhah per regolare il processo giudiziario e migliorare la morale della comunità.

Alla sua morte gli studiosi
amoraim continuano le loro discussioni e il lavoro di codificazione. Solo verso la metà del Vl sec. si considera completato questo lungo sforzo concluso da R. Ashi nell'accademia di Sura.
Il risultato è il Talmud babilonese che comprende trentasei trattati e mezzo sui sessantatre della Mishnah. Mancano i trattati di
Zeraim (Agricoltura) e Tahorot (Purità) perché le leggi agricole legate alla Terra d'Israele, come pure le leggi di purità collegate strettamente al culto del tempio, potevano essere omesse.
Il Talmud babilonese è il Talmud per eccellenza: vi si trovano riunite diversi tipi di leggende, aneddoti sui rabbini, memorie storiche, nozioni di medicina, biologia, matematica, astronomia, astrologia. È una specie di “biblioteca nazionale” del giudaismo babilonese.

Per quanto riguarda l'
halakhah sembra che il Talmud babilonese «volga l'attenzione alla teoria e alla pratica sociali ed economiche più che alla teoria e alla pratica puramente rituali... Sono le leggi concernenti la vita economica, la vita della famiglia e della comunità che costituiscono il grosso e l'essenziale della halakhah babilonese» (Baron, vol. II, p. 1007).
La parola
halakhah significa cammino, strada. Ancora oggi, quando si dice che uno va da un posto all'altro a piedi, si usa il verbo lalekhet che ha la stessa radice di halakhah. Questo termine indica il cammino che si deve seguire per arrivare o avvicinarsi a Dio, per poter compiere la parola divina.

In riferimento ai due aspetti essenziali dell'interpretazione talmudica, l'
halakhah e l'aggadah, cito Nahman B. Bialik, un poeta ebreo della prima metà di questo secolo: «L'halakhah ha volto severo, l'aggadah ha volto ridente. L'una è meticolosa, rigida, esigente, più dura del ferro; è la voce del diritto; l'altra è liberale, indulgente, condiscendente, più molle dell'olio; è la voce della bontà. L'una impone una legge e ne esige la rigida osservanza, l'altra da un consiglio, tenendo conto della capacità e della volontà umane. L'una è la scorza, il corpo, l'azione, l'altra è l'interno, l'anima, l'intenzione devota. L'una è l'impero della ragione; l'altra è la dolcezza della poesia, l'impero del sentimento» (N.B. Bialik, Halakhah e Aggadah, Opere complete, Tel Aviv 1933, p. 334).

Tra il V e il VI sec. i due Talmudin sono ormai compilati. Da quando il lavoro d'interpretazione è cominciato, da quando lo studio, l'adattamento tra la Torah scritta e quella orale ha iniziato il suo cammino di attivo aggiornamento, sono passati circa dieci secoli, mille anni partendo da Ezra, V sec. a.e.v., è incredibile.
I saggi che si sono alternati sono stati circa duemila. Ma la cosa ancor più sorprendente è che anche se i testi iniziali, Mishnah e Ghemarah che formano il Talmud, restano fissi sia nel Talmud
Yerushalmi che nel Babli, i commenti, le spiegazioni, le aggiunte, le domande e risposte, continuano ad aumentare ancora ai giorni nostri. Alcune persone d'Israele mi hanno detto che sta venendo fuori una gran quantità di nuove sheelot e teshuvot, ossia domande e risposte sui testi talmudici.

La pagina del Talmud
Babli, nella prima edizione stampata a Venezia (Daniel Bomberg, 1520-23), contiene in una colonna centrale la Mishnah e la Ghemarah, nel lato interno delle pagine il commento di Rashi (vissuto a Troyes nel sec. XI), nel lato esterno le Tosafot (Aggiunte) della scuola di Rashi; ai margini le sheelot e teshuvot (domande e risposte) sorte nei vari secoli.
Questo studio, questo lavoro continuo sul testo originario della Mishnah, è la dimostrazione che la Torah orale, rappresentata dalla Mishnah
, continua ad essere viva.

Il filosofo Maimonide redige nel suo testo
Mishneh Torah un ordine sistematico delle intere halakhot, ossia delle norme espresse nel Talmud.
Nel XIV sec. Jacob ben Asher scrive un primo compendio con il titolo
Arba'a Turim (Quattro porte). Ma il testo considerato ancora oggi di diritto vigente, estratto dalle norme talmudiche, è lo Shuihan Arukh (Tavola apparecchiata, raccolta delle halakhot del Talmud) realizzato da Yosef Karo nel 1554, un ebreo di Spagna espatriato nel 1492, che compone il suo lavoro tra Salonicco e la Palestina.

Prima di riferirmi ad altri testi della stessa epoca e al pensiero del giudaismo rabbinico, vorrei darvi brevemente un chiarimento sul
Pirqé Avot, un'idea del sistema usato, leggendovi il breve passo di un testo talmudico.
Il
Pirqé Avot chiude il trattato Neziqin (Danni) sul diritto penale. In verità può sembrare un'aggiunta un po' anomala in quanto si tratta di una raccolta di detti di valore soprattutto morale, ma se si parla di danni e s'insegnano i valori morali, può darsi che i danni siano un po' evitati.
Sono cinque capitoli, più un sesto (un’aggiunta,
baraita, di R. Natan) che possono essere considerati vere e proprie pagine di morale ebraica in cui si sottolinea la relazione dell'uomo con la Torah.

Le traduzioni, anche in italiano, sono molte. Ricordo quella di Joseph Colombo pubblicata da Carucci nel 1977, e soprattutto l'ultima di Alberto Mello,
Detti dei Rabbini pubblicata da Qiqajon, Comunità di Bose, nel 1993, che è veramente ottima perché ha dei commenti interessantissimi per ognuna delle sentenze. Apre con una citazione talmudica da Baba Qama 30a: «Chi vuole diventare santo deve fare sue le parole di Avot» per sottolineare quanto l'importanza di queste sentenze fosse riconosciuta nell'epoca mishnica e talmudica.

Dato che ci siamo riferiti varie volte a Hillel, cito alcuni suoi detti tratti da
Avot I e II:
«Ama la pace ed introducila dappertutto»; «Ama gli uomini ed avvicinali alle leggi di Dio»; «Non giudicare il tuo prossimo senza metterti nella sua situazione»; «Se io non mi occupo di me, chi lo farà? e se solo mi occupo di me, che valgo?» (c'è un libro di Primo Levi con questo titolo); «La molta carità conduce alla pace».
E infine un detto che si trova in
Talmud Shabat 31a: «Non fare al tuo prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la legge, il resto è commento. Va e studia». Certamente conoscete la storia dell'ebreo che prima va da Shammai e gli chiede di spiegargli che cos'è l'ebraismo nel brevissimo tempo in cui riusciva a stare su una sola gamba. Shammai lo butta fuori di casa mentre Hillel gli risponde con questo detto.

Tornando al Talmud, le discussioni interminabili tra i vari
amoraim danno l'impressione che sia una cosa difficilissima da seguire, e lo è. Inoltre l'esagerazione delle spezzettature del testo può portare ad un lavoro troppo costrittivo.
Ad es. per il sabato, che Isaia definisce una delizia, il Talmud tira fuori ben trentanove lavori principali che non si possono fare nel giorno di sabato, elencati nella Mishnah (7,2) e dedotti dai lavori indicati in Esodo per la costruzione del Santuario. La cosa dovette sembrare un po' esagerata tanto che in
Yoma 85b si dice: «II sabato è stato dato a voi e non voi al sabato». Se no dove sta la delizia di Isaia?

Vi leggo dal libretto
di Emanuele Lévinas (Dal sacro al santo, Città Nuova, pp. 133ss.) l'esempio di una cosa complicata del testo talmudico. Non è di facile comprensione, ma se prendete il libretto di Lévinas, seguendo le spiegazioni che vi si trovano, capirete ciò che il testo vuol dire.
Si tratta di uno che provoca un incendio, il problema è se deve o no pagare. Siamo nell'ambito del diritto.
«Se qualcuno provoca un incendio che distrugge legno, pietre o terra, è tenuto al risarcimento (questa è la Mishnah) perché è scritto (sempre ci si riferisce ad un testo della Torah)
Es 22,6: “se il fuoco divampa, se trova i rovi, se una bica (covone) di grano si trova divorata o la messe sullo stelo od il campo di un altro, l'autore dell'incendio sarà tenuto a pagare”. Ravà disse: “poiché il misericordioso scrive rovi ed una bica di grano, messe sullo stelo, campo, questo è indispensabile. Se il misericordioso avesse scritto soltanto rovi si sarebbe potuto credere che si esigessero riparazioni solo per i rovi, che sono particolarmente esposti alle fiamme e riguardo ai quali ci si rende spesso colpevoli di negligenza, e che non obbligasse al risarcimento per una bica di grano, raramente devastata dal fuoco e per la quale si usano precauzioni. Se il misericordioso avesse scritto soltanto bica di grano si sarebbe potuto credere che considerasse responsabile solo per una bica di grano che brucia e dove il danno è grande, ma che esentasse dalla responsabilità quando si tratta di rovi dove il danno è poco importante» e così continua (Babà Kama 60a-60b).
È molto interessante perché il ragionamento finisce con un raccontino aggadico.

Abbiamo finora parlato di Mishnah
e di Talmud, ma nei secoli in cui vengono compilati i due Talmudin, la letteratura ebraica ed aramaica è molto ricca e non ci si può limitare solo al ricordo di questi due testi.

Insieme all’interpretazione normativa, caratteristica essenziale dei Talmudin, si diffonde il
midrash aggadah, cioè l’interpretazione omiletica, la parabola, la leggenda, il particolare storico, l'aneddoto, il discorso e la predicazione morale, la distrazione, il lato piacevole della vita. I rabbini dicevano: «Volete fare la conoscenza di Colui che parlò e il mondo fu? Studiate l'aggadah».
Le opere che nascono da questa interpretazione sono i Targumim
e i Midrashim.


Targumim

Targum è la traduzione aramaica dei testi biblici. In realtà è più di una traduzione, è una spiegazione arricchita di dettagli.

Ricordo il targum babilonese
Onkelos (sec. II-III) che in molte edizioni accompagna il testo ebraico della Torah, ed altri due targumim palestinesi Neofiti (sec. VII–VIII) il cui testo è stato ritrovato molto recentemente, nel 1956 nella biblioteca vaticana, e Jonathan ben Uzziel (sec. VII-VIII) di cui Le Daeaut ha pubblicato un'ottima traduzione francese.

Vi do un brevissimo esempio per dimostrare che si tratta di interpretazioni più che di semplici traduzioni.
In
Gn 6,2 si dice: «I figli di Dio videro le figlie dell'uomo che erano belle».
Il targum
Jonathan dice: «I figli di Dio videro le figlie degli uomini, erano belle con gli occhi dipinti, i capelli arricciati e camminavano scoprendo la loro carne; concepirono pensieri di depravazione».
Come vedete, è qualcosa di più di una traduzione.
Nel verso successivo il testo dice: «II Signore disse (proprio prima del diluvio, cap. 6, quando sembrava che tutto andasse male): "Il mio spirito non rimanga sempre perplesso nei riguardi dell'uomo considerando che è di carne; gli darò tempo centoventi anni perché si riprenda”».
Il targum
Neofiti dice: «Nessuno delle generazioni che debbono sorgere in avvenire sarà giudicato secondo il giudizio della generazione del diluvio. In verità il mondo della generazione del diluvio è sigillato davanti a me: essa sarà distrutta e annientata in mezzo al mondo. Ecco io avevo dato il mio spirito ai figli degli uomini perché sono carne e le loro opere sono cattive (e quindi con la speranza che rimediassero). Ecco io ho dato loro un tempo di centoventi anni perché facessero penitenza ed essi non l'hanno fatta».
Il targum
Onkelos è molto più vicino al testo e meno interpretativo.


Midrashim

La letteratura midrashica è veramente molto ricca, anche se non tutto è arrivato fino a noi. I midrashim più noti sono quelli al Pentateuco e alle cinque Megillot.

Una classificazione generalmente accettata distingue quattro periodi: il periodo classico dal 400 al 600, il periodo intermedio fino all'anno mille, il periodo tardo fino al 1200, il periodo delle antologie fino al 1550.

Il periodo classico al quale ci riferiamo, è il periodo in cui viene redatta la
Genesi Rabba e come scrive Riccardo Di Segni «si segnala dai successivi per lo stile, strettamente legato a precisi canoni espressivi, ed a forme letterarie perfette; per i contenuti, nettamente meno aperti agli influssi non ebraici circostanti e a quelli ebraici della letteratura apocalittica e pseudopigrafica».
La lingua è essenzialmente l'aramaico galileo.

Con queste interpretazioni parastoriche si cercava di consolare il popolo in un'epoca di distruzione e guerra. Nel
Shir hashirim Rabba (Midrash al Cantico dei cantici) si legge: «Disse R. Levi: "Prima quando si trovava il denaro, gli uomini desideravano sentire parole di Mishnah, di Halakhah, di Talmud, adesso che il denaro non si trova più, ed inoltre siamo malati di schiavitù, gli uomini non vogliono sentire altro che parole di benedizione e di consolazione"» (2,14).

Alcuni di questi testi sono stati pubblicati in italiano negli ultimi anni dalla UTET, la
Genesi Rabba nella traduzione di Alfredo Ravenna; da Città Nuova: II Cantico dei Cantici, II Canto del mare, la Sete del Dio vivente (su Isaia), i Salmi dell'Hallel (113-118); ed ultimamente da Qiqayon è stato pubblicato il Midrash Tehillim sui Salmi.

Vorrei darvi un breve esempio: «
Perché il mondo fu creato con la lettera Beth? Per insegnarci: come la Beth è chiusa da tutti i suoi lati, e aperta solo in avanti, così tu non sei autorizzato a indagare ciò che è in alto, in basso, in avanti e indietro, ma solo dal giorno in cui fu creato in poi» (Gen. Rabba 1).

Ed un altro esempio, di
carattere differente, su Es 2,10 quando Mosè bambino fu portato alla figlia del Faraone:
«La figlia del Faraone lo baciava, lo abbracciava, lo cullava come fosse suo figlio e non lo lasciava uscire dal palazzo reale. E siccome era molto bello, tutti desideravano vederlo e, vistolo, non riuscivano a staccarsi da lui. Il Faraone stesso lo abbracciava e lo baciava e il piccolo prendeva la corona del Faraone e se la metteva in testa. Ma i maghi egiziani che erano alla presenza del re, osservarono per questo gesto: noi temiamo che questo ragazzo sia proprio quello che è destinato a toglierti il potere. E perciò alcuni proponevano di ucciderlo, altri di gettarlo nel fuoco. In mezzo a loro si trovava Ytro, il futuro suocero di Mosè, il quale disse: “questo ragazzo non ha discernimento; provate! portategli davanti in un piatto dell'oro e della brace; se stenderà la mano per prendere l'oro è segno che ha discernimento e allora uccidetelo; se invece stenderà la mano verso la brace, è segno che non ha discernimento e non è giusto che sia condannato”. Fecero così e il bambino stava per stendere la mano verso l'oro, ma l'arcangelo Gabriele spinse la mano e gli fece prendere
la brace: egli la introdusse in bocca e la sua lingua ne rimase scottata» (Shem Rabba 1).



III. La liturgia

Con il sorgere e lo svilupparsi della sinagoga, e successivamente con la distruzione di Gerusalemme e la fine del culto sacrificale nel Santuario, nasce e si accentua un nuovo rapporto tra i fedeli e Dio.
Insieme allo studio costante della Torah sorgono preghiere individuali e si va formando quello che i rabbini chiamano “il servizio del cuore” (
Taanit 2a). Tali preghiere spontanee, improvvisate e non scritte, riflettono la spiritualità di quest’epoca così difficile, una spiritualità popolare non sempre dotta e ricercata, espressa con accenti di semplicità e libertà, talvolta perfino eccessiva.

In questo periodo è completata la preghiera delle
Diciotto benedizioni, alcune sono sicuramente anteriori all'epoca di Gesù, ma la redazione finale si pone verso il 100 e.v. (Beraknot 28b). Simeone, tessitore di lino, mette in ordine le Diciotto benedizioni a Yavne di fronte a Rabban Gamaliel.

A Abba Arika (sec. IlI), che abbiamo ricordato a proposito del
Talmud babilonese, si deve la preghiera Aleinu leshabei'ach (Noi ti lodiamo), una preghiera molto importante che si recita nel giorno di Capodanno. Si ringrazia Dio per aver allontanato il suo popolo dall'idolatria, si esprime la speranza che presto l'idolatria sparisca dalla terra, che tutti gli uomini riconoscano il vero Dio e venga così il Regno dei cieli.

Per brevità cito solo la preghiera con cui ogni ebreo dovrebbe iniziare la giornata: «Dio mio, l'anima che tu mi hai dato è pura. Tu la creasti, Tu la ispirasti in me, Tu la conservi dentro di me e Tu la riprenderai e me la restituirai in un tempo futuro. Finché
quest'anima sarà dentro di me, io ti renderò omaggio, o Signore Dio mio e Dio dei miei padri. Benedetto sii Tu Signore che restituisci le anime ai corpi morti» (Berakhot 60b).

I testi liturgici trovarono una prima espressione scritta in epoca talmudica (sec. VII). La più antica raccolta di preghiere (
siddur) sembra essere il Seder di R. Amram (sec. IX).

Dalle poche citazioni fatte appaiono alcuni aspetti dell'epoca talmudica: l'amore per la leggenda e la parabola; l'importanza dello studio, ma anche l'avvertimento di non eccedere in esoterismi; la mancanza del concetto d'impurità dalla nascita (abbiamo già visto: «l'anima che tu mi hai dato è pura»); la fede nell'immortalità dell'anima e nella resurrezione.



IV. Il pensiero del giudaismo rabbinico-talmudico

Il primo punto è chiaro già al tempo di Ezra: la fede nell’unità e soprattutto nell'unicità di Dio. Ma la grande preoccupazione biblica circa l'idolatria è ormai superata, l'interesse non è più centrato sull'unicità di Dio, ma sulla relazione Dio-uomo, uomo-Dio.
Non si discute più sul credere o non credere, la fede è premessa indiscussa. Si parla, si discute sulla condotta dell'uomo, sul comportamento dettato da un sistema di giustizia. La fede e il comportamento diventano una cosa sola, non esiste più la dicotomia tra uomo religioso e uomo sociale-economico.

La fede nella creazione del mondo per volontà di Dio, nella rivelazione fatta per amore di Dio sul Sinai, a
ppartiene ad Israele e a tutta l'umanità, per questo è stata data nel deserto.
Sono principi ormai acquisiti sui quali non si discute, appartengono ai misteri dell'Eterno.

Esiste invece, e qui avviene la discussione, una lunga casistica sulla natura dell'uomo e sui suoi rapporti con l'Eterno e con il prossimo, sul peccato e sulla
teshuvah (pentimento), sulla redenzione e sull'attesa messianica.

I
n questo periodo si è contrari alla speculazione metafisica e all'approfondimento della verità, si evita la formulazione di un credo e di dogmi.
Dio è una realtà e la sua unità è assiomatica, ma non è un’astrazione. Trascendenza ed immanenza esistono contemporaneamente nella mente ebraica. La sua energia creatrice opera eternamente nell'universo, l'uomo è chiamato a collaborare con Lui.

Dio è, come nella Bibbia, un'esperienza storica
della comunità, ci si rifà sempre al primo comandamento: «lo sono il Signore tuo Dio che ti trasse dalla terra d'Egitto». Nel momento in cui Dio si dichiara e richiede fiducia, esprime un’esperienza già fatta dal suo popolo. Fede, in ebraico 'emunah, vuoi dire fiducia.
Nello stesso tempo esiste un'esperienza individuale dell'uomo
religioso: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore» (Dt 6,6).
L'idea
costantemente presente è quella di un Dio giusto e misericordioso che con la sua Shekinah, ossia con la sua immanenza, accompagna in esilio il suo popolo. Dice il Talmud: «La Shekinah è dappertutto» (Baba Batra 25a), cioè l'immanenza di Dio è sempre con noi.

L'impronunciabile nome di Dio è quello che indica la sua misericordia. Per i nomi di Dio esistono varie spiegazioni. R. Abba ben Memel (sec. IlI) interpretava
i nomi divini così:
«Quando giudico le creature, avrebbe
affermato Dio a Mosè, sono chiamato Elohim; quando mi ricordo dei peccati dell'uomo sono chiamato El Shaddai. Infatti quando Dio parla con Mosè dal roveto gli dice: “Io mi sono rivelato ai patriarchi con il nome di El Shaddai”; quando faccio la guerra ai cattivi sono chiamato Zevaoth (Dio delle schiere); e quando ho pietà del mondo che ho creato sono chiamato con il tetragramma Jhwh» (Es. Rabba 3,6).
Ricordate che
El Shaddai (Dio Onnipotente) è il nome conosciuto da Abramo.

L
a misericordia di Dio è così grande che: «anche se 999 angeli attestano la colpa di un uomo ed uno solo prende le sue difese, il Santo Unico, benedetto sia, inclina la bilancia in suo favore» (Jer. Qidushin 61b) perché «Dio soffre per le sofferenze di ogni uomo. Quando si sparge il sangue di un uomo, anche se è un empio, la divinità geme» (Sanhedrin 65).
Dio soffre per l'uomo, sta nel suo cuore,
vicino a lui. Nel cap. 30 del Deuteronomio si dice che la parola di Dio non è troppo alta che tu debba salire nei cieli, né troppo lontana che tu debba attraversare il mare, ma è vicino a te nel tuo cuore. Infatti Dio sta nel tuo cuore, vicino a te.

Nel
Deut. Rabba uno dei midrashim dice: «Dalla terra al cielo c'è un cammino di cinquecento anni, ma appena un uomo sospira o magari medita una preghiera, Dio è lì ad ascoltarlo» (2,10).
Se Dio è lì ad ascoltare l'uomo è perché
lo ha scelto tra le creature come suo compagno nella creazione poiché: «Tutto ciò che è stato creato nei primi sei giorni ha bisogno di un'opera di completamento» (Gen. Rabba 11,6).

Il Talmud cerca di dare all'uomo, libero e consapevole di scegliere, non un'idea della rivelazione, ma l
'impegno verso di essa.
Il rapporto espresso
nello Shemà (Dt 6) consiste nell'osservanza della legge morale che comporta, secondo l'espressione rabbinica, l’imitazione degli attributi di Dio: «Come Egli è benigno sii anche tu benigno, come Egli è misericordioso, sii anche tu misericordioso, come Egli è giusto sii anche tu giusto» (Sifra Lv. 19,2). In Levitico 19,2 si dice infatti: «Siate santi come io sono santo».
Quello che si esige è soprattutto l'amore del prossimo: «Se qualcuno accoglie il suo prossimo con rispetto è come se avesse accolto bene la divina Provvidenza» (
Midrash Cantico dei Cantici 2,5).

La grande preoccupazione di quest’epoca è
l'esistenza dell'impulso cattivo nell'uomo, preoccupazione che non è stata superata: i rabbini infatti rimandano tutto al mistero di Dio.
Le due citazioni che riporto di seguito suggeriscono proprio questo: «Il Santo Benedetto ha creato due impulsi, l'uno buono l
'altro cattivo» (Berakhot 61a). «Se Dio creò le inclinazioni malvage, creò anche la Torah come suo antidoto» (Baba Batra 16a).
Varie sono le discussioni sull'impulso malvagio. Ci si chiede se sia innato oppure no. Risponde Rabbi Nathan in
Avot: è innato, l'impulso buono si manifesta nel tredicesimo anno, quando una persona comincia a capire e a partecipare alla vita religiosa.
Inoltre si discute, in un passo di
Sanhedrim, se l'impulso malvagio sia nell'essere umano fin dal momento della nascita o ancor prima della formazione dell'embrione.

Vi ho ricordato tutto ciò per farvi capire che sul problema esistono dubbi e preoccupazioni, ma non c'è dualismo, non c'è l'idea del
l'istinto malvagio che può provenire da un angelo decaduto, da un altro principio. È sempre Dio che crea i due impulsi.

Nella letteratura talmudica, come nel testo biblico, non esiste il concetto di peccato originale, cioè di una condizione di peccato presente per una colpa di cui non si ha diretta responsabilità. Lo abbiamo anche visto nella preghiera che ho prima citato. Ogni essere nascendo è esente da peccato: «Felice l
'uomo la cui ora della morte somiglia all'ora della nascita; come nascendo egli è esente da peccato, possa esserne esente quando morirà» (Jer. Berakhot 4a).

