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8. Lea Sestieri 16.03.1995

Bibbia > 3° Corso di cultura biblica: Gesù di Nazareth, ebreo di nascita cristiano di adozione (1994-1995)



trascrizione integrale


La distruzione di Gerusalemme e le nuove strutture

1) Il giudaismo nel I secolo in Palestina e nella diaspora




SOMMARIO

I. Premesse
I.1 Antiche e nuove definizioni del Giudaismo dei secoli ll a.e.v. - I e.v.
I.2 Sguardo storico sul periodo del secondo Santuario

II. Il Giudaismo nel I secolo in terra d'Israele
II.1 La favola di un ebraismo fossilizzato
II.2 Testi indicativi e alcune novità teologiche del medio giudaismo: immortalità dell'anima, resurrezione, doppio messianismo.
Le problematiche: origine del male, libertà dell'uomo, universalità della salvezza
II.3 I vari gruppi: Sadducei, Hassidim-Farisei, Zeloti, Sicari, Esseni-Qumran, Gesuani o Giudeo-Cristiani


III. Il Giudaismo nel l secolo nella diaspora
III.1 La diaspora: inizio e sviluppo
III.2 L'ellenizzazione. II centro di Alessandria. Filone
III.3
Rapporti con l'ebraismo di Gerusalemme.



I. Premesse

I.1 Antiche e nuove definizioni del Giudaismo dei secoli II a.e.v. - I e.v.


Ringrazio per l'invito a partecipare come relatore a questo corso biblico. Vorrei fare due premesse: la prima tecnica e la seconda storica.
La premessa tecnica riguarda la definizione del giudaismo che va dal II sec. a.e.v. (ante era volgare) al l sec. e.v. (era volgare). Non possiamo parlare del giudaismo del l sec. se non ci rifacciamo al giudaismo anteriore. Il giudaismo al quale mi riferisco questa sera è considerato intermedio tra il giudaismo antico, cioè il mosaismo, ed il rabbinismo da una parte ed il cristianesimo dall'altra.
Debbo precisare che il cosiddetto mosaismo non si riferisce solo al pentateuco, ossia ai primi cinque libri di Mosè contenuti nel testo biblico, ma a qualcosa di più: a tutto a quel complesso ampliato, vivificato ed elevato dalla predicazione profetica, che ancora oggi quando lo pensiamo e studiamo rimane una cosa incredibile, fuori del tempo in cui è nato e prodotto.

Il giudaismo, dicevo, oggetto della discussione, è intermedio tra il mosaismo e
due tendenze del l secolo: il rabbinismo da una parte ed il cristianesimo dall'altra. Com'è stato definito questo giudaismo? Normalmente si parla di “giudaismo Intertestamentario”, definizione che da un certo punto di vista restringe, e forse chiude, il giudaismo dell'epoca nell'ambito più propriamente cristiano. Sembrerebbe quasi che si tenda a considerare quel giudaismo con il suo Testamento solo in quanto chiave del nuovo, quindi del cristianesimo, tendenza del resto che ha fatto parte e fa ancora parte di alcuni ambienti che interpretano il primo Testamento in funzione del secondo.
Un
'altra denominazione corrente è quella di "tardo giudaismo" quasi a voler indicare qualcosa ormai stanco e decadente, da poter essere sostituito dal cristianesimo. Sottolineo la parola “sostituito”.
Da alcuni anni tra gli studiosi di lingua tedesca e inglese si è affermata l'espressione "nascente giudaismo" che suscita alcuni problemi di interpretazione soprattutto cronologica (ma allora prima che cosa c'era?) ma anche in relazione al giudeo-cristianesimo.

Finalmente nuovi e attenti studi intrapresi negli ultimi 30 - 40 anni sulla letteratura rabbinica (Jacob Neusner), sugli apocrifi (James Charlesworth) e sull’apocalittica (Paolo Sacchi) hanno chiarito che quel giudaismo denigrato, soffocato tra i due testamenti, racchiudeva una ricchezza che aveva dato luogo al giudaismo rabbinico da una parte e al cristianesimo dall'altra e pertanto meritava una definizione più pertinente.

Alan Segai,
nel suo libro Rebeca's Children. Judaism and Christianity in the Roman World, Cambridge 1986, attribuisce al giudaismo dell'epoca lo stesso valore del cristianesimo e definisce giudaismo e cristianesimo “gemelli dizigotici nati dalla nazione-stato Israele nell'epoca del secondo Tempio”.
Anche And
ré Paul a sua volta, pur parlando di “falsi gemelli”, usa l'espressione “proto giudaismo” e “proto cristianesimo”.
David
Flusser, uno studioso ebreo dell'università di Gerusalemme di cui è uscito ultimamente un libro, mi pare intitolato II Cristianesimo, pubblicato dalle Paoline, preferisce parlare di “nascente cristianesimo” e di “giudaismo ad esso contemporaneo” più propriamente come di due “sorelle” e non di due gemelli che condividono un comune background, due sorelle aventi come madre il giudaismo antico (Judaism and the Origins of Christianity, Magnes. II Giudaismo e le origini del cristianesimo, Marietti, 1995).

Ultimamente un giovane studioso, Gabriele Boccacini, nostro caro amico, di fronte a queste difficoltà di definizione per la fase storica del giudaismo che va dal II sec. a.e.v. al II e.v. ha dato una sua risposta creando l'espressione “medio giudaismo”. Ne spiega la ragione nel suo libro intitolato proprio Medio Giudaismo: «La definizione qui proposta “medio giudaismo” vuole appunto denunciare queste carenze cronologiche e ideologiche e ad esse sopperire attraverso un termine che indichi globalmente il periodo abbracciando tanto i cosiddetti “nascenti giudaismi” quanto il “nascente cristianesimo” e tutti gli altri coevi “giudaismi”... A questo termine non va attribuita alcuna valenza ideologica, ma solo cronologica» (p. 47).
In questo periodo infatti non ci sono solo il giudaismo rabbinico da un lato e il
cristianesimo dall'altro, ma ci sono tanti altri giudaismi.


I.2 Sguardo storico sul periodo del secondo Santuario


Questa seconda premessa è di carattere prettamente storico.
In Nehemia
8,1-3 si legge: «Allora tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza antistante alla Porta delle Acque. Dissero a Ezra lo scriba di portare il libro della Legge di Mosè che il Signore aveva dato a Israele. Il sacerdote Ezra portò la legge davanti all'Assemblea composta di uomini, di donne e di tutti quelli che erano in grado di intendere. Era il primo giorno del settimo mese. Egli lesse il libro sulla piazza antistante alla Porta delle Acque, dal mattino presto fino a mezzogiorno agli uomini, alle donne a quelli in grado di intendere: e tutto il popolo (kol ha'am) tendeva l'orecchio al libro della Legge (Sefer ha-Torah)». Il verso 5 così continua: «Ezra aprì il libro alla vista di tutto il popolo e quando lo aprì tutto il popolo si alzò in piedi» ed il verso 8: «si leggeva nel libro, nella Torah di Dio, spiegando e dando il senso e la lettura fu compresa». In realtà nel testo ebraico la frase non si trova al passivo, ma all'attivo: «compresero la lettura», dizione molto più importante che «la lettura fu compresa».

Considero questi versetti essenziali per capire lo svolgimento dell'ebraismo del ritorno da Babilonia.
Faccio notare alcuni punti:
1) la cerimonia si realizza fuori del circuito del Tempio;
2) tutto il popolo è presente, due volte si dice: «uomini, donne e tutti quelli che possono intendere» e due volte «tutto il popolo»;
3) la lettura è seguita da una spiegazione esauriente, il verso 8 chiude
con le parole: «la lettura fu compresa» o meglio: «compresero la lettura».

Dopo l'editto di Ciro del 538, gli ebrei esiliati a Babilonia cominciano a tornare in varie ondate. Solo verso la metà del V sec. è possibile ricostruire le mura di Gerusalemme con l'arrivo di Nehemia. Ezra, citato nel passo di Nehemia prima letto, arriva circa nello stesso periodo e cerca di mettere un po' d'ordine con la riforma che parte dall'osservanza del sabato, delle festività e delle offerte al Tempio, per giungere al campo civile: allontanamento di elementi stranieri (Samaritani, Tempio sul monte Garizim, forse fine sec. IV) e norme sui matrimoni misti.
Questo periodo del ritorno a Gerusalemme, chiamato persiano, si prolunga fino al 323, cioè fino alla conquista di Alessandro Magno.
Partendo dalle riforme di Ezra, l'ebraismo si riorganizza su una base in cui primeggia l'autorità relig
iosa-sacerdotale. È probabile che in questo periodo vengano redatti, letti e spiegati i libri della Torah. Lo scriba inizia la sua opera attiva in contatto diretto con il popolo.
C'è chi dice addirittura che con Ezra e Nehemia cominci l'ebraismo rabbinico. È
certo che inizia un nuovo rapporto con la Torah, parola di Dio, rapporto diventato essenziale per un popolo non più libero e ormai diviso tra la terra d'Israele e la diaspora, per ora solo in Babilonia ed in Egitto, ma più tardi in tutto l'impero romano.

In questo periodo si definisce dove e come spiegare la Torah. Essa si spiega essenzialmente nel
bet haknesset, ossia in quel luogo di riunione chiamato sinagoga, che ha cominciato ad avere la sua funzione durante l'esilio di Babilonia, quando lontani dal Tempio bisognava riunirsi in qualche maniera, in una piccola stanza, allora come oggi.
Una stanza spoglia, dove si possono dire determinate preghiere se sono presenti almeno dieci uomini con più di tredici anni, ed altre preghiere con qualsiasi numero di persone.

Con Alessandro Magno arriva l'ellenizzazione del mondo conquistato.
La storia è nota. La Giudea è prima unita all'Egitto sotto i Tolomei, passa poi ai Seleucidi di Siria intorno al 200. Con Antioco IV (175-164) l'affanno di ellenizzazione arriva a tal punto da emanare imposizioni che, secondo i Maccabei, sono «nuovi usi contrari alla Torah» (
2 Mac 4,11), come la proibizione della circoncisione, dell'osservanza del sabato, etc.
Si forma da un lato una corrente ebrea ellenizzata (classi più colte e perfino sacerdoti: Giasone, Menelao), mentre dall'altra scoppia la rivolta popolare maccabaica, formata dal gruppo di
Hassidim (Pii) e da Matatia Asmoneo.

Ma ci fu veramente l'ellenizzazione dell'ebraismo? Se la domanda è posta così, in forma un po' troppo assoluta, bisogna rispondere negativamente. In realtà la lunga convivenza con una cultura così affascinante come quella greca, non poteva non avere qualche influenza sullo svolgimento non solo della politica attiva (la monarchia asmonea sarà poi una monarchia ellenizzata), ma anche del pensiero religioso. Ne parleremo più avanti.

Con la rivolta e le vittorie maccabaiche
finisce politicamente il predominio greco e comincia quello romano. Roma è ormai arrivata ad esercitare l'azione di arbitro tra i regni ellenistici. Giuda Maccabeo già nel 161 considera opportuno inviare una delegazione a Roma. I contatti, mantenuti con un certo equilibrio per circa un secolo, precipitano con Pompeo. Gerusalemme viene assediata, capitola dopo tre mesi. Aristobulo Asmoneo viene condotto prigioniero a Roma e Pompeo entra nel Santo dei Santi “quel grande arcano” come dice Fioro. È il 63 a.e.v.
Con Giulio Cesare si vive un momento di relativa intesa, vengono affermati il diritto degli ebrei a vivere secondo le proprie leggi e la possibilità di diventare cittadini romani.
Nel 37 a.e.v. con l'elezione di Erode Idumeo
le cose peggiorano. Alla sua morte, avvenuta nel 4 a.e.v., la Giudea perde l'ultima parvenza d'indipendenza e nel 6 e.v. viene assorbita nella provincia della Siria sotto un procuratore romano. È la storia del I secolo della quale vi hanno già parlato.



II. Il Giudaismo nel I secolo in terra d'Israele

II.1 La favola di un ebraismo fossilizzato

Siamo abituati a sentir dire ancora in alcuni ambienti che l'ebraismo dell
'epoca di Gesù - quindi del I secolo - era un ebraismo ritualistico-cultuale, e in questa definizione si riversa tutta la limitazione degli atti compiuti per obbligo, spesso senza entusiasmo e convinzione, e forse solo con atteggiamento rutinario. Sembra volersi scartare qualunque ansia spirituale, mistica e teologica, per passare il tutto al gruppo di Gesù e agli apostoli.

Si tratta di una favola che viene da lontano. Proprio due o
tre settimane fa, padre Innocenzo Gargano, benedettino, parlando di Giustino martire (metà II sec., Dialogo con Tritone) citava alcune frasi di chiaro attacco al Tempio e ai sacrifici. Riferendosi agli ebrei concludeva ricordando queste parole di uno scritto di Giustino: «non c'è sete in voi»; ed io che stavo ascoltando non potevo fare a meno di pensare a quel salmo 42 che comincia «Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così la mia anima anela a te, o Signore». I Salmi sono molto vicini non solo all'ebraismo ma anche al cristianesimo. Il salmo che ho citato dimostra chiaramente la grande sete di Dio, diversamente da quello che diceva Giustino.

Com'è possibile che da un ebraismo sclerotizzato, fossilizzato, che compiva solo atti meccanici di culto, possano essere nati testi come quelli di Daniele, di Ben Sira, di Tobia, di Qohelet, di alcuni salmi, e oggi possiamo anche dire di alcuni Inni di Qumran, testi come l'affannosa e angosciata interpretazione dei primi due capitoli di Habacuc, e come infine potevano essere nate le due scuole di Shammai e di Hillel?
Il giudaismo tra il III sec. a.e.v. e il II sec. e.v. è caratterizzato da frammentarietà, pluralismo, ricchezza di gruppi diversi, di tradizioni di pensiero e di innovazioni che non ne infrangono l'unitarietà e in cui ancora per tutto il I secolo e.v. i seguaci di Gesù di Nazareth restano una delle sue varie tendenze.



II.2 Testi indicativi e alcune novità teologiche del medio giudaismo: immortalità dell'anima, resurrezione, doppio messianismo. Le problematiche: origine del male, libertà dell'uomo, universalità della salvezza

A motivo dei vari avvenimenti storici ricordati e degli inevitabili contatti multipli tra l'ebraismo e le civiltà mediterranee e medio-orientali dell'epoca, non è possibile riferirsi all'ebraismo degli ultimi secoli prima dell'era volgare come a un pensiero ch
iuso in se stesso, privo di influenze esterne.

È noto che gli ultimi testi profetici: Aggeo, Zaccaria, Malachia, si fanno risalire a prima dell'invasione di Alessandro Magno, ma se s'insiste sulla fine dell'ispirazione profetica, è pur vero che non mancano testi che rivelano il cammino intrapreso dal giudaismo del secondo Santuario.

Tre
opere molto note del periodo maccabaico forniscono i primi indizi di quelle novità che si ritrovano nell'ebraismo del I secolo: Ben Sira, Qohelet, Daniele.

Nel ricco testo di
Gesù Ben Sira sono palesi alcuni problemi:
a) la conoscenza e la Sapienza messe in relazione alla Torah
b) l'origine del male e la libertà dell'uomo
c) il rapporto
tra misericordia e giustizia di Dio e quindi il problema della salvezza.

Per una correlazione, e potrei dire un'identificazione, tra Sapienza e Torah cito Ben Sira:
1,16: «Corona della Sapienza è il timore del Signore (la Sapienza è in relazione con il timore), fa fiorire la pace e la salute».
1,18: «Radice della Sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita».
1,23: «Se desideri la Sapienza, osserva i comandamenti
, allora il Signore te la concederà».
E più
avanti nel cap. 24,22ss. si legge addirittura un'identificazione della Sapienza con la legge proclamata da Mosè. C'è il dominio dell'influenza greca nel concetto di Sapienza, ma questa viene messa accanto alla legge di Mosè.

Se l'importanza quasi assoluta data alla Sapienza può rientrare, in un certo senso, nel raggio dell'influenza greca, il problema dell'origine del male - per quanto abbia origini antiche che si ritrovano già in Gn 4,7; 6,5; 8,21 e Is 45,7 - si rifà in parte all'influenza della religione persiana. In questo ll secolo a.e.v. infatti circola l'idea che il male non derivi dalla trasgressione della legge, ma da una presenza malefica.

Così risuona in Ben Sira la domanda: «Inclinazione malvagia (annuncia lo
yezer harà dei rabbini?) da dove sei balzata per ricoprire la terra con la tua malizia?» (37,3). E forse la risposta è in 3,28: «La pianta del male è radicata in lui», ha messo nell’uomo le radici.
Ma di fronte ad un determinismo fatalista di origine greca e persiana, Ben Sira riferendosi a
Dt 30,15-20 fa un'aperta dichiarazione tutt'altro che deterministica: «Egli da principio creò l'uomo e lo lasciò in balia del suo proprio volere (Dio si è ritratto? zimzum?). Se vuoi osserverai i comandamenti: l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua (nel Deuteronomio Mosè pone davanti al popolo d'Israele la vita e la morte e lo invita a scegliere la vita); là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (15,14-17) e conclude: «Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare» (15,20). È questa proprio l'idea del libero arbitrio. Per questo il Signore ha dato la Torah la cui obbedienza assicura pace e ricompensa.
Ed ancora seguita Ben Sira: «Il Signore avrà misericordia (qui c'è l'idea di come può venire la salvezza) per l'uomo che ha scelto di peccare?». In 5,6 sembrerebbe di no, ma in 2,11 si parla di un Dio misericordioso che rimette i peccati e salva nel momento della tribo
lazione, che «moltiplica il perdono» (18,12). Le parole della teshuvah (ritorno, pentimento) dei profeti sono chiaramente presenti in Ben Sira, come sarà poi in tutta la tradizione farisaico-rabbinica.
Manca ancora in Ben Sira l'ipotesi di un'esistenza ultraterrena, non siamo ancora al punto in cui si arriverà nel l secolo, sebbene già in Daniele l'approdo sia quasi compiuto.

Qohelet
Anche se in questo testo è ancor più presente una ellenizzazione filosofica, lo spirito ebraico dell'epoca non viene meno.
Il problema del giusto che soffre e dell'ingiusto che trionfa sembra dominare alcuni passi (8,14; 8,10), ma è sottolineata anche l’enorme difficoltà di essere giusti: «Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi» (7,20). E allora la conclusione sembra essere la vanità del tutto, o il tutto conforme alla volontà di Dio.
Siamo quindi nel determinismo (Qumran)? È Qohelet senza speranza? Si tratta di un filone parallelo all'apocalittica?

Daniele
È un libro centrale per questo periodo. Anche se non lo si vuole considerare completamente un testo apocalittico, non vi è dubbio che sono chiare le premesse,
sviluppate nei secoli seguenti, di una peculiare visione del mondo, catastrofica e non, che sarà canonizzata nell’Apocalisse di Giovanni.
Non si deve dimenticare d'altronde che alcune parti del libro di Enoch sono state ormai attribuite alla prima epoca maccabaica, verso la metà del II sec., e che il cosiddetto
Libro dei Sogni di Enoch potrebbe essere contemporaneo di Daniele, e sappiamo che questi testi sono considerati apocalittici.
La presentazione di Daniele a cui è concessa la Sapienza per la sua fedeltà al patto, alla Torah (cap. 1) ricorda la relazione Sapienza-Torah in Ben Sira, ma suggerisce anche nei capitoli seguenti che la rivelazione ha bisogno d'interpretazione (5,17).
E qui siamo nel cammino degli scribi che stanno operando l'interpretazione della Torah e più tardi dei rabbini talmudici o, come altri suggeriscono, si tratta di un mediatore apocalittico?

In breve, dice Daniele: «II potere di Dio è eterno e domina su tutti i regni umani, nessuno vi si può opporre, quindi è l'assoluto protagonista della storia. Causa della degenerazione della storia è la trasgressione d
el patto e Dio giusto punisce il popolo infedele» (9,14). Fin qui Daniele è in perfetta linea con l'ebraismo. Se tutto dipende dalla trasgressione del patto compiuta dal popolo e da ogni singolo, è chiaramente l'uomo il responsabile perché libero di scegliere. E questo è in contraddizione con il Libro dei Sogni in cui l'uomo è vittima del male per il peccato degli angeli, ossia gli angeli sono i responsabili del male negli uomini.

La fedeltà di Daniele al concetto di libertà individuale è evidente nella distinzione che fa tra la dimensione col
lettiva e individuale della colpa e della salvezza, per cui né la colpa collettiva condanna l'individuo, né egli in quanto individuo sarà salvato dal perdono di Dio. Sono i famosi versi, relativi alla resurrezione, del cap. 12,1-3 «…e in quel momento sarà salvato il tuo popolo, chiunque si trovi scritto nel libro! Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si desteranno, gli uni per la vita eterna, gli altri per l'obbrobrio, per un'eterna infamia. E i saggi (maskilim, ma non ancora i hakamin del giudaismo rabbinico) rifulgeranno dallo splendore del firmamento e coloro che avranno attratto molti (matsdiqé harabbim) alla giustizia saranno come stelle in eterno».
Pertanto ciascuno dovrà rendere conto delle proprie azioni in quanto si tratta di individui singoli e la salvezza o il suo contrario appartengono all'umanità tutta, rientrano nell'universale, come indica più chiaramente di Daniele il Libro dei Sogni (I Enoch, 32).

E la questione messianica? Non possiamo dilungarci sulle infinite discussioni a proposito del cap. 7,13 e dell'espressione
figlio d'uomo (bar nasha aramaico), che corrisponde esattamente a ben Adam ebraico, che vuoi dire semplicemente uomo, riferito allo stesso Ezechiele chiamato da Dio (Ez 2,1).
Osservo solo che probabilmente, secondo l'interpretazione ebraica, il
figlio d'uomo indica in Daniele piuttosto il popolo d'Israele. In ogni modo, anche se si accetta l'ipotesi di Messia, bar nasha appare dopo il giudizio. Prima c'è il giudizio di Dio, poi appare bar nasha o ben adam che non è il costruttore dell'epoca, ma colui che agisce in un'epoca messianica già arrivata, già fatta da Dio.

In conclusione, anche se le visioni di Daniele possono essere state ispiratrici di alcune visioni della letteratura apocalittica, il substrato mi sembra più inserito nella storia reale del momento, con un'ansia per il futuro sia del popolo che individuale, inaugurando con le sue parole quell’affermazione o fede nella resurrezione, caratteristica non solo del medio giudaismo, ma del giudaismo rabbinico e del cristianesimo.

Ed a proposito di apocalittica, di cui abbiamo citato il
Libro dei Sogni di Enoch, vorrei ricordare rapidamente che il suo svolgimento, secondo gli ultimi studi fatti, va dal sec. Il a.e.v., e forse anche prima, fino al IV e.v.
C'è chi la chiama un figlio illegittimo della profezia, ed infatti si dice che i profeti siano stati sostituiti dalla letteratura apocalittica.
In realtà gli apocalittici hanno alcuni elementi in comune con i profeti: la fede nel Dio d'Israele, signore della storia, che elegge Israele come suo strumento per compiere i propri
piani; la reiezione come responsabilità e non privilegio, la certezza che l'esilio di Babilonia sia stato il giudizio e castigo per il peccato del popolo (basta ricordare Geremia). Ma hanno anche molte differenze: il messaggio di cui l'apocalittico è depositario, è un messaggio segreto, da tenere nascosto, da rivelare solo negli ultimi tempi, che sono tempi di catastrofe. È un tempo astorico, atemporale.
Inoltre vi è chiaramente presente la dottrina del peccato originale a causa degli angeli o di Adamo. Nel
Libro dei Sogni sono gli angeli, ma in altri libri è chiaramente Adamo il responsabile, come poi troveremo in tutta la letteratura cristiana.

Abbiamo voluto ricordare questi testi perché indicano
alcuni cambiamenti di impostazione dovuti in parte ad influenze esterne che continuano ad aumentare ed a farsi sentire durante il I sec.

Lo studio dei testi e l'interpretazione che si rivela necessaria, spingono gli scribi ad organizzarsi in scuole ed a cercare giustificazione e omologazione alle loro parole ricorrendo ad antiche tradizioni secondo le quali la Torah orale (
she be’al pe) fu data a Mosè insieme a quella scritta.
Un'interpretazione talmudica farebbe risalire ad
Es 34,27 tale affermazione: «II Signore disse a Mosè: metti per iscritto queste parole perché sulla base di queste parole io concludo un'alleanza con te e con tutto Israele».
Vi
ho letto la traduzione corrente. Ma il testo ebraico dopo aver detto: «metti per iscritto queste parole perché» ha due parole él pi normalmente tradotte: “infatti, precisamente, sulla base di”. Ho detto che Torah orale si dice she be’al pe, ma pi pe significa “bocca”, al vuol dire “sopra”, quindi “sopra la bocca”, e tutto ciò può voler dire: “oralmente, a voce”. E allora la traduzione sarebbe: «II Signore disse a Mosè: metti per iscritto queste parole perché a voce con queste parole si conclude l'alleanza con te» cioè con la Torah orale, la legge orale (Temurot 1413).

Come vedremo nel prossimo incontro, questi sistemi talmudici permettono d'interpretare un verso biblico in maniere diverse. Vedremo più dettagliatamente nella prossima conversazione che le scuole rabbiniche sono fiorenti già nel I secolo a.e.v.
Il ricordo delle due grandi scuole di Beth Shammai e Beth Hillel è presente in tutta la tradizione rabbinica e le due figure, Shammai il rigido e Hillel il mite, hanno tramandato pensieri e sentenze che Gesù e i suoi contemporanei dovevano assolutamente conoscere. Servirono loro da guida perché immediatamente anteriori all'epoca di Gesù. I problemi della libertà individuale, l'amore del prossimo, la lotta alla cattiva indole, il rispetto e il compimento della Torah come cammino verso Dio e la vita futura sono presenti nelle loro parole, lo vedremo.
Anche se sempre si ricordano Beth Shammai e Beth Hillei, è probabile che esistessero altre scuole ed altri saggi. Ben Sira, che risale all'epoca maccabaica, parla di una sua scuola (51,23). Si andarono così formando piccole e grandi differenziazioni sia nel pensiero che nel modo di affrontare le difficoltà in cui viveva quel piccolo angolo di mondo da sempre e per sempre così contrastato.

Il l sec. è destinato a consumarsi tragicamente con Roma che impera e soffoca, mentre Gesù vive, predica e muore, mentre un ebreo si adegua e l'altro si ribella, mentre qualcuno si ritira nel deserto e un altro chiede a Vespasiano il permesso di aprire una scuola fuori di Gerusalemme (Yohanan ben Zakkai), mentre si alternano falsi messia e strani mistici con poteri esoterici.
Tra i messianici è opportuno ricordare: Giuda il Galileo (
Guerra Giudaica II,118), Tèuda e Giuda il Galileo (At 5,36-37), Menahem precursore del Messia che si impadronì dell'arsenale di Massada nel 66 e ritornò a Gerusalemme dove fu ucciso dagli Zeloti (Guerra Giudaica II,434), un egiziano verso il 58 (At 21,38).

Tra i mistici esoterici: Honi, il disegnatore di cerchi (Mishnah Taanit 3,8) «capace di spingere l'umanità a servire Dio» (Gn Rabba 3,7), Hanina ben Dosa che salva da lontano, pregando nella sua stanza, il figlio di Gamaliele: «Tornate a casa che la febbre lo ha lasciato» (Ber 34b).



II.3 I vari gruppi

Il Talmud parla di ventiquattro gruppi esistenti. G. Flavio ricorda i Sadducei, i
Hassidim-Farisei, gli Esseni, ai quali vanno aggiunti gli Zeloti, i Sicari, il gruppo di Qumran, i Battisti, i Gesuani o Giudeocristiani.
Indico rapidamente alcune caratteristiche dei gruppi citati per mettere in rilievo le loro vicinanze, ma anche le loro differenze:

Sadducei
Il nome viene
da Sadoc, antico capostipite di una casta sacerdotale del tempo di David e Salomone. Sostenevano che la Torah mosaica doveva essere considerata l'unico fondamento della religione ebraica respingendo la Torah orale. Negavano la fede nella Resurrezione e nell'immortalità dell'anima: la morte è la fine di tutto. Negavano l'esistenza degli angeli.

Farisei
In 1 Maccabei 2,42 si parla di un gruppo di origine popolare, i Hassidim. In altri passi di 1 e 2 Maccabei sono di nuovo ricordati come rigorosamente fedeli alle leggi. Si separarono dagli Asmonei quando questi si ellenizzarono e furono così chiamati con il nuovo nome Perushim (Farisei, separati). Si trattò di una separazione più a carattere religioso che politico.
I Farisei criticavano e ostacolavano qualsiasi avvicinamento all'ellenismo e qualsiasi tentativo di sincretismo religioso. Ritenevano che la vera fede ebraica si basasse sulla Torah scritta e sulla Torah orale, accettando così tutto il materiale consuetudinario-giuridico e leggendario-folcloristico trasmesso attraverso i secoli.
Costituivano con le loro innovazioni un partito democratico, liberale, progressista. Credevano nella resurrezione dei morti, nell'immortalità dell'anima che, sopravvivendo al corpo, gode della presenza di Dio se in vita è stata buona, ma è condannata alla gehenna
se è stata malvagia.
Dal
le loro file uscirono famosi maestri, come vedremo nel prossimo incontro. Fu un movimento popolare, in opposizione a quello aristocratico dei Sadducei.
Nel cap. 23 del Vangelo di Matteo sono ricordati vari aspetti della degenerazione farisaica e così pure in Talmud Sota 22b che descrive cinque specie di Farisei ipocriti e due veramente degni.

Zeloti
Erano vicini ai Farisei, provenivano dalla campagna e per il loro amore della libertà erano naturalmente nemici dei romani. Avevano un'angeologia e una demonologia molto più sviluppata di quella dei Farisei. Forse influenzati dalla situazione politico-sociale, credevano che il mondo sarebbe stato distrutto e che gli eletti sarebbero stati chiamati a collaborare con Dio per la restaurazione. Sorsero come gruppo durante il famoso censimento (6 e.v.) guidati da Giuda di Gamala, il Galileo.

Sicari
Sono la pattuglia d'urto degli Zeloti. Questo gruppo estremista e terrorista è nella linea religiosa degli Zeloti.

Battisti

Iniziarono la loro attività con Giovanni Battista. Praticavano il battesimo di purificazione, credevano nell'avvicinarsi
del giorno del giudizio e aspettavano la venuta del Messia, attesa che in quell'epoca era abbastanza comune.

Esseni
Abbiamo loro notizie dagli scritti secolari di Plinio il Vecchio, di Filone di Alessandria e di Giuseppe Flavio.
Filone riporta il nome di Esseni alla voce greca Hosiotes, Santi, attribuendo loro una speciale devozione «nel servizio di Dio, non con offerte di sacrifici di animali, ma con la preparazione dei loro pensieri ad essere santi». Si dedicavano al lavoro della terra e all'artigianato; dedicavano molto tempo allo studio; si educavano «in pietà, santità, giustizia, buona condotta domestica e civica... osservando come regola fissa questi tre precetti: amore verso Dio, verso la virtù e verso l'uomo».
Facevano vita in comune, evitavano il matrimonio, anche se ciò è in discussione.
Giuseppe Flavio sottolinea la loro purezza fisica, l'importanza del pasto in comune e l'osservanza del silenzio.

Qumran
I testi di questo gruppo sono stati scoperti dal 1947 in poi e sono moltissime le discussioni che ne sono seguite.
In questi testi troviamo vari paralleli con i temi degli altri gruppi ricordati: immortalità dell'anima, retribuzione individuale, fede negli angeli ed un certo determinismo che direi un po' eccessivo.
Come gli Esseni, vivevano in comunità di dottrina e di beni, di casa e di pasti ed avevano un lungo periodo di iniziazione, ma si differenziavano da loro se non altro per la presenza di uno spirito bellicoso.
Altri aspetti trovano riscontro in libri apocrifi. Il dualismo va oltre quello intravisto dalla tradizione ebraica. Il bene e il male sono due forze opposte, il male è un angelo, un principe che sembra estraneo e separato dallo stesso Dio, anche se molto spesso si ricorda con insistenza che fu creato da Lui. L'umanità è separata in due gruppi (
Ef 5,8; 1 Tess 5,5), i figli della luce e i figli delle tenebre, con un loro destino prestabilito da Dio, da sempre e per l'eternità. C’è un testo intitolato I figli della luce contro i figli delle tenebre.
L'attesa messianica è personalizzata in due Messia: uno della casa di David, l'altro della casa di Aronne,
quindi sacerdotale.
Nel gruppo esisteva inoltre - questa questione è molto
importante perché in parte viene ripresa dal cristianesimo - la certezza di essere il residuo eletto d'Israele e di vivere nel Nuovo Patto annunciato dai Profeti. Da alcuni testi risulterebbe che per i membri del gruppo di questa Nuova Alleanza, condizione di salvezza sia la fede nel Maestro di Giustizia, il loro fondatore.
Su questi testi ci sarebbe molto da dire e da studiare, purtroppo ce ne manca il tempo. Mi sono limitata ad accennare ai temi più importanti.

Gesuani o Giudeo-cristiani
Ve ne hanno già parlato il prof. Prato e il prof. Barbaglio. Vorrei solo aggiungere una frase espressa da un ebreo, Martin Buber, nel suo saggi
o Sette discorsi sull'ebraismo, Israel, Firenze 1923, ripubblicato da Carucci nel 1976. Si riferisce all'inizio del cristianesimo: «E qui prese forma quella rivoluzione spirituale che oggi è chiamata, in modo erroneo e tale da trarre in inganno, cristianesimo primitivo; essa potrebbe essere nominata piuttosto, certo in senso diverso da quello storico, ebraismo primitivo poiché ha coll'ebraismo molto più a che fare che con quello che è designato oggi col nome di cristianesimo». E qualche riga dopo: «Ciò che negli elementi del cristianesimo non era eclettico, ciò che era elemento creativo, fu tutto ed unicamente ebraismo».
Ricordo a questo proposito l'indiscussa origine ebraica del discorso de
lla montagna di Matteo (cap. 5). Ho portato qui, e se abbiamo il tempo lo possiamo analizzare, il discorso della montagna di Matteo ed i corrispondenti testi ebraici.



III. Il Giudaismo nel I secolo nella diaspora

III.1 La diaspora: inizio e sviluppo

Diaspora è una parola greca, gli ebrei indicano questo concetto con la parola
golah o galuth, ossia esilio. Galah significa partire, ma anche rivelare, scoprire, nel senso che una partenza è sempre una rivelazione ed una scoperta. Il termine è riferito a Dio che si rivela. Quando Giacobbe ritorna in terra d’Israele e va a Beth El, il luogo del sogno della scala di Giacobbe, dice: «Qui mi è apparso Dio, mi si è rivelato Dio», usando il verbo galah (Gn 35,7).
È nell'esilio, sul Sinai, che avviene la rivelazione, quindi i due significati di esilio e rivelazione spesso vanno insieme.
Filone cerca in alcuni suoi scritti una giustificazione della golah partendo da questo senso doppio di esilio-rivelazione.

Anche per il concetto di diaspora è stata creata la favola che sia iniziata con la caduta di Gerusalemme nel 70 come punizione distruttiva per l'uccisione di Gesù.
La diaspora ebraica è molto più antica. Nel 722 a.e.v. con la distruzione del Regno d'Israele si disperdono le dieci tribù che ancora stiamo cercando.
Nel 586 a.e.v., con la distruzione del Tempio da parte di Nabucodonosor,
molti ebrei vengono deportati a Babilonia ed ha inizio la diaspora babilonese. Come ho prima accennato, dopo l'editto di Ciro alcuni ebrei ritornano, ma molti altri no e si costituirà a Babilonia la più fiorente comunità della diaspora fino al sec. IX - X dell'e.v., è la comunità di Bagdad nell'Iraq, ancora esistente.

Nello stesso periodo della distruzione del Tempio, un gruppo fugge in Egitto portando con sé Geremia, pone così le basi dell'ebraismo egiziano.
La colonia ebraica
di Elefantina, nel sud (diga di Assuan), probabilmente fu istituita sotto Cambise nel 525 a.e.v. Pare che sia stata una colonia di carattere militare, sparì poco dopo il 400 a.e.v., forse durante una rivolta dell'Egitto contro la Persia.
La sua caratteristica è il possesso di un proprio tempio con un culto completo, con sacrifici come a Gerusalemme. Sembra che la fede sia stata, se non proprio politeista, almeno
sincretista. A fianco del Dio d'Israele appaiono altre due divinità: Anat Beth El ed Ashim Beth El, forse legate al santuario di Beth El. Si tratterebbe di un culto ebraico-cananeo? I rapporti con Gerusalemme, malgrado tutto, erano buoni e frequenti.
L'ebraismo egiziano si sviluppa con Alessandro Magno, sotto i Tolomei, con un grande incremento demografico e culturale che è all'origine dell'espansione successiva sotto l'impero romano.
Secondo Filone, una grande quantità di comunità ebraiche era sparsa per tutti i continenti e le isole. Si ritiene che nel l secolo, periodo del quale ci stiamo interessando, la popolazione ebraica dell'impero romano rappresentava ormai il 10% (sei milioni).
Il geografo Strabo
ne scrive: «Gli ebrei di Alessandria hanno il loro capo della comunità (etnarca) collocato a capo del popolo (ethnos), il quale lo giudica e lo governa servendosi di leggi e regolamenti come se fosse il mandatario di uno stato indipendente».

A Roma gli ebrei erano organizzati in congregazioni separate, molti erano liberti romani. La comunità ebraica romana risale almeno a Cicerone
che ne parla in una sua orazione. Durante gli ultimi anni della Repubblica e i primi dell'Impero furono trattati con considerazione.


III.2 L'ellenizzazione. Il centro di Alessandria. Filone

Le notizie che abbiamo riferito indicano che se non ci fu un'assimilazione della cultura nei paesi dove gli ebrei vivevano, ci fu una certa assuefazione. Se si considera l'alto livello della cultura greca, ci sembra inevitabile parlare di ellenizzazione, non solo nei costumi (ginnasi, teatri, etc.), ma nello stesso pensiero filosofico-religioso.
Il centro di tale ellenizzazione fu sicuramente Alessandria. Presto fu necessario tradurre in greco il testo biblico, quello di Ben Sira. La ragione per cui Ben Sira non è stato inserito nel canone ebraico è che fu trovata solo la traduzione greca e non l'originario testo ebraico.
L'ellenizzazione non riguardò solo Alessandria o l'Egitto, ma anche gli Asmonei in terra d'Israele. Vidal Naquet nel suo libro
II buon uso del tradimento osserva: «Al limite si potrebbe dire che la monarchia asmonea è uno stato ellenistico in cui la religione ebraica ha il monopolio».


Le influenze più evidenti dell'ellenizzazione furono:

La lingua
Oggi gli studiosi ritengono che circa 2500 - 3000 parole di origine greca o latina siano entrate nell'ebraico e nell'aramaico talmudico, specialmente nei midrashim omiletici composti per il popolo, che era quello che aveva perso di più la lingua ebraica.
Simeon ben Gamaliel, padre di Jehudah Hanasi, nel sec. II sosteneva che il greco era l'unica lingua in cui poteva essere tradotta la Torah.

L’architettura
I resti di varie sinagoghe indicano che furono costruite nello stile della
basilica ellenistico-romana. Ricordo i mosaici con varie raffigurazioni a Masada, Beth Shean (sec. III), Beth Alpha (sec. V-VI).

I testi
Risentono dell'ellenizzazione: la Lettera di Aristea (I sec. a.e.v.), la Lettera di Geremia, gli Oracoli sibillini, i Maccabei, la Sapienza di Salomone, e ancor più le opere di Giuseppe Flavio e Filone Alessandrino. In tutti questi testi si ritrova, in maggiore o minore misura, insieme ad una certa spinta apologetica, una ellenizzazione del pensiero teologico-etico.

Poiché il tempo stringe, non posso soffermarmi né sulla Lettera ad Aristea, né sugli Oracoli Sibillini, ma vorrei dire alcune parole sull'apporto dato da Filone a quel giudaismo ellenistico che si ritrova chiaramente nel cristianesimo, nella sua sintesi tra cultura giudaica e cultura ellenistica.

Filone fu un membro della comunità di Alessandria, un membro attivo, tanto che prese parte alla missione del 39 - 40 presso Caligola. Egli sembrò un filosofo così ellenizzato che fino all'epoca di Azaria de’ Rossi, cioè fino ai secoli XVI - XVII, gli ebrei lo hanno messo da parte come se avesse abbandonato tutto quello che era ebraico per ellenizzarsi.
Vedremo invece, da queste poche citazioni, quanto Filone sia rimasto dentro l'ebraismo. Egli sostiene che la rivelazione divina fa di Mosè il più grande filosofo, non il più grande profeta, da però alla filosofia greca uno spazio importante solo a condizione che accetti la propria dipendenza dalle Scritture. A questo punto penso sempre allo stesso atteggiamento che Maimonide aveva di fronte ad Aristotele.
Da buon conoscitore della filosofia greca, Filone cerca di mettere in relazione i due concetti di
mneme (facoltà naturale di memoria) e anàmnesis (reminiscenza, ricordo). Molto ebraicamente vede nell'anàmnesis quel concetto ebraico di zikkaron, zeker (ricordo) che è il cammino che ognuno di noi ebrei ancora oggi sente come via per la teshuvah, cioè per il pentimento, per la conversione, per il ritorno. Perché con il ricordo si impara la perseveranza nei precetti, naturalmente sempre che si tratti di memoria delle cose buone, delle verità sante che portano all'incontro mistico con Dio.
Di Filone qualcuno ha scritto (R. Marcus) che, come la maggior parte dei suoi correligionari della diaspora, era «esteriormente più greco che ebreo, ma interiormente più ebreo che greco». Credeva infatti, in forma decisa, all'avvento di un'età felice quando tutti i popoli, abbandonate le pratiche idolatriche, si sarebbero uniti agli ebrei per celebrare il culto del Dio unico a Gerusalemme. Quindi Filone è completamente entro la linea profetica.
Nel considerare i suoi scritti, non si deve dimenticare che egli tenta di avvicinare le due culture, spiegando la sua impostazione filosofica greca con citazioni estratte dai libri biblici, specialmente dal Pentateuco, e cercando una fusione tra l'allegoria greca e il
midrash (racconto) palestinese.
Il metodo, specialmente seguito da Filone nei suoi scritti sul Pentateuco (tre serie di trattati), è infatti l’interpretazione allegorica, alcuni personaggi della narrativa biblica sono interpretati come “rappresentando” o “suggerendo” concetti astratti. I tre ospiti di Abramo, ossia i tre angeli, secondo Filone rappresentano il Logos (
Shekinah, la presenza di Dio), la misericordia e la giustizia. I tre patriarchi sarebbero gli archetipi dei tre cammini verso la virtù.


