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6. Giuseppe Barbaglio 18.02.1995

Bibbia > 3° Corso di cultura biblica: Gesù di Nazareth, ebreo di nascita cristiano di adozione (1994-1995)



trascrizione Integrale


La religione di Gesù e la fede in Cristo

3) I discepoli di Gesù prima e dopo la pasqua




SOMMARIO

I. I discepoli dei maestri giudaici

II. I discepoli di Gesù di Nazareth
1) Vocabolario
2) I dodici/ gli apostoli/ i discepoli
3) Le analogie con il discepolato rabbinico
4) Le particolarità del discepolato di Gesù

III. I discepoli dopo la pasqua
Premessa: i primi passi e la svolta vista dall'interno
1) Crisi
2) Ripresa imprevista
3) Il nuovo inizio è causato da una nuova fede: «II crocefisso è stato risuscitato da Dio»
4) Fede nuova suscitata dalle apparizioni del risorto
5) Fede nuova espressa nei racconti di apparizione del risorto
6) Il problema della tomba vuota
7) Un conto sono le apparizioni e un altro la risurrezione
8) La credenza giudaica nella risurrezione e la fede cristiana
9) La confessione della risurrezione di Gesù crocifisso si trova subito abbinata all'attesa della venuta finale del risorto quale Figlio dell'uomo che riunirà i credenti nel regno celeste di Dio
10) I discepoli di Gesù hanno scoperto pian piano e affermato il valore salvifico della morte di Gesù risorto e venturo

IV. Conclusione




Premessa

II fenomeno dei discepoli di Gesù non è una novità, anzi si inserisce profondamente in un contesto storico-culturale non esclusivamente giudaico: c'erano ad es. i discepoli dei filosofi, la scuola della Stoà, l'Accademia; c'erano i discepoli dei mistagoghi, cioè di quelli che iniziavano ai misteri; ma soprattutto c'erano i discepoli dei maestri giudaici, degli scribi, quelli che nei nostri testi sono chiamati grammateis, gli uomini della lettera scritta.
La conoscenza di questo panorama è molto interessante perché ci aiuta, ci orienta a vedere l'inserimento e l'incarnazione culturale di Gesù come ebreo nel suo mondo giudaico.



I. I discepoli dei maestri giudaici

L'esigenza fondamentale del giudaismo era la conoscenza della legge. La legge scritta era abbastanza lunga, se ad essa aggiungiamo la legge orale, fatta di interpretazioni e riflessioni, abbiamo un materiale enorme. Inoltre la legge non era una dottrina soltanto da imparare, ma piuttosto da praticare, e per praticarla era fondamentale conoscerla in tutti i dettagli. Nasce così all'interno del giudaismo la necessità dei maestri della legge, dei rabbi, dei professionisti della legge mosaica, di quella scritta e di quella orale.

C'è stata un’evoluzione nella trasmissione della legge. Originariamente la legge era patrimonio della classe sacerdotale il cui compito fondamentale non era quello di sacrificare, ma quello di insegnare, di proclamare la legge. La classe sacerdotale negli ultimi secoli a.C. aveva perduto un po' di questa sua capacità. Soprattutto durante il periodo della dominazione ellenistica di Antioco IV Epifane, a causa dell’attrazione che la cultura dominante produceva sulla società giudaica, si era molto compromessa con l'ellenismo ed anche screditata. Era così nata una classe di professionisti laici, competenti nella legge: gli scribi, i rabbi. Al tempo di Gesù, gli scribi erano prevalentemente di orientamento farisaico. Il movimento farisaico era molto pragmatico, attivo, e praticava un’osservanza scrupolosa delle leggi. All'interno di tale movimento, gli scribi erano la classe di conoscitori della legge, di intellettuali.

C'è un detto molto antico nella
Mišnâh Abôt 1,16, attribuito a Rabban Gamaliele il vecchio, contemporaneo di Gesù: «fatti un maestro», ossia prenditi un maestro. Ogni israelita preoccupato di osservare la legge di Dio, doveva avere un maestro per poterla conoscere in tutti i suoi particolari. Ma c'è anche un altro detto nella Mišnâh Abôt 1,1: «stabilite un gran numero di discepoli», cioè fatevi dei discepoli. Quindi fatevi dei maestri da un lato e fatevi dei discepoli dall'altro. Tali detti sono attribuiti agli uomini della grande sinagoga, cioè della tradizione.
Il compito dei maestri della legge e del discepolato in Israele era riservato ai maschi, per motivi culturali. Il maestro era scelto dall'aspirante discepolo, che lo cercava magari passando da un maestro all'altro.

L'insegnamento era di tipo tradizionale. Il rabbi, oltre che insegnare la legge scritta, consegna al discepolo il tesoro della legge orale, il materiale enorme di interpretazioni. di applicazioni, di aggiornamenti. Il discepolo doveva ascoltare la voce del rabbi, che era un’autorità indiscussa, e memorizzare la tradizione tramandata.
Il maestro e i discepoli stavano seduti, ma il maestro stava su uno scranne. C'è un’espressione negli Atti degli Apostoli (anche se la notizia dal punto di vista storico non è molto precisa) secondo la quale Paolo aveva studiato ai piedi di Gamaliele. Quindi i discepoli stavano seduti, ma più in basso.
La tecnica d'insegnamento era vivace: il maestro poneva delle questioni ed insieme con i discepoli cercava poi delle soluzioni. Il discepolo interveniva, era quindi un insegnamento attivo.

L'insegnamento era gratuito. Il rabbi era un professionista in quanto a competenze, ma o era ricco o lavorava. C'è una tradizione di lavori umili dei rabbi, sappiamo che uno faceva il contadino, un altro l'artigiano, etc. Probabilmente i discepoli dovevano pagare una tassa per il custode della sala delle riunioni, ma ci si poteva riunire all'aperto, ad es. sotto i portici del tempio di Salomone a Gerusalemme.

La scuola era un’esperienza di comunità tra i discepoli ed il maestro, le persone vivevano in comune con un attaccamento affettivo anche molto forte. Il discepolo aveva come fine ultimo quello di diventare a sua volta un maestro, per cui il magistero dei rabbi veniva continuato attraverso le nuove leve.



II. I discepoli di Gesù di Nazareth

1) Vocabolario

I discepoli di Gesù di Nazarehh nei Vangeli e negli Atti sono chiamati spesso i
mathetai, un vocabolo molto usato nel mondo greco per indicare i discepoli dei filosofi, dei mistagoghi. Il vocabolo non appare di frequente nella traduzione greca dell'Antico Testamento.
Un altro vocabolo, orientato più sull'agire. era il verbo “seguire”, seguire il maestro, andare dietro al maestro. C'è l'espressione avverbiale greca di andare dietro, Gesù dice: «vieni dietro a me».

Era una sequela, perché nel discepolato di Gesù di Nazareth il rapporto tra il discepolo ed il maestro era molto più profondo che non tra i discepoli ed i rabbi giudaici. Tra di loro non c'era la realtà intermedia della legge, il rapporto era diretto, molto personale.
Gesù assumeva agli occhi dei suoi discepoli un’importanza molto grande perché non era solo un maestro che insegnava, ma era ritenuto un profeta, un taumaturgo, anche un personaggio di tipo vagamente messianico od escatologico.
Gesù annunciava innanzitutto il Regno di Dio, ma lasciava anche trasparire che aveva un compito abbastanza significativo all'interno di questa irruzione del Regno di Dio, quindi era una figura di grande spessore, molto di più che non la figura del rabbi giudaico.



2) I dodici/ gli apostoli/ i discepoli

Nei vangeli, negli Atti e nelle poche notizie degli scritti di Paolo, abbiamo le seguenti tre indicazioni:

-
I “dodici”. Il termine appare per la prima volta in un testo di Paolo 1 Cor 15, testo scritto nel 53 d.C., in cui Paolo fa l'elenco delle apparizioni di Gesù risorto e dice: «Gesù è apparso a Cefa ed ai dodici». Era un numero ben preciso già negli anni 40, periodo a cui risale la tradizione paolina.
Secondo l'opinione di molti, ed anch'io sono di questo parere, i dodici erano già una formazione al tempo di Gesù. Egli aveva radunato intorno a sé un gruppo particolare che poi aveva acquistato un significato simbolico, rappresentante le dodici tribù di Israele, il nuovo popolo di Dio, il popolo in mezzo al quale il Regno doveva manifestarsi.

-
Gli apostoli. Non sono una categoria a parte rispetto ai dodici ed ai discepoli, sono solo quei discepoli che Gesù ha “mandato”. Luca parla di 72 discepoli che Gesù ha mandato ad annunciare la prossimità della venuta del Regno di Dio. Apostolo è quindi un titolo che indica il mandato, la missione, l'incarico ricevuto da Gesù, che poi era l'incarico che aveva Gesù stesso. Non sono un gruppo a parte, ma sono coloro che hanno ricevuto questo incarico.

-
I discepoli. Erano un gruppo un po' più vasto dei dodici.

Quindi abbiamo un primo gruppo più ristretto, i dodici, un secondo un po' più vasto, i discepoli; e gli apostoli che appartengono in parte al primo e in parte al secondo gruppo in quanto sono stati mandati.

In tre testi tipici di Luca, si parla anche di un gruppetto di donne che avevano lasciato la loro casa e che seguivano Gesù, donne piuttosto facoltose tra cui Maria di Magdala, Giovanna moglie di Cusa, l'amministratore di Erode. Queste donne finanziavano il gruppo, Gesù non lavorava, i suoi discepoli, almeno quelli del gruppetto più vicino, avevano lasciato la casa ed il lavoro.
Si può dire che queste donne appartenevano al gruppo dei discepoli, di quelli che lo seguivano, anche se non al gruppo dei dodici, che erano maschi, sui quali la tradizione cattolica ha costruito lo sbarramento alla promozione delle donne nella chiesa. I passi di Luca che attestano questi fatti sono 8,1-3 e 23,49 dove si citano le donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea fino a Gerusalemme ed alla crocefissione, e che la mattina di Pasqua ebbero una parte importante.



3) Le analogie con il discepolato rabbinico Sono abbastanza rilevanti:

- Il rapporto forte con il maestro, anche se quello dei discepoli con Gesù era singolare.
- I discepoli con il maestro formavano una comunità.
- L'insegnamento e molti detti di Gesù erano trasmessi al gruppo ristretto.



4) Le particolarità del discepolato di Gesù

- Gesù di norma sceglie i discepoli a differenza del discepolato rabbinico in cui erano i discepoli a scegliere il maestro. Da tale particolarità derivano i racconti di vocazione, di chiamata, contenuti nel NT. Ci dovevano però anche essere dei discepoli che avevano preso l'iniziativa di seguire il maestro.

- È soprattutto importante la centralità della persona di Gesù a differenza della centralità della Torà.

- Le esigenze massimalistiche di Gesù verso il suo discepolato, come appare in tanti testi del NT:
Ad es. il detto riportato in
Mc 8,22 che certamente si ritiene essere di Gesù: «seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» mentre un comandamento del decalogo dice che i figli debbono onorare i propri genitori e l'onore conclusivo di una vita è di avere il funerale.
Un altro detto di
Mc 10,21 e paralleli: «una cosa ancora ti manca» dice Gesù ad un uomo ricco che voleva seguirlo e che aveva osservato tutti i comandamenti, «se vuoi essere perfetto» secondo il testo di Matteo, in cui è evidente che l'evangelista ha calcato la mano, a differenza di Marco e Luca che dicono «una cosa ancora ti manca», riconoscimento di avere fatto tante cose tra cui l'osservanza di tutti i comandamenti, «va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi».
Un terzo detto, trasmesso in due tradizioni, una adulcorata ed una radicale, che attesterebbero la sua originarietà: «se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere un discepolo» (
Lc 14,27).
Va notato che Gesù avanzava queste esigenze solo ad alcuni discepoli, non ne aveva fatto una regola fondamentale. Certo è che i discepoli che seguivano Gesù abbandonavano la casa, il lavoro, i beni.

- I discepoli di Gesù erano per sempre tali, non avevano la prospettiva di diventare un giorno loro stessi maestri. C'è una fissità dei ruoli, Gesù è l'unico maestro e gli altri restano sempre discepoli.



III. I discepoli dopo la pasqua

Parlerò solo dei primi passi e del come è avvenuta la grande svolta dall’esperienza della crocefissione di Gesù a quella della resurrezione, i discepoli sono infatti risorti dopo essere morti come discepoli di Gesù durante la crocefissione.

Come e perché è avvenuto questo passaggio dai discepoli di Gesù al movimento propriamente cristiano, un movimento che inizialmente si caratterizza come interno al giudaismo del tempo e che solo dopo ne valicherà i confini?



1) Crisi

Bisogna partire, per capire il passaggio, dallo sconcerto e dalle dispersioni provocate dalla morte in croce, morte orrenda a tal punto che Cicerone dirà in un suo testo: «è qualcosa di terribile, di funesto, non solo l'evento, ma la stessa parola della croce (
ipsum nomen crucis)».

Nella tradizione ebraica c'è qualcosa di più. In
Dt 21,23 c'è la maledizione divina «maledetto da Dio quell'uomo che pende cadavere dal legno». In realtà nel testo la maledizione colpisce non il crocifisso ma colui che, dopo essere morto, viene appeso ad un legno, cioè non riceve la sepoltura. Al tempo di Gesù questa maledizione si era allargata a colpire quelli che non ancora erano morti e che da lì a poco sarebbero morti attraverso la crocefissione, un vero e proprio impalamento. I discepoli si sono allora trovati davanti ad un maledetto da Dio in quanto crocifisso, invece che davanti a colui che ritenevano essere l'inviato finale di Dio per inaugurare il Regno di Dio, la regalità di Dio nel mondo.



2) Ripresa imprevista

Dopo il crollo di ogni fede precedente, c'è una ripresa del tutto imprevedibile, in brevissimo tempo.
Il dato storico del “breve tempo” per il passaggio è incontrovertibile: i “tre giorni” o il “terzo giorno” non è un dato cronologico, ma simbolico. Dunque in brevissimo tempo i discepoli senza più Gesù, si riuniscono di nuovo a Gerusalemme, secondo le indicazioni degli Atti degli Apostoli che non possono essere messi in dubbio, lì proprio dove avevano dato l'addio a Gesù.
Negli Atti si parla degli undici, di alcune donne, di Maria e dei fratelli di Gesù, che avevano dunque cambiato comportamento rispetto al loro congiunto. La sua famiglia infatti si era mantenuta su posizioni molto critiche, tant'è vero che in un testo di Marco, censurato da Matteo e da Luca, si afferma che quelli della sua famiglia e la madre erano andati a prenderlo dicendo: «è fuori di senno».



3) Il nuovo inizio è causato da una nuova fede: “II crocifisso è stato risuscitato da Dio”

Il problema è come sia avvenuta questa quasi immediatta ripresa, questa resurrezione dei discepoli. C'è un solo motivo che viene presentato in tutto il NT, ed in particolare nei vangeli e nelle lettere di Paolo: il nuovo inizio è stato causato da una ferma convinzione, da una fede, diversa da quella che avevano in Gesù precedentemente e che era stata annullata dalla crocefissione.

L'espressione sintetica di questa nuova fede è: «il crocefisso è stato risuscitato da Dio».
Tale espressione, con qualche leggera variante ma di poco peso, si trova nei testi più antichi. La prima lettera ai Corinzi degli anni 50, riprende una tradizione più antica, come Paolo dice nei primi tre versi del cap. 15: «io vi ho tramandato quello che a mia volta ho ricevuto». Ecco il fenomeno della tradizione (
paradósis): io ho trasmesso a voi quello che io ho a mia volta ricevuto (parelabon), la tradizione cioè che Gesù è morto per i nostri peccati secondo le scritture, che è stato sepolto, che è stato resuscitato da Dio secondo le scritture il terzo giorno e che apparve a Cefa ed ai dodici.
Un credo in quattro articoli: morto, sepolto, resuscitato, apparso. Però i quattro articoli sono in realtà due perché la sepoltura era considerata il completamento della morte e l'apparizione era collegata alla resurrezione, tant'è vero che i due articoli morte e resurrezione, il primo ed il terzo, sono quelli più sviluppati ed interpretati.

In un altro testo, lettera ai Romani 10,10, è riportato il credo: «se crederai con il tuo cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvato».
Anche in Marco 10,6 e nei paralleli, nel racconto della tomba vuota, c'è una perla incastonata ed è l'annuncio: «è stato risuscitato da Dio», oppure in Luca 24,34 che si riferisce ugualmente ai primi anni della fede dei discepoli: «il Signore è stato risuscitato ed è apparso a Simone». Si parla di Simone Pietro primo testimone della risurrezione, primo beneficiario di una apparizione.

Questa fede appare in tutti i testi con delle varianti minime. Ci sono tre tipi di formule:

- «È stato resuscitato da Dio», al passivo. Aggiungo sempre “da Dio” in quanto è un chiaro passivo teologico, anche se in greco non c'è bisogno di aggiungerlo.

- «Dio lo ha resuscitato», all'attivo. I due verbi greci usati sono
egheirô al passivo ed all'attivo, ed anistémi in forma attiva. Il significato originario di egheirô è svegliare, quello di anistémi è sorgere, alzarsi. I due verbi hanno una pregnanza teologica enorme perché indicano la resurrezione, anche se il significato originario è di due azioni umane comuni.

- «Egli è risorto». In questa formula, la meno rappresentata, Gesù è il soggetto e non il beneficiario di un'azione di Dio. Il verbo qui utilizzato è anistémi. Il testo è molto antico, attestato nella lettera di Paolo ai Tessalonicesi 4,14, in Luca ed in Giovanni.

Il fatto della sepoltura appare in tali formule solo in
1 Cor 15: «è morto, è stato sepolto, è stato resuscitato, è apparso».
L’apparizione del risorto è invece connessa con la resurrezione in
1 Cor 15: «è risuscitato ed è apparso a Cefa ed ai dodici», in Lc 24,34: «II Signore è stato risuscitato ed è apparso a Simone», e in At 13,30 ss.

Confrontando le varie formule di fede, quella di
1 Cor 15,3-5 è la più sviluppata.
La formula della resurrezione è collegata con quella della morte, anzi la morte viene arricchita con l'articolo della sepoltura e la resurrezione con quello delle apparizioni.
Anche i due articoli fondamentali di fede, «è morto ed è stato resuscitato», vengono interpretati: è morto per i nostri peccati (interpretazione soteriologica) secondo le Scritture (riferimento alle scritture ebraiche), è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture.

Cercando di fare un prospetto dell’evoluzione di queste formule, un’ipotesi che mi sembra abbastanza attendibile, anche se la realtà è un po' più complessa degli schemi proposti, contempla le seguenti sei formule:
- «Dio ha resuscitato Gesù», o il passivo «Gesù è stato resuscitato da Dio»;
- «È stato risuscitato dal mondo dei morti» (
1 Cor 15 ed altre fonti);
- «II Signore è stato risuscitato» (
Lc 24), oppure «II Cristo (il Messia) è stato risuscitato». L'aggiunta dei titoli, la cristologia di onore, è una produzione della comunità cristiana;
- «È morto ed è stato resuscitato», formula binaria che contiene l'affermazione sulla risurrezione legata all'affermazione sulla morte;
- «È morto per i nostri peccati», ossia è morto per noi, interpretazione soteriologica, «ed è stato risuscitato»;
- «È morto secondo le Scritture» in ottemperanza alle predizioni delle Scritture, «ed è stato risuscitato secondo le Scritture».



4) Fede nuova suscitata dalle apparizioni del risorto

La fede nuova nella resurrezione del crocifisso è suscitata dalle apparizioni del risorto.
Si noti che la risurrezione è un conto, le apparizioni sono un altro conto. Abbiamo visto questa connessione in
1 Cor 15 ed in Lc 24.

Il problema è se l'apparizione comporta una visione oculare di una certa figura che nel nostro caso è Gesù.
lo ritengo che non si possa ritenere che ci sia stata una visione oculare.
Innanzitutto perché le teofanie dell'AT non implicavano alcuna visione oculare. Quando Mosè si incontra sul monte Sinai con Dio, vede la schiena e non il volto, che è un modo di dire che non lo vedeva. La teofania è tutta incentrata sulla parola, Dio si fa presente parlando, quindi il fenomeno è quello dell'audizione, dell'ascolto.
La stessa cosa si verifica quando Luca racconta la cristofania di Gesù a Paolo sulla via di Damasco. Paolo non ha visto Gesù, bensì solo una luce, ha però sentito la parola. Le cristofanie, ossia le apparizioni del Cristo, sono analoghe alle teofanie dell'AT, espresse con lo stesso verbo.
Inoltre il risorto è un essere, come dice Paolo, pneumatico, appartiene alla sfera dello spirito di Dio, è un essere incorruttibile, celeste (
1 Cor 15, 45-49), è altro dall'essere psichico, corruttibile, terreno, mortale.
La risurrezione comporta una metamorfosi dell'essere, non una vivificazione del cadavere. In ciò sta la differenza tra la risurrezione di Cristo e quella di Lazzaro, che poi è morto definitivamente.

Tutto ciò spiega perché nei racconti successivi delle apparizioni di Cristo, dove si insiste sugli elementi sensibili e tra poco vedremo il perché, Gesù non sia immediatamente riconoscibile.
I discepoli di Emmaus non lo riconoscono subito, pensano che sia un viandante qualsiasi, lo riconoscono solo nel gesto dello spezzare il pane, cioè nella memoria dell’ultima cena.
Così anche Maria di Magdala che va al mattino presto al sepolcro, vede un uomo e pensa che sia il giardiniere, e quando sente la parola: “Maria” lo identifica con Gesù.

Il terzo motivo per cui bisogna escludere ogni visione oculare, deriva da quello che dice Paolo: Gesù è diventato «spirito vivificante» (
1 Cor 15,45), è entrato nella sfera dello spirito di Dio, che non è ocularmente visibile. Dunque lo si percepisce non con gli occhi, ma con l'intuizione della fede.

In definitiva, le apparizioni collegate con la resurrezione sono delle cristofanie: Cristo si rende presente, al modo di Dio, in una persona, nella sua esperienza, come Dio si rendeva presente nella storia del popolo di Dio, l'antico Israele, o anche nella vita di Abramo.



5) La fede nuova viene espressa nei racconti delle apparizioni del risorto

Ho fatto prima una distinzione fondamentale tra l'indicazione sommaria: «è apparso a» ed i racconti delle apparizioni del risorto, non presenti nei testi di Paolo che sono i più antichi.
In
1 Cor 15 Paolo menziona il fatto nudo e crudo: «apparve a Cefa ed ai dodici» e poi fa un elenco di altri ai quali Gesù apparve, tra cui se stesso.
I racconti delle apparizioni non sono nemmeno presenti in Marco, l'evangelista più antico, almeno fino a
Mc 16,8 perché da Mc 16,9 in poi, dove si trovano descritti in modo sommario i racconti delle apparizioni, il testo non è originario, è successivo.
Quindi né in Paolo, né in Marco ci sono i racconti delle apparizioni. Ci sono invece in Matteo, Luca e Giovanni; però i racconti sono diversi, come diversi sono i beneficiari (Maria di Magdala, i discepoli, etc.), diverse sono le localizzazioni (la Galilea per Matteo e Giovanni, la Giudea per Luca e per Giovanni).

In breve, questi racconti rappresentano uno sviluppo della tradizione precedente, secondo tre momenti distinti:
- la formula iniziale: «è stato resuscitato da Dio»;
- la formula complemetare: «apparve a Cefa ed ai dodici»;
- le narrazioni delle apparizioni.

I racconti delle apparizioni più recenti, hanno un chiaro intento apologetico, non di cronaca storica. L'intento è di affermare che si è trattato di un evento reale, che è stato visto non un fantasma, ma una presenza reale. Per questo è introdotto l'elemento della verifica: il risorto mangia, viene toccato, mostra i segni dei chiodi, il costato è stato trafitto. Ma questi sono racconti apologetici, elaborati a difesa della propria fede per significare: egli è veramente risorto.



6) Il problema della tomba vuota

Il racconto della tomba vuota è una tradizione testimoniata solo nei vangeli e non è assolutamente collegato con i motivi delle apparizioni del risorto.
Leggo Marco 16,1-8 ed i corrispondenti passi di Matteo, Luca e Giovanni (in questo caso i sinottici sarebbero 4) per segnare le grandi differenze che ci sono.


Primo elemento

Marco: Il mattino presto dopo il sabato vengono delle donne al sepolcro, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salomè.
Per Matteo sono solo due: Maria di Magdala e Maria di Giacomo.
Per Luca è il gruppo di donne che ha seguito Gesù dalla Galilea.
Per Giovanni infine solo Maria di Magdala.
Come si vede le differenze sono abbastanza rilevanti.

Marco: Le donne vanno al sepolcro di Gesù per ungerlo con aromi comperati. Questo è molto strano, la sepoltura era stata già fatta per cui l'unzione era del tutto improbabile, tant'è vero che il particolare non compare negli altri evangelisti, tranne in Luca.
Inoltre in Marco gli aromi sarebbero stati comperati passato il sabato, quindi durante il mattino presto del giorno successivo, come se gli aromi si potessero comperare a quell'ora!
Per Luca viene anticipato il momento di acquisto degli aromi al giorno prima.
Per Matteo le donne vengono soltanto per vedere il sepolcro.
Per Giovanni infine Maria va semplicemente al sepolcro.


Secondo elemento
Per Marco durante il tragitto, notizia non riportata dagli altri tre evangelisti, le donne si domandano chi potrà spostare la pietra all'imboccatura del sepolcro, come se sapessero solo durante il viaggio che per imbalsamare Gesù c'è la difficoltà di spostare una grande pietra.
E Marco così continua: da lontano vedono che la pietra è stata spostata. Analogamente Luca e Giovanni.

Invece Matteo introduce il motivo di un grande terremoto e dell'angelo del Signore che discende dal cielo, sposta la pietra e vi si siede sopra.


Terzo elemento
Secondo Marco «entrano e vedono un giovane seduto sulla destra con veste candida ed ebbero spavento».
Secondo Luca «entrano e vedono il corpo di Gesù ed ecco due uomini venire loro incontro».
Giovanni invece narra che Maria, vista la pietra spostata, corre a dire a Pietro ed al discepolo prediletto: «hanno tolto via il Signore e non sappiamo dove lo hanno messo».


Quarto elemento
Le donne entrano nel sepolcro ed il giovane, o i due uomini, o l'angelo del Signore dicono loro:
«Non temete, voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso» (Marco).
«So che cercate Gesù, il crocifisso» (Matteo).
«Perché cercate il vivente tra i morti?» (Luca).

Il messaggero continua:
«È stato resuscitato, non è qui, guardate il posto dove lo avevano messo» (Marco).
«Non è qui, è risuscitato, come aveva detto (c'è quindi la predizione), guardate al posto dove giaceva» (Matteo).
«Non è qui, ma è stato risuscitato. Ricordatevi cosa vi aveva detto in Galilea» e segue l’indicazione della predizione di Gesù: prenderanno il Figlio dell'uomo, lo uccideranno ma il terzo giorno risusciterà. «Ed esse si ricordarono della predizione di Gesù» (Luca).

E ancora:
«andate a dire ai discepoli suoi ed a Pietro che Gesù vi precede in Galilea, là lo vedrete come vi ho detto» (Marco, che quindi suppone che le apparizioni avverranno in Galilea).
«E subito andate a dire ai suoi discepoli che è risuscitato dai morti e vi precede in Galilea, là lo vedrete» (Matteo, che più o meno segue Marco).


Quinto elemento
Riguarda l'esito della visita al sepolcro da parte delle donne.
È impressionante in Marco: «e venute via fuggendo dal sepolcro, prese da spavento, erano fuori di sé e non dissero nulla a nessuno, avevano infatti timore».
«E se ne andarono presto dal sepolcro con timore e gioia grande e corsero ad annunciarlo ai suoi discepoli» (Matteo).
«E venute via dal sepolcro annunciarono tutte questo agli undici ed a tutti gli altri» (Luca).

Secondo Giovanni, Maria era andata a dire quello che aveva visto a Pietro ed al discepolo prediletto. I due corrono verso il sepolcro, il più giovane arriva prima e aspetta fuori, Pietro arriva dopo e subito entra, vede a terra le bende con cui il cadavere di Gesù era stato avvolto ed il sudario che era servito per il capo messo in disparte, ma non riesce a spiegare l'accaduto, quindi esce. Entra allora l'altro discepolo, simbolo del credente, vede le stesse cose e crede. Maria poi torna, c'è l'incontro con il finto giardiniere ed avviene l'apparizione di Cristo.
Il racconto della tomba vuota contestualizza l'annuncio del messaggio divino, che manca però in Giovanni.

L'elemento decisivo, il centro del racconto si esprime nelle parole: «è stato resuscitato».
Tutto il resto è solo una grande coreografia, o meglio una cornice popolare pietistica del dato di fede fondamentale, variamente costruita con intento apologetico.

La tomba vuota di per sé non è sufficiente per la fede nella resurrezione perché potrebbe esserci stato il trafugamento del cadavere.
Matteo, che viene più tardi e per il quale la preoccupazione apologetica è più forte, nel cap. 27,62-66, alla fine del racconto della morte di Gesù, racconta che gli avversari vanno dal prefetto romano per avvertirlo che Gesù andava dicendo che sarebbe resuscitato, e dicono a Pilato: «metti delle guardie al sepolcro perché non vengano i suoi discepoli a trafugarlo». Un modo brillante per dire che la tomba vuota non si spiega con il trafugamento del cadavere.

Paolo non ne parla affatto, dice solo: “fu sepolto”, evento collegato con la morte e non con la resurrezione: è morto, è effettivamente morto, a tal punto che è stato messo nella tomba.

In conclusione, il mistero della tomba vuota è secondario, appare successivamente e non è collegato originariamente con la resurrezione, anche la sua storicità non è esente da dubbi e contestazioni.



7) Un conto sono le apparizioni ed un altro è la resurrezione


Le prime sono un’esperienza soggettiva, profonda, di tipo mistico. I discepoli vengono a contatto con Gesù crocefisso concepito come presente in loro allo stesso modo in cui Dio si era fatto presente nella storia d’Israele.
La resurrezione è invece una categoria teologica interpretativa, si riferisce a qualcosa che i discepoli hanno percepito tramite le apparizioni. La resurrezione è un evento interpretativo che fa riferimento alla morte, al suo superamento, non solo dell'interessato ma anche di altri: dire che Gesù è stato risuscitato da Dio è una realtà che investe il destino dell'umanità.
La categoria della resurrezione, che è teologica, ha alle spalle una storia precisa anche se non lunga, come cercherò subito di illustrare.



8) La credenza giudaica nella resurrezione e la fede cristiana

La resurrezione è attestata in Daniele cap. 12 (ll° secolo a.C.) ed in diversi scritti del giudaismo che vanno dal l° secolo a.C. in poi, secondo cui la resurrezione alla fine sarebbe arrivata come un grande exploit di Dio che avrebbe strappato al regno dei morti i fedeli.
Secondo un filone secondario, che appare ancora in due testi del NT, Atti e Giovanni, la resurrezione avrebbe riguardato tutti, non solo i fedeli.
Un terzo filone infine non attendeva nulla.
La resurrezione riguardava quindi solo un filone delle attese escatologiche del giudaismo.

Dal punto di vista storico-culturale, l’originaria confessione di fede cristiana si inquadra nella vasta corrente ebraica di marca apocalittica (anche se non era l'unica forma, come ho prima accennato), ma con qualche originalità che già all'inizio distingue il movimento di Gesù dal giudaismo del tempo.
La frattura si consumerà più tardi, i primi nuclei cristiani per i primi decenni vivono all'interno della Sinagoga.

Prima originalità: la resurrezione è anticipata nella storia, mentre per il giudaismo dire resurrezione e dire la fine era la stessa cosa. Nel caso di Gesù abbiamo una resurrezione e la storia va avanti.

Seconda originalità: la resurrezione è di uno solo, mentre per il giudaismo si attendeva la resurrezione di tutti i fedeli, del popolo, o di tutta l'umanità.

Terza e decisiva originalità: la resurrezione non riguarda uno qualsiasi, un caso sporadico o un caso eccezionale. Si crede in una resurrezione, come dice Paolo, che è la primizia (aparchè) di quelli che si sono addormentati nella morte. Gesù è il primo uscito dal regno dei morti, ma ne seguiranno altri, e non è solo il primo in senso cronologico, ma anche come principio attivo, la fede nella resurrezione di Gesù è la fede nel risorto e nel resuscitatore.

Paolo confronta Adamo con Cristo: Adamo è il principio della morte mentre Cristo è il principio della resurrezione (
1 Cor 15), così il futuro della resurrezione come realtà collettiva è pregiudicato dalla resurrezione singolare di uno.
Questa realtà è accaduta nella storia anche se, a differenza delle apparizioni, non è un fatto storico accertabile, è invece accertabile la fede dei discepoli nella resurrezione. Le apparizioni invece sono elementi storici, considerati però come esperienza profonda dei discepoli, esperienza soggettiva.

Per i discepoli che sono giunti a credere, la storia è ormai giunta ai tempi finali per merito di Gesù. Galati 4.4 dice: «quando venne la pienezza dei tempi»; in Ebrei 1 leggiamo: «Dio dopo aver parlato molte volte in modi diversi ai nostri padri per mezzo dei profeti, adesso che è la fine dei giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio».
Il cristianesimo dunque non nasce come una religione
ex novo, resta sempre fede monoteistica nel Dio della tradizione ebraica, non riconosce un altro Dio, ma solo JHWH a cui attribuisce, nella secolare linea dei suoi interventi storico-salvifici, un altro grande gesto mirabile, la resurrezione del crocefisso, gesto di valenza escatologica, evento ultimo e decisivo per la salvezza degli uomini.
La presenza di Gesù morto e risorto è qualificante, il Dio dei patriarchi, il Dio di Mosè, dei profeti e dei salmisti, è diventato anche il Dio di Gesù Cristo. Per questo la formula monoteistica del linguaggio neotestamentario lo chiama, e nelle preghiere lo invoca, con l'espressione «Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo», con un unico articolo, il Padre di Gesù Cristo, che non è altro dal Dio della fede ebraica.

Nel sommario che ho distribuito ci sono altri due passi importanti che leggo molto schematicamente per problemi di tempo,



9) La confessione della resurrezione di Gesù crocefisso si trova subito abbinata all’attesa della venuta finale del risorto quale Figlio dell'uomo che riunirà i credenti nel regno celeste di Dio

La figura del Figlio dell'uomo era già presente in Gesù, adesso viene ripresa precisando che il Figlio dell'uomo che verrà è certamente Gesù.

L'escatologia che è attesa dai credenti ha una connotazione diversa dall’escatologia di Gesù che aspettava l'irruzione del regno di Dio nella storia, nel popolo per mettere ordine, l'irruzione di Dio per diventare re.
La speranza dei primi credenti nell'arco di pochi anni si rivolge al regno di Dio come regno celeste, attestato da Paolo nella 1 lettera ai Tessalonicesi cap. 4, dell'anno 50, quindi circa 20 anni dopo la resurrezione, ma che si riferisce a materiale degli anni 40 proveniente dalla chiesa antiochena.
Il Figlio dell'uomo, che Paolo chiama Figlio di Dio, perché Figlio dell'uomo nell'ambiente greco sarebbe stato incomprensibile, discenderà dai cieli ed allora noi, i viventi ed i morti che saranno stati resuscitati, tutti insieme andremo incontro al Signore nell'aria.

Questa escatologia, questo regno di Dio, se vogliamo utilizzare questa formula che in Paolo però non c'è, è atteso come in Gesù, ma Gesù lo attendeva dentro la storia del popolo, mentre i primi discepoli lo attendono come il regno celeste di Dio.
Quindi carattere terreno in Gesù e carattere celeste nei suoi credenti, in mezzo c'è stata la resurrezione di Gesù, l'evento finale che ha cambiato secondo loro le carte in tavola, mantenendo però la grande spinta escatologica della speranza.



10) I discepoli di Gesù hanno scoperto pian piano, andando a ritroso nel tempo, il valore salvifico della morte di Gesù

Su quest'ultimo aspetto non possiamo soffermarci.



IV. Conclusione

II movimento di Gesù come movimento cristiano si costruisce dal di dentro attraverso tre elementi:
- la fede nella resurrezione;
- la speranza nella parusia, nella venuta finale di Cristo che ci riunisce con sé;
- la fede nel Cristo morto per i nostri peccati, cioè attribuire valore soteriologico alla morte di Gesù.

Questo è il movimento cristiano come nasce dall'interno. La volta prossima dirò qualcosa circa i vari gruppi cristiani e le loro diversità.



DIBATTITO



1. Venticinque anni fa ho letto un libro che raccontava la storia di un prete dell'Equador, Ettor Gagliego, che lavorava con i campesinos ed insegnava loro a riappropriarsi delle terre che lavoravano. Un giorno fu preso dagli squadroni della morte, probabilmente fu caricato su un aereo e buttato in mare. I suoi contadini si trovarono in grande difficoltà perché la loro speranza era riposta nel maestro Ettor Gagliego. Dopo un paio di mesi dalla morte decisero però di continuare loro stessi la battaglia. Se Cristo fosse nato in questo secolo, si sarebbe chiamato Ettor.
La conversazione di questa sera mi ha prepotentemente richiamato la storia che ho raccontato perché mi pare che la lettura che i contandini hanno fatto della vita di Ettor è più o meno la stessa che i discepoli hanno fatto della vita di Gesù. Infatti i discepoli, ad un certo punto, si sono riappropriati della storia e della vita di Gesù ormai finita con la sua morte e l'hanno trasferita nella loro vita, dicendo praticamente che la vita e la morte di Gesù erano per loro il lievito della loro storia, e più in generale il lievito della storia.
Quello che tu hai detto stasera è per me molto importante, perché se la resurrezione è un fatto di fede, un fatto di ricomprensione, e tu ne hai fatto notare l'evoluzione, sarebbe anche interessante conoscere la cronologia, cioè in quali documenti sono inseriti i passaggi che hai citato e che vanno esaminati anche alla luce delle epoche in cui sono avvenuti.
Solo dopo l'incendio di Roma i cristiani cominciarono ad essere perseguitati e ad essere additati come i dannati della storia in quanto nemici dell'impero, della società umana. Mi domando se questo bisogno di resurrezione e questa necessità di un risorto come primizia di tanti risorti fosse anche legato alle loro pene ed alle loro sofferenze per aver creduto in un uomo come Gesù che parlava di liberazione, di fraternità, che voleva abolire la schiavitù, che dava un posto nella società alla donna, etc. Tra i cristiani molti erano schiavi, c'erano delle prostitute, c'erano gli elementi deboli della società, come fa ben notare Luca che è stato un rappresentante molto importante nella formazione del cristianesimo.
Una seconda domanda riguarda l'eucarestia come testamento lasciato da Gesù, che non parla invece degli altri sacramenti. La riflessione sul battesimo e sugli altri sacramenti, che hanno avuto un grande peso nell’organizzazione della chiesa, appartiene a Gesù che appare ai discepoli, e quindi il battesimo, la cresima, il matrimonio, il sacerdozio (sacramento di grande rilievo in quanto ha dato luogo ad un tipo di organizzazione nella chiesa che è stata fortemente sacralizzata e ritenuta immutabile) non sono originari di Gesù, ma dei suoi discepoli.

Per quanto riguarda la prima domanda, c'è la resurrezione della fede dei discepoli. Su questo non c'è dubbio. Nei discepoli dopo il venerdì santo c'è stata la ripresa, la resurrezione nel loro animo, nella loro fiducia. Questo è un elemento molto comune a vari fenomeni religiosi, anche di diverso genere. Si è toccato il fondo e poi si ritorna su.
Però c'è un elemento abbastanza interessante nelle testimonianze che abbiamo. Non c'è stata una lenta maturazione dei discepoli, la loro rinascita è stata abbastanza improvvisa e soprattutto non è stata provocata dall'esterno. Nell’esperienza dei discepoli si è imposta la presenza (e non possiamo dire più di tanto) di Cristo così come si faceva presente Dio nella storia del popolo ebraico. È questo incontro, che io definirei mistico, che li ha risuscitati. La resurrezione di Cristo quindi è la causa della risurrezione dei discepoli.
Certo noi storicamente conosciamo solo la risurrezione dei discepoli, i quali però dicono che sono risorti per aver incontrato Cristo, e quando vogliono precisare che cos'è questo Cristo che hanno incontrato, dicono che è risorto usando una categoria interpretativa che ha un significato ampio sulla storia, sulla salvezza degli uomini, sullo stesso destino di Cristo, che a questo punto diventa il risuscitatore, il salvatore.
Quindi direi che c'è una analogia molto pronunciata con la resurrezione degli sfiduciati, ma anche un elemento di novità: la resurrezione è operata da un evento che ha interessato Cristo e che li ha coinvolti. C'è quindi una resurrezione dei discepoli in senso generale, ma c'è anche una resurrezione che ha riguardato Cristo, diventato primizia dei risorti. E primi risorti, anche se non nella fisicità, sono i discepoli, diventati tali per mezzo della presenza vivificante di Cristo. È il dato di fede che loro testimoniano.
Quanto alla seconda domanda, direi che il battesimo e l'eucarestia non appartengono propriamente all’organizzazione, sono i sacramenti dell’iniziazione. Ogni gruppo ha un rito di iniziazione, di ingresso. Il battesimo certamente appartiene al peridodo dopo Pasqua, e così la cena del Signore, anche se si ricollega con le cene di Gesù e con la cena ultima. Però il battesimo e l'eucarestia sono due sacramenti di iniziazione, sono i momenti di strutturazione essenziale di un gruppo.
L'organizzazione, soprattutto quella che riguarda i rapporti di potere, viene dopo quando si aggiungono altri sacramenti, e mi pare che il matrimonio sia stato uno degli ultimi. L'organizzazione sacerdotale è tardiva, anzi all'inizio il fenomeno cristiano del 1° secolo non ha nulla di sacerdotale, avviene fuori dal tempio, poi pian piano si ripercorrono i processi di altre religioni. È interessante notare che, fatti salvi i primissimi anni durante i quali la comunità di Gerusalemme andava ancora al tempio, le prime comunità, a partire dal gruppo di Stefano, hanno rotto con la struttura templare e sacerdotale, ma stranamente poi nei secoli si è tornati ad ispirarsi alla tradizione giudaica dell'AT ed è stata introdotta una nuova visione di tipo cultuale e sacerdotale.


2. Perché la chiesa nel credo mette il verbo all'attivo: “Gesù risuscitò” da “resurrexit”?

Si dovrebbe mettere il passivo in effetti. Inizialmente la formula originaria era «è stato risuscitato», l'accento veniva posto su Dio risuscitatore, nel senso che Gesù non si è risuscitato per conto proprio. Successivamente sono sorte delle forme intransitive con il verbo
anistémi, per es. Luca 24: «Cristo risorse ed apparve». Probabilmente l'attivo di “apparve” ha fatto in modo che anche il primo verbo prendesse l'attivo, però decisivo fattore interpretativo dell'evento è l'intervento di Dio.
Ecco perché possiamo dire che la fede cristiana non nasce come una nuova religione rispetto alla fede ebraica, ma aggiunge rispetto ai gesti compiuti da Dio nella storia, le
mirabilia Dei che vanno dalla creazione alla chiamata di Abramo, alla costituzione del popolo, a Mosè, ai profeti, un ultimo decisivo gesto secondo la fede dei discepoli, quello di risuscitare il crocifisso, gesto che è in linea con gli altri ma che conclude e dà ad essi il suggello, costituendolo “spirito vivificante” per tutti. Questo è l'elemento decisivo.


3. Lei ha parlato di apparizione, voleva forse interpretarla come un corpo astrale? Come allora ci rientra la storia di Tommaso che ha toccato? Non è più apparizione, e presumibilmente neppure un corpo astrale.

II caso di Tommaso è proprio quello classico della verifica. In una prima apparizione ai discepoli (vangelo di Giovanni) Gesù mostra i segni ed il costato, Tommaso non è presente ed allora per lui è necessaria un'altra apparizione che deve essere più potente della precedente, altrimenti sarebbe stata solo un ricalco, si arriva così a mettere il dito nel costato. Tutto questo appartiene alla natura dei racconti che non sono delle cronache, bensì pagine apologetiche il cui intento è di dire: noi non abbiamo incontrato un fantasma, ma una presenza reale.
Il Cristo risorto non solo non è stato visto, ma non si può vedere, come non si può vedere lo spirito. Cristo è diventato lo “spirito vivificante” e noi dobbiamo assumere la riflessione fatta da Paolo negli anni 53-54 nella
1 Cor 15 che distingue l'essere psichico dall'essere pneumatico, l'essere terrestre dall'essere celeste, l'essere corruttibile dall'essere incorruttibile.
Gesù risorto è entrato nella sfera di Dio, è diventato un essere celeste, non è più un essere terrestre, non si può vedere, tant'è vero che gli stessi racconti apologetici della verifica ondeggiano tra elementi di verifica esterna ed elementi per i quali la verifica esterna non ha valore. Maria Maddalena ad es. scambia Gesù per il giardiniere. Coloro che hanno raccontato o scritto i racconti sono consapevoli di questo scarto, l'unica verità dei loro racconti apologetici è che vogliono difendere l'oggetto della loro fede: Gesù è veramente, realmente risorto. Ma “realmente” non vuol dire ocularmente visto, ocularmente visibile.
In altre parole, è importante distinguere la resurrezione di Cristo da quella di Lazzaro. Quest'ultima è stata la vivificazione del cadavere tanto che poi Lazzaro è morto definitivamente. Invece nella resurrezione di Cristo, questi si è metamorfizzato, è diventato spirito vivificante.


4. Durante la risposta precedente, lei ha ricordato i mirabili segni di Dio nel popolo, di cui l'ultimo è quello di Cristo. In realtà l'islam dice che Gesù è il penultimo dei profeti, essendo Maometto l'ultimo che noi storicizziamo nell'anno 660 dell'era cristiana. Sarebbe però interessante, dato che oggi lei ha messo in rilievo i segni fondamentali della nascita del cristianesimo, valutare i segni di originalità o di affinità delle religioni precedenti il cristianesimo, come ad es. quella mitraica (600 a.C.) dove si parla di un Dio nato da vergine, del buon pastore, del salvatore del mondo, od ancora più indietro nel tempo la costellazione della religione egizia, che è abbastanza complessa, nella quale c'è la storia di Iside ed Osiride, cioè della morte e della risurrezione, di un Dio che nell'aldilà giudica i credenti, che rappresenta un'altra affinità con la religione cristiana.
La proposta cristiana mi sembra caratteristica di una religione dell'età neolitica, cioè delle religioni che vengono dopo la grande rivoluzione che avviene nell'umanità, la quale comprende che il seme, la risorsa di oggi, non va buttata via, non bisogna farla morire, ma attendere più avanti perché il seme risorga e dia alimento moltiplicato come quantità, é quindi una grande fede nel futuro. Direi che la religione cristiana appartiene a questo schema. Volevo alcune sue indicazioni su tali punti, grazie.

Certo, la risurrezione di Cristo si innesta in un ampio panorama.
Direi che ci sono dei circoli concentrici, alcuni molto ampi, ad es. la resurrezione del seme. In
1 Cor 15 Paolo usa proprio l'analogia con il seme: il seme che tu getti nella terra e quello che esce non è lo stesso, cosi l'uomo che muore e risorge. L'analogia del seme faceva parte della cultura rabbinica, dell'ambiente ebraico.
Ci sono altre ampie analogie, anche lontane, come quelle dei misteri in cui il dio muore e rinasce. Sono analogie un po' distanti. L'analogia più vicina è nella tradizione ebraica che parla di risurrezione degli uomini, mentre gli dèi misterici si identificavano con le forze della natura, con i fenomeni naturalistici, ad es. Proserpina che viene rapita d'inverno, portata nel regno della morte e poi rifiorisce in primavera.
I primi discepoli, che hanno voluto interpretare il loro vissuto dell'apparizione di Cristo, collegata con il ricordo di Gesù di Nazareth, lo hanno fatto con una categoria assunta dalla tradizione ebraica. Poi naturalmente l'applicazione è nuova, originale, in quanto la resurrezione di uno anticipa quella gli altri, questi diventa il risuscitatore degli altri. Direi che c'è una dipendenza culturale della teologia dei primi discepoli, che vogliono spiegare la loro nuova fede, dalla tradizione ebraica. Gli altri riferimenti da Lei accennati si riferiscono ad un contesto più ampio e generale.
Quando dico che l'ultimo intervento di Dio nella storia è l'ultimo in senso qualitativo, escatologico, voglio dire che è quello decisivo, determinante. Tutto ciò naturalmente vale per i cristiani, per il mondo ebraico l'evento di Gesù non è decisivo, e così per la tradizione musulmana che viene successivamente.
Vorrei però aggiungere che tutte e tre le religioni cosiddette monoteistiche sono un’unica religione in quanto hanno un'immagine sostanzialmente identica di Dio (JHWH, il Dio di Gesù Cristo ed Allah): il Dio della creazione, degli interventi nella storia e di un evento conclusivo che per i cristiani è in Gesù, per gli ebrei è in Mosè, nei profeti, e per i musulmani è in Maometto. L'albero su cui si inventa l'evento conclusivo è un’unica religione, cosa molto importante in questo periodo storico di mescolanze di razze diverse, anche se il cristianesimo ha la sua qualifica cristologica, l'ebraismo la sua qualifica mosaica e l'islam la sua qualifica maomettana.


5. Ma queste Madonne che piangono cosa sono? Sono delle apparizioni? Anche sul problema della sindone ci sono dei gruppi che affermano, con molta determinazione, che se la sindone è vera, lo è anche la resurrezione. Invadono con manifesti tutta la città ogni anno con le loro idee. Ma è dunque importante la sindone?

lo credo che in tutte queste apparizioni, visioni della Madonna, etc., c'è un bisogno religioso della gente di vedere, di toccare, mentre la fede cristiana, quella dei primi discepoli, è una fede che non si basa neppure sulla tomba vuota, una fede che è nata attraverso un'esperienza indicibile, quella di aver incontrato il crocefisso, al pari di quella di Mosè che ha incontrato JHWH.
lo direi che noi dovremmo tirarci indietro da questa voglia un po' pagana di vedere, toccare, sperimentare i segni. La fede cristiana è una fede nuova, nata dall'esperienza dei primi discepoli che diventano testimoni, per questo viene chiamata anche fede apostolica. Noi condividiamo la fede dei primi discepoli, siamo chiamati ad accoglierla o a rifiutarla, ma non dobbiamo certo dimostrarla con le varie apparizioni delle Madonne che fanno parte di fenomeni che metterei nella categoria teologica della superstizione, dico teologica nel senso che non appartengono alla fede.
Non so come mai tanti fenomeni siano nati nel cristianesimo e vorrei richiamare la distinzione un po' dura fatta da Barth tra religione e fede. Il movimento cristiano nasce come una fede, una fede nuova, non come una religione con tutte le esigenze di toccare, vedere, di essere più o meno confermata, dimostrata.
Lo stesso discorso deve essere fatto per la sacra sindone: è un elemento coreografico, di nessun interesse per la fede cristiana e la sua natura.


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