Cos’è il peccato? L'infrazione dei precetti. Ci si può difendere con lo studio della Torah; ma soprattutto è il pentimento (
teshuvah), il ritorno, ciò che può cancellare il peccato e ciò che il Signore aspetta.
Rabbi Meir diceva: «È così grande la conversione al bene che per un uomo che si pente, egli e tutto il mondo saranno perdonati» (Yoma 86b).
Pensate che il pentimento è tra le sette cose create prima del mondo: Torah, pentimento, paradiso, inferno, trono di Dio, tempio, nome del Messia (
Pes. 54a; Ned. 39b).

Legata al pentimento è, in un certo senso, l'attesa messianica. «Per quale merito verrà il Messia? Per merito della penitenza che è simile all'acqua ossia purifica come l'acqua» (
Gen. Rabba 2,4). «Grande è iI pentimento percesso fa avvicinare la redenzione» (Yoma 86b).

È vero che i rabbini del Talmud cercano di non stabilire periodi e modi della venuta del Messia, ma è anche vero che l'ansia e la tensione verso un'epoca di ristabilimento e di armonia si ritrovano in tutti gli scritti dell'epoca.
Nell'orrore della caduta di Gerusalemme, la tradizione fa nascere in quello stesso giorno il Messia che secondo alcuni vive a Roma, incatenato e coperto di piaghe.

La dottrina rabbinica sulla figura messianica è contraddittoria. Si pensa al Messia come ad un essere umano discendente da David, oppure a due Messia: uno discendente da Giuseppe che farà la guerra (ricordate le guerre di Gog e Magog di Ezechiele)
e poi morirà (Gn. Rabba 42,4) e l'altro davidico che ristabilirà la pace nel mondo e allora i morti risusciteranno, il male scomparirà, gli uomini saranno immortali.

È molto presente la domanda: da cosa può dipendere l'avvento messianico?
Nei testi biblici tale avvento non è presentato come risultato dell'azione dell'uomo, solo Dio decide il quando e il come.
Ma i rabbini del Talmud sentono la necessità di co
involgere l'uomo nella sua venuta. Si parla allora di penitenza e pentimento, dell'osservanza globale di un solo sabato (Taan 64a).
Ed infine, ricordando la fede nell'anima immortale preesistente al corpo, la quale dimora nel settimo cielo prima di discendere nell'embrione, si dice che il Messia apparirà quando tutte le anime si saranno incarnate (
Hag. 12b; Jer. Jeb. 62a).

Insieme all'attesa c'è anche il timore di quello che succederà prima della sua venuta, si parla delle doglie dell'epoca messianica. Ulla dice: «Che venga il Messia, ma possa io non vederlo!», Rabbah dice lo stesso, ma Rabbi Yossi dice: «Che egli venga e che io meriti il favore di sedermi all'ombra del suo asino», e Rabbah conclude: "Tutti i pronostici fatti intorno all'epoca della venuta del Messia sono falliti. Ora la cosa non dipende che dalla penitenza e dalle buone opere" (
Sanhedrin 98b).

Come sarà la futura realtà messianica? Secondo
Es. Rabba 15,21 vi saranno profonde trasformazioni anche nella natura, la luce sarà moltiplicata, l'acqua sarà abbondante. Gerusalemme sarà ricostruita e regnerà pace tra gli animali, la natura e l'uomo.
Il Messia annuncia il Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace per tutta l'umanità. Il Regno dei cieli è visto come una preparazione per il compimento del Regno nel mondo soprannaturale ed è realizzato qui sulla terra, con la guida di Dio, dalle mani stesse dell'uomo che opera in termini di giustizia individuale e sociale.
Si potrebbe quasi dire che l'idea rabbinica del patto tra Dio e Israele consiste nel preparare il Regno di Dio, che per l'ebraismo vuol dire l'impero del divino e del giusto nel mondo. Così come nella vita di tutti i giorni, anche per l'avvento del Messia e del Regno di Dio, l'uomo è socio di Dio e responsabile del tempo e della realizzazione di tali avvenimenti.



V. Conclusioni

In conclusione, negli scritti cos
iddetti rabbinici e nel giudaismo che ne scaturisce, si ritrovano approfonditi e vissuti i punti essenziali della spiritualità ebraica che si è manifestata attraverso i secoli: la maestà e la prossimità di Dio, ossia la trascendenza e l'immanenza, lo studio concepito come atto di adorazione, l'importanza capitale della condotta e quindi la necessità di regolarla nei dettagli.
La mancanza di decisioni coinvolgenti e impegnative su temi come il libero arbitrio, la ricompensa e il castigo, il Messia, la sua figura e l'epoca della sua venuta, dimostrano una profonda religiosità che riconosce il mistero divino e nello stesso tempo rispetta la libertà umana di giudizio e di pensiero.
Insisto che siamo liberi di scegliere: «Io metto davanti a te il bene e il male, la vita e la morte, scegli la vita» (
Dt 30,15.18), concetto presente anche nei rabbini.

Ci sono sempre delle esagerazioni, in tutte le religioni ed anche nell'ebraismo: si dice che ogni ebreo dovrebbe dire cento benedizion
i durante la giornata, magari ne dicesse solo due!
Quello che mi preme farvi notare però è il concetto, così vivo nell'ebraismo, della trascendenza e dell'immanenza, concetto che ritorna nella formula del
la benedizione.
Qualsiasi benedizione prendete delle cento, lo dimostra. Ad es.: “Benedetto tu, Signore, nostro Dio, re del mondo...” e si continua nominando la cosa che si vuole benedire, può essere il pane o una cosa che vogliamo mangiare. Si aggiunge il ringraziamento al Signore che ci ha fatto arrivare fino a questo momento, ma con la differenza che si passa dalla seconda persona: “Benedetto tu Signore, nostro Dio” in cui c'è l'unione immediata del mio essere con Lui, sento Dio con me, alla terza persona nel momento in cui mi riferisco a quello che Egli ha fatto, o esprimo la preghiera di ringraziamento per l'ordine dato alla donna di accendere la candela del Sabato.
C'è sempre questo gioco tra immanenza e trascendenza: sentiamo Dio vicino, ma nel momento in cui ci riferiamo alla sua creazione, c'è qualcosa che sfugge al nostro pensiero e alla nostra comprensione.



DIBATTITO


1. Lei ha ricordato, tra gli esempi del Talmud, un auspicio, quello che tutti riconoscano il vero Dio, così verrà il Regno dei cieli.
Come è stata allora interpretata nel tempo, e come viene sentita ed interpretata oggi, la promessa fatta da Dio ad Abramo e ripetuta ad Isacco e Giacobbe: «In te saranno benedette tutte le nazioni della terra»?
Mi pare che tale promessa sia stata anche ripresa da Isaia che dice rivolgendosi al cosiddetto Servo di Dio: «È troppo poco che tu sia mio servo, per riportare a me le tribù disperse Io ti farò luce delle nazioni». In che modo il mondo ebraico pensa che tali promesse si possano realizzare?


In epoca medioevale due grandi rappresentanti dell'ebraismo spagnolo, il poeta Jeuda HaLevi ed il filosofo Maimonide, nei loro scritti riconoscono che sia il cristianesimo sia l'is
lam portano avanti ciò che già era stato detto e che è diventato non più solo patrimonio della ristretta cerchia ebraica. Il cristianesimo e l'islam sono quindi portatori di quanto già detto nell'ebraismo.
Si dice anche nel Talmud che una delle ragioni della dispersione degli ebrei è perché
si diffonda nel mondo la parola di Dio.


2. Lei ha citato passi molto belli del Talmud, però sappiamo che nella storia il Talmud ha subito diverse condanne. Quali accuse sono state fatte al Talmud perché interi carri fossero portati al rogo a Parigi, a Roma, etc.? All'interno dello stesso ebraismo c'è stato ovviamente un atteggiamento favorevole, ma anche uno di non accoglienza, ad es. nella mistica o tra i Hassidim. Come convivono oggi questi due atteggiamenti rispetto al Talmud?

Vi ho letto pochissime frasi di un passo ostico e noioso del Talmud, vi ho parlato delle difficoltà che il Talmud ha creato e che crea continuamente per l'osservanza del sabato. L'ho fatto un po' apposta perché non volevo assolutamente che quello che ho citato a proposito del pensiero teologico e del pensiero etico potesse sembrare solo un'apologia del Talmud, volevo che vedeste anche l'altra parte.
Naturalmente in tutti i testi, come ad es. nell'ultimo libro di Umberto Eco che ho letto, ho trovato alcune pagine bellissime mentre altre erano insopportabili, senza alcuna offesa per l'autore di cui apprezzo moltissimo la sua lingua italiana. Così può succedere in un testo immenso come il Talmud, formato da ventiquattro volumi dove c'è un po' di tutto, sia cose molto belle, serie, utili, sia cose criticabili.

Ci sono due aspetti nella domanda che mi è stata posta, il primo perché il Talmud è stato così maltrattato ed il secondo se lo maltrattano anche gli ebrei.
Sul primo aspetto ho portato qui un testo che vi consiglio
Gesù ebreo, provocazione e mistero, un colloquio ebraico di Camaldoli in cui sono messi in rilievo i pochi passi del Talmud che si riferiscono a Gesù, passi che non possono essere accettati tranquillamente dal cristiano. C'è un libro di Riccardo Di Segni II Vangelo del Ghetto che prende spunto da alcuni passi talmudici.
Il modesto riferimento del Talmud a Gesù ha fatto sì che fosse visto non con grande entusiasmo e dato inoltre che se ne capiva poco, la miglior cosa sembrò quella di metterlo all'indice, o tutto o alcune parti, per cui fino ad una certa epoca, oggi non più, veniva stampato con il visto della Chiesa che ne toglieva alcune parti.
Quindi la ragione per cui
il Talmud è stato maltrattato sta nell'atteggiamento della Chiesa, soprattutto perché non si capiva molto, si sospettava che ci fossero scritte cose terribili, il che non è vero. Ci sono magari scritte cose noiose, e se sono terribili lo sono per gli ebrei, non per i non ebrei che non debbono seguirlo. Voi cattolici avete già tutte le encicliche e tante altre cose da seguire! Per fortuna noi ebrei non abbiamo alcuna autorità centrale e quindi possiamo fare quello che vogliamo.

L'avversione verso il Talmud, come sopra ho cercato di spiegare, ha spinto il verificarsi dei roghi che ovviamente non si riferivano solo al Talmud. I libri bruciati a Parigi non sono solo quelli del Talmud, ma quasi tutti i libri pubblicati in quell'epoca sotto forma di manoscritti, in quanto ancora non esisteva la stampa.
È stato bruciato perfino Maimonide, peraltro anche per colpa degli ebrei! In Provenza infatti gli ebrei si ribellarono contro Maimonide ed in particolare contro la sua
Guida dei perplessi perché conteneva aspetti non coerenti con la tradizione e prassi ebraica. Gli ebrei chiesero allora ai domenicani che stavano lì per gli eretici (forse gli albigesi) di includere tra gli eretici ed i libri da mandare al rogo anche Maimonide ed i suoi libri.
Ma roghi di libri si sono verificati anche in quest’epoca, non appartengono solo ad altri tempi!

Come è stato invece considerato il Talmud dagli ebrei? Ci sono vari aspetti. Il Hassidismo, non quello renano ma quello del secolo XVIII del Baal Shem Tov, che conoscete di più per i racconti hassidici pubblicati da Martin Buber, era all'inizio contro il Talmud perché lo considerava troppo normativo e limitava l'allegria con la quale voleva servire Dio, tant'è che il Gaon di Vilna li aveva scomunicati. Successivamente con l'avvento del Hassidismo Chabad Lubavitch, il Talmud è stato accettato.

Quando è poi cominciato il movimento riformato - attualmente nell'ebraismo ci sono vari movimenti: il riformato, l'ortodosso, il conservativo, il ricostruzionista ed infine quello umanista, sviluppatesi in questi ultimi anni - il Talmud è stato messo da parte, anche se non respinto. Già con
Mendelssohn e con l'illuminismo veniva preso meno sul serio.
Vi ricordo però sempre la frase di Lévinas che ho riportato all'inizio: «Senza il Talmud gli ebrei non esisterebbero». È vero, il Talmud è stato per gli Ebrei una grande forza di riferimento perché ha
mantenuto ed ha cercato di conservare in questi due ultimi millenni, dalla caduta di Gerusalemme, lo spirito ebraico.


3.
Dalla sua relazione ho capito che tutta la storia religiosa ebraica è stata sempre in mano ai rabbini. La mia prima domanda riguarda quali sono state le differenze teologiche durante la lunga storia dell'ebraismo sui grandi temi della morte, della vita, della fine dei tempi, etc., che nel cristianesimo hanno prodotto notevoli contrasti e scissioni.
La seconda domanda riguarda lo sviluppo della concezione del messianismo oggi
, ovviamente dal punto di vista ebraico.

Non erano tutti rabbini, erano tutti studiosi. E quelli che non erano studiosi accettavano quello che dicevano le persone che dirigevano la comunità, come succede da tutte le parti. Magari un po' meno perché
nell'ebraismo c'è molta libertà.
Le cose si sono indurite quando si è affermata la tendenza caraita che accettava solamente la Torah scritta, come i Sadducei, e quindi accettava solo il testo biblico e non il Talmud. C'è stata allora una restrizione dello sviluppo religioso fino a che i caraiti non si sono ritirati. Ancora oggi ce ne sono, anche se pochi.
Nel sec. IX, per merito di Sa'adia HaGaon, a Babilonia si è accentuato fortemente il talmudismo.
Erano quindi i rabbini che guidavano in tutti i sensi. Anche la redazione masoretica del testo biblico con la vocalizzazione esce dallo stesso ambiente, in Palestina e non in Babilonia, nel sec. IX.
I rabbini erano naturalmente i protagonisti. Gli altri cercavano di vivere in mezzo a mille difficoltà, si occupavano di commercio, era un periodo in cui viaggiavano per tutto il Mediterraneo ma anche oltre, in Asia, in India ed altrove.

Circa i grandi problemi della morte e dell’immortalità dell'anima, ci si riferisce al pentimento e al perdono di Dio, nel senso che senza pentimento non c'è perdono. La vita è considerata il dono che il Signore elargisce e deve essere vissuta in tutta la sua completezza, tenendo naturalmente presente la Torah, la guida che indica il cammino per superare l'istinto malvagio che è in ognuno di noi.
La fine dei tempi, di cui si trovano accenni già nei libri profetici (Amos, Isaia), ci avvicina al cosiddetto Regno di Dio in terra, che per l'ebraismo è l'impero del divino e del giusto nel mondo.
Per quanto si riferisce al messianismo, la tendenza prevalente nel
l'ebraismo contemporaneo è l’attesa di un'epoca messianica, dico epoca, e qui ritorniamo al Regno di Dio.
Esistono senz'altro gruppi fedelissimi all'attesa della venuta di un Messia, cito per tutti il gruppo Lubavitch, che proprio in questi anni ha visto nel loro gran rabbino Schneerson il Messia o quanto meno il suo precursore. Il rabbino Schneerson è morto
un anno fa (1994) ed il gruppo è sempre in attesa del grande momento.




Breve bibliografia


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