III.3 Rapporti con l'ebraismo di Gerusalemme

Concludo cercando di mettere insieme la diaspora con la terra d’Israele, i rapporti tra la diaspora e l'ebraismo di Gerusalemme. Filone
In Flaccum 46 scrive: «(Gli ebrei) considerano loro “metropoli” la città sacra dove si erge il tempio santo dell'Altissimo, cioè Gerusalemme, ma ciascuno di loro considera sua propria la terra dove è nato e cresciuto e che ha ereditato come residenza da padri, nonni, bisnonni e da progenitori anche più remoti» anche se, salvo eccezioni individuali, ad Alessandria gli ebrei non sono alessandrini, cioè cittadini.
Questa è anche la situazione di oggi per quelli che vivono fuori dallo stato d'Israele.
Giuseppe Flavio sostiene che dalla fine della cattività babilonese, la storia ebraica va letta come dialogo fra la Palestina e la diaspora, come oggi. E ancora di più: «Senza la diaspora la stessa storia della Palestina diventa incomprensibile» (Antichità Giudaiche, cap. X).

L'ellenizzazione delle grandi masse della diaspora, con le sue trasformazioni politiche, economiche e sociali, aveva in un certo senso colpito l'unità del popolo ebraico. Nessun gruppo diasporico, per es., appoggiava la rivolta del 70 e nemmeno quella del 135. Però la Palestina e Gerusalemme restano il centro, il focolare di ogni vita ebraica, anche dopo la distruzione del Santuario (
Beth hamiqdash).
La frase “l'anno prossimo a Gerusalemme”, entrata e ripetuta nell'
Haggadah di Pesach durante la quale noi leggiamo tutta la storia dell'uscita dall'Egitto, non era e non è un modo di dire stereotipato da pronunziare a conclusione delle preghiere, bensì era ed è l'affermazione dell'ansia di ricostruzione e della speranza messianica, la cui realizzazione avrebbe riportato gli sperduti di Israele, a quell'epoca (l e II secolo), sul monte di Sion in una vita di pace, non solo patrimonio di Israele, ma dell'umanità intera.
Isaia capp. 2 e 11 non ha mai abbandonato l'anima dell'Israele, sia in Palestina sia nella diaspora, responsabile - secondo l'antico patto - della redenzione del mondo intero.



DIBATTITO



1. Prima faccio due considerazioni e poi chiedo tre piccoli chiarimenti.
Anche oggi, come allora, la storia d'Israele non si può capire se non si sa che cos'è la diaspora: solo a New York c'è un numero di ebrei superiore a quello dello Stato di Israele e l'autofinanziamento che gli ebrei della diaspora danno è superiore al bilancio dello stesso Stato di Israele.
La seconda considerazione riguarda Giuseppe Flavio. Lei prima ha ricordato che nessun gruppo ebraico ha appoggiato la rivolta di Gerusalemme nel 70. Dire
i che la figura di Giuseppe Flavio è abbastanza lacerante, nel senso che prima era uno dei capi della rivolta contro i romani e dopo dice di essere stato illuminato da Tito.

In realtà è stato folgorato in Galilea e non a Damasco

II primo chiarimento riguarda il periodo di redazione della Torah che lei fa risalire ad Ezra. lo ricordo invece che la tradizione porta a dire che la Torah fu data da Mosè.
Il secondo chiarimento riguarda se Tempio e Sinagoga siano sinonimi, perché mi sembra di aver capito che il tempio è solo quello di Gerusalemme, sia nella prima che nella seconda edizione, e che il termine sinagoga oggi sia il più accettato da tutti.
Il terzo chiarimento riguarda la distinzione che lei fa tra Esseni e Qumran. Secondo me sono stati un solo gruppo e la distinzione può derivare dal fatto che gli Esseni sono arrivati a noi da relazioni secolari attraverso il filtro delle interpretazioni, anche se poi Giuseppe Flavio, da cui sono state assunte le informazioni che abbiamo, non è secolare, ma anzi è uno degli esponenti massimi d'Israele del momento, il l secolo, al di là del fatto che sia un traditore. Qumran invece potrebbe essere il medesimo gruppo degli Esseni, solo che noi adesso lo leggiamo attraverso i diretti documenti di Qumran stesso.

Circa la Torah, io ho fatto riferimento ad Ezra, ma Ezra legge una Torah che già era diffusa e conosciuta oralmente, perché come sappiamo i profeti durante la loro epoca si attengono a quanto scritto nella Torah. lo ho fatto riferimento ad una lettura, ad una spiegazione, forse possiamo dire ad una traduzione in aramaico, di ciò che Ezra aveva nelle mani, per cercare di farsi capire.
È molto probabile che la Torah sia stata già completamente scritta a quell'epoca. Alcuni studiosi sostengono che erano stati scritti e redatti solo quattro libri e che il Deuteronomio fu redatto dopo. La questione è molto discussa, ma naturalmente tutto questo, secondo la tradizione, viene da Mosè e potrebbe essere stato scritto anche da Mosè stesso. Però non abbiamo la Torah scritta da Mosè, ed allora non possiamo dirlo. In definitiva, secondo la tradizione dei testi biblici, sembra proprio che Ezra abbia portato con sé qualcosa di scritto già nel V sec., ma ciò non vuol dire che non esistesse prima.
Sappiamo bene dalla letteratura greca che Omero è stato trasmesso per secoli per via orale, trasmissione che era un'abitudine dei popoli antichi, e vedremo nel prossimo incontro come la stessa
Mishnah, redatta solo nel II - III sec. e.v. era conosciuta oralmente dappertutto. C'era quasi una proibizione dello scrivere, come se si dovesse tramandare solo da maestro ad alunno, da voce a voce.

Quanto alla differenza tra Tempio e Sinagoga, la questione è semplice. lo ho parlato del Tempio, in ebraico
Beth hamiqdash, che vuol dire Santuario, come noi lo chiamiamo effettivamente. Il tempio, da templum, è venuto dopo, in ebraico si parla solo di Beth hamiqdash, Santuario, casa del Santo.
Esso non ha nulla a che vedere con la sinagoga, anche se noi oggi possiamo dire che anche nello stesso recinto del Tempio esistevano, al tempo di Gesù, alcune sinagoghe. Ma la sinagoga nasce come luogo di riunione,
bethaknesset, è la casa dove ci si riunisce. Non ha nulla a che vedere con il Santuario che è invece il luogo dei sacrifici, del Santo dei Santi.

Quanto alla questione degli Esseni e di Qumran, c'è stato un periodo in cui si è scritto ed insistito che i due gruppi fossero la stessa cosa. Oggi l'insistenza si è affievolita.
A suo tempo si è detto anche che il gruppo di Qumran fosse un gruppo di Sadducei, ipotesi che non riesco a capire visto che il gruppo di Qumran era contro il Tempio.
Tuttavia l'osservazione che lei fa è giusta, nel senso che noi conosciamo gli Esseni non attraverso i loro scritti, ma attraverso riferimenti, dati, basta pensare a Plinio il Vecchio, a Filone o anche a Giuseppe Flavio. Per quanto Giuseppe Flavio sia stato all'interno del mondo ebraico, ci possono mancare elementi precisi sulla storia e sulla vera natura degli Esseni, mentre abbiamo i libri del gruppo di Qumran.
Quello che si può dire è che poiché ci sono aspetti molto simili tra i due gruppi tanto da poter arrivare ad una loro identificazione, dobbiamo tener presente che gli scritti più antichi di Qumran risalgono al II sec. a.e.v., mentre le notizie degli Esseni si riferiscono al I sec. e.v. Le differenze potrebbero quindi dipendere dal fatto che sono passati tre secoli e che i due gruppi possono aver avuto un'evoluzione, anche partendo da uno stesso gruppo.
Portando un esempio dei nostri giorni, se pensiamo al comunismo di Marx, a quello di Lenin, a quello di Stalin ed a quello di oggi, e non sono passati tre secoli, ci rendiamo conto della velocità con la quale cambiano le ideologie.
lo sono contraria ad identificare il punto di partenza comune dei due gruppi. Nel mio libro del ‘60 sui manoscritti di Qumran, ho sostenuto che i due gruppi non erano la stessa cosa.


2. Lei prima ha prima citato la frase del famoso filosofo Buber circa la creatività del cristianesimo, la quale deriverebbe dall'ebraismo, e mi è sembrato di capire che lei condividesse tale frase: «Ciò che nel cristianesimo era elemento creativo, fu tutto ed unicamente ebraismo».
Le precedenti conferenze del corso sulla situazione del giudaismo e del cristianesimo del I sec.
, sia del prof. Prato che del prof. Barbaglio, hanno inquadrato la presenza storica di Gesù entro limiti corretti, come tributaria della cultura giudaica a tutti gli effetti. È stata però anche messa in rilievo l'originalità di Gesù. Anche alcuni gruppi che sono venuti dopo la morte di Gesù, che si rifacevano al suo insegnamento e che presero a riferimento la sua fine tragica, e quindi per loro e per noi cristiani la successiva resurrezione, furono abbastanza critici rispetto al giudaismo dell'epoca, ma anche creativi come ad es. il gruppo di Stefano. Tutto ciò non per rivendicare differenze a tutti i costi, ma per il rilievo che, sul piano storico e teologico, tali gruppi si sono conquistati.
La seconda domanda riguarda il suo discorso circa l'influenza greca sul giudaismo. Lei ha parlato di Ben Sira
, del rapporto tra conoscenza e sapienza, e quindi dell'influenza greca rispetto al libero arbitrio e alla responsabilità dei singoli. Come si collega tutto ciò con la responsabilità di tutto un popolo al quale la bibbia ebraica si richiama additandone le colpe in modo collettivo?

La frase di Buber
non si riferisce a Gesù, ma al cristianesimo primitivo, a ciò che è stato fatto dopo Gesù. I Giudei-Cristiani, che ho chiamato Gesuani, sono ancora sulla linea ebraica, non hanno ancora novità sostanziali che vengono invece con Paolo, anche se fino ad un certo punto, perché se è vero che Paolo arriva ad eliminare la cultura ebraica precedente (è brutta la parola “eliminare”), in realtà non elimina un bel niente.
Ma prima di Paolo siamo ancora sulla linea ebraica. C'è la fede nella resurrezione di Gesù, ma c'è ancora discussione tra quello che può e non può essere.

lo ho sottolineato l'affanno messianico del giudaismo del tempo, ho
citato alcuni falsi messia presenti all'epoca di Gesù, ma ogni madre cui nasceva un bambino pensava che forse poteva essere il messia. In un primo momento l'idea messianica non faceva grande differenza, essa si è affermata con il tempo.
Ritenere il cristianesimo primitivo praticamente tutto ebraico, come fa Buber, è corretto. Tant'è vero che una delle diciotto benedizioni che noi recitiamo e che si dice sia contro i cristiani, in realtà non usa il termine
nozrim, bensì minim con il quale sono individuati gli eretici, quindi i Gesuani non erano ancora considerati un'altra cosa, bensì uno dei tanti giudaismi che stavano andando un po' fuori dal seminato.

Circa la seconda domanda, il dialogo avviene tra Dio e il popolo d'Israele. C'è una responsabilità del popolo, ma ciò non toglie quella individuale. Quando i profeti si scagliano contro i sacrifici del tempio senza una condotta integra, non si riferiscono al popolo, ma agli individui. Quando si ordina di lasciare il grano che cade per la spigolatrice, ossia per quella persona che non ha grano, il riferimento è individuale, non riguarda tutto il popolo. Che poi i casi individuali possano riferirsi a tutto il popolo dipende dal fatto che una cattiva condotta individuale diffusa può diventare responsabilità collettiva.


3. II grande problema che il mondo cattolico e cristiano ha con la donna da tutti i punti di vista: liturgico, dogmatico, etc., è anche presente nel mondo ebraico? Lei prima accennava alla sinagoga: l'esclusione della donna dipende dai padri ebrei, oppure tale problema è da considerare come una deviazione del mondo cristiano rispetto al mondo ebraico?

Si dice che nell'ebraismo la donna abbia una posizione di inferiorità rispetto all'uomo. In realtà la lettura dei testi biblici non porta a tale posizione, ci sono donne veramente protagoniste.
Pensiamo solo alle madri: quanto sono importanti Sara, Rebecca e Rachele, quanto determinano la storia dei loro mariti e dei loro figli!
La stessa Eva, così maltrattata e bistrattata, è invece l'artefice di quell'apertura al mondo che attribuiamo ad Adamo. Noi ebrei infatti non crediamo al peccato originale, non stiamo soffrendo per il peccato di Adamo, riteniamo soltanto che egli abbia usato la sua libertà di ubbidire o disubbidire. Dio gli dice di proposito: “non mangerai” affinché egli mangi, perché bisognava in quel momento aprirsi il cammino verso la conoscenza anche disubbidendo, ed è Eva ad aprire ad Adamo questo cammino. La mela famosa altro non è che l'albero della conoscenza. Noi ebrei crediamo che la disubbidienza non sia stata un peccato, ma l'apertura della strada. È Dio che si ritira in se stesso, rinuncia a qualcosa per dare la libertà alla creatura. È ciò che dice la Qabbalah: Dio si ritira per fare posto al mondo. Eva ha una grande funzione in questo.
Ma ci sono tante altre
donne nel testo biblico veramente operanti.

Certe differenze tra uomo e donna ci sono state. Fino all'epoca medievale solo il marito poteva rompere l'unione matrimoniale, ma dobbiamo ripo
rtare tutto ciò a quell'epoca, a quel tempo.
Quanto alla presenza delle donne in sinagoga, nelle prime sinagoghe e per molto tempo dopo, non esisteva la separazione tra uomo e donna, anzi, per un lungo periodo la donna poteva anche dire le preghiere.
Se per la donna certe preghiere non erano obbligatorie, è solo per il fatto che ciò avrebbe potuto allontanare la donna da ciò che erano considerati i suoi compiti essenziali, ossia essere madre ed educare i propri figli
fino ad una certa età. Non era importante che la donna arrivasse in sinagoga ad una determinata ora perché sarebbe stato meglio in tale momento rimanere a casa a guardare i bambini.

Alla donna però è stata assegnata la funzione più bella che esiste nell'ebraismo, quella di accogliere il sabato. È
la donna che accende la luce del sabato, che apre tale momento di allegria e di comunione con Dio per tutta la famiglia.
Naturalmente ci sono del
le cose che non vanno. Tra gli ebrei ortodossi ancora oggi le donne non possono essere rabbine e non possono guidare le preghiere, a differenza di quanto avviene nei riformati e nei conservativi.
Tutto ciò deriva dal problema dell’impurità della donna nel periodo mestruale ed in quello dei quaranta giorni dopo la nascita del maschio, e non ricordo di quanti giorni dopo la nascita della femmina. È quindi per una questione di impurità che gli ortodossi fanno tale distinzione.
Credo certo che ci sia stata una certa tradizione di allontanamento, di differenziazione, e che anche il cristianesimo ne sia stato influenzato, ma tutto ciò è legato all'epoca, anche se l'importanza della donna nell'ambiente della famiglia ebraica è stata ed è grande.


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