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7. Giuseppe Barbaglio 2.03.1995)

Bibbia > 3° Corso di cultura biblica: Gesù di Nazareth, ebreo di nascita cristiano di adozione (1994-1995)



trascrizione Integrale


La religione di Gesù e la fede nel Cristo

4) Pluralismo: comunità di tradizione giudaica e comunità paoline




SOMMARIO

Atto di nascita del movimento cristiano e suo sviluppo.
Lo sviluppo non è pura e semplice moltiplicazione materiale degli aderenti, ma formazione di un fenomeno poliforme.

I. Pluralità e diversità di carattere socio-culturale
1) Movimento di carismatici o profeti itineranti e gruppi sedentari o piccole comunità
2) Comunità palestinesi di lingua aramaica e di lingua greca
3) Comunità cristiane extrapalestinesi miste e ad esclusiva o prevalente composizione di gentili o incirconcisi

II. Pluralità e diversità di segno ideologico
Sono causate da diverse interpretazioni della stessa fede in Cristo.
1) L'accoglienza degli incirconcisi e dei pagani
2) Legame con il giudaismo ed in particolare con il tempio dei primi gruppi cristiani
3) Pluralità e diversità crìstologica. Appare da tre punti di vista:
a) Cristo è un uomo giusto, povero e perseguitato, a cui Dio ha reso giustizia risuscitandolo, ed è atteso a brevissima scadenza? oppure è un essere divino incarnato o disceso dal cielo, messo a morte, ma risuscitato da Dio, che verrà alla fine come salvatore?
b) Cristo è visto soprattutto in proiezione futura? oppure è una presenza attiva ora?
c) Cristo è un maestro straordinario che ci salva con il suo insegnamento (cristologia di Matteo)? oppure è un salvatore che trasforma già adesso le persone che credono in lui in "nuove creature" (cristologia di Paolo)?

Questa diversità appare macroscopica.

III. Matteo e la sua comunità
1) Cristo maestro di vita
2) Cristo perfezionatore della legge mosaica
3) Missione didattica della chiesa
4) I cristiani sono i discepoli di Cristo
5) II discepolato cristiano: osservanza dell'insegnamento di Gesù

IV. Paolo e le sue comunità
1) Trascura l'insegnamento di Gesù di Nazareth
2) Riferimento essenziale di tipo mistico a Gesù morto e risorto
3) II peccato (al singolare) e la liberazione dell'uomo. Cf.
Rm 7; 2 Cor 5,17; Gal 6,14-15; Gal 5,24-25; Gal 3,2; Rm 8,2.

V. Diversa antropologia




Premessa

Qualche anno fa, in occasione di un altro incontro, dissi che le differenze attuali tra le varie confessioni cristiane: protestante, cattolica, ortodossa, etc., sono poca cosa rispetto a quelle che esistevano tra le comunità cristiane dei primi decenni. Oggi mi sento di poter confermare quella mia affermazione ed aggiungo che, nonostante le grandi differenze, le comunità stavano insieme e nessuno pensava di scomunicare l'una o l'altra.



Introduzione

Questa sera concludo il mio cammino, che brevemente riassumo:
1° Incontro: presentazione, a grandi linee, di come Gesù si situa all'interno del giudaismo.
2° Incontro: tragica fine di Gesù con le relative motivazioni e responsabilità.
3° Incontro: nonostante la fine tragica di Gesù, il suo movimento non finisce. Dopo il venerdì santo inaspettatamente nei discepoli storici di Gesù nasce la fede nella risurrezione del Cristo. Questo è l'atto di nascita del movimento cristiano.
Questa sera cercherò di descrivere il suo sviluppo.



I. Pluralità e diversità di carattere socio-culturale

Il movimeno cristiano si è radicato e moltiplicato dal punto di vista numerico, all'inizio però la crescita è stata molto lenta: nel primo decennio, dal 30 al 40, non superava alcune centinaia di persone; nei due decenni successivi, dal 40 al 60, sarà cresciuto fino a qualche migliaia in Palestina e fuori; alla fine del 1° secolo non superava probabilmente i 50.000 credenti.
Vi è stato contemporaneamente uno sviluppo qualitativo molto importante. Il movimento cristiano si è diffuso al di fuori della Palestina, nei grandi centri e nelle grandi metropoli dell'impero romano, con una altissima creatività ed una grande ricchezza realizzando uno sviluppo poliforme: non solo troviamo numerosi gruppi cristiani nei diversi centri urbani ed in qualche villaggio rurale (il movimento cristiano è stato soprattutto all'inizio un fenomeno essenzialmente urbano), ma anche più forme cristiane, incarnazioni molteplici della stessa fede in Cristo risorto, diverse attuazioni della stessa sostanziale credenza cristiana.
Questa pluralità e diversità qualitativa è il fenomeno più interessante.



1) Movimento di carismatici o profeti itineranti e gruppi sedentari o piccole comunità

Tra le forme cristiane, forse la prima è quella di un movimento di persone itineranti di tipo carismatico, profetico. È stato tradotto in italiano il volumetto di Gerd Theissen,
Gesù ed il suo movimento (Claudiana, Torino 2007) che documenta l'esistenza, nei primissimi anni, del fenomeno di tipo itinerante. Persone che avevano abbandonato la casa, la famiglia, i beni, vivevano di elemosina con qualche aggancio a gruppi stanziali cristiani che formavano delle comunità.
Abbiamo quindi una prima forma cristiana non comunitaria che si rifaceva all'esperienza di Gesù e del suo gruppo. Il movimento di Gesù era formato da persone che avevano lasciato la casa, la famiglia, che non avevano più beni, che vivevano di elemosina, sostenute in vario modo, in particolare, come ho accennato nel precedente incontro, da alcune donne piuttosto facoltose (testimonianza del Vangelo di Luca). C'è quindi una continuità di tipo socio-culturale tra il movimento di Gesù e quello dei profeti carismatici.

Troviamo negli Atti degli Apostoli notizie sparse degli spostamenti dei profeti.
È stato merito di Paolo aver riunito i vari elementi e averci dato un quadro abbastanza completo del fenomeno che riprendeva lo stile di vita di Gesù e del suo movimento.

Il movimento cristiano itinerante, con tutta probabilità, sta alla radice di una delle fonti delle tradizioni evangeliche, la cosiddetta fonte Q, la fonte dei detti di Gesù, utilizzata da Matteo e da Luca, ma non da Marco. Appartengono a tale fonte: il discorso della montagna presente in Matteo ed in Luca con alcune differenze ma sostanzialmente coincidenti, il Padre Nostro, le Beatitudini, diverse parabole.

Questo movimento più che un libro, una fonte scritta, ha creato una tradizione che risaliva a Gesù, ma soprattutto ha tenuto vivo nella storia il movimento di Gesù nelle sue esigenze più radicali. Cf. ad es. il racconto di quel giudeo che dice a Gesù di aver osservato tutti i comandamenti per ottenere la vita eterna e Gesù gli risponde che se voleva essere perfetto doveva vendere tutto quello che aveva, darlo ai poveri e seguirlo.

Un secondo filone di tradizione gesuana, tenuto vivo dai cristiani itineranti di Palestina, è quello della prospettiva escatologica, la prospettiva finale del Figlio dell'uomo, però con una novità rispetto a Gesù: il Figlio dell'uomo atteso adesso, che discende sulla terra dal cielo, è chiaramente Gesù. Quindi è un movimento escatologico di radicalismo evangelico.

Questa forma è poco conosciuta perché noi stranamente pensiamo che il cristianesimo è nato solo come un fenomeno comunitario ecclesiale, in realtà non è stato così dovunque.
Il cristianesimo comunitario, ecclesiale, stanziale, è certamente quello di Paolo, che era un missionario itinerante ma non nel senso dei carismatici che andavano da un posto all'altro ad annunciare il Regno e l'esigenza di Dio.
Egli andava nei vari posti per fondare delle comunità fermandovisi parecchio tempo, anche qualche anno (un anno e mezzo a Corinto, quasi tre anni ad Efeso), finché la comunità poteva andare avanti da sola.
Paolo era un fondatore di comunità, era un missionario itinerante diverso dai missionari itineranti palestinesi che passavano da un posto all'altro annunciando il messaggio senza fermarsi.

Nella
Didachè, un antico libro delle origini cristiane che non è entrato nel canone dei libri ispirati, è riportato al cap. 11,5: «Se un profeta viene e si ferma un giorno nella comunità, bene, se si ferma due si deve guardare con occhio critico, se si ferma tre è un falso profeta». In questo testo sono riportate le testimonianze del movimento itinerante che si appoggiava alle comunità, che viveva di elemosine e che continuava il modo ed il tenore di vita di Gesù e del suo gruppo.

Poi abbiamo i gruppi sedentari o piccole comunità che sono nate prima in ambito sinagogale, poi anche fuori, costituite da cristiani che continuavano a vivere in famiglia, nelle loro case, con i loro beni, che si riunivano periodicamente per la cena del Signore e per l'ascolto della parola di Dio, attestata nelle scritture e dai profeti cristiani.

È interessante notare che è Paolo a darci le maggiori informazioni sul fenomeno profetico all'interno del cristianesimo delle origini (
1 Cor 12 e 14), anche se il profetismo di Paolo non era itinerante, ma legato alla comunità. Tra la glossolalia (il parlare in modo incomprensibile) e la profezia, Paolo dice di preferire la profezia perché è parola costruttiva della comunità.
Abbiamo dunque un profetismo itinerante ed un profetismo di tipo ecclesiale, ma soprattutto comunità di sedentari.



2) Comunità palestinesi di lingua aramaica e di lingua greca

Una seconda diversa immagine della proliferazione anche qualitativa del movimento di Gesù sono le comunità palestinesi di lingua aramaica, come la comunità apostolica di Gerusalemme che ha avuto Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, come leader dopo che Pietro aveva iniziato la missione; una comunità giudeo-cristiana rimasta a Gerusalemme fino alla sollevazione del 66 e che poi, con tutta probabilità, si è ritirata in Transgiordania.

Anche in Galilea dovevano essere sorte comunità giudeo-cristiane di lingua aramaica, come dimostrano gli ultimi scavi. A Cafarnao pare sia stata trovata la casa di Pietro, dove vi era una comunità domestica galilaica, certamente di lingua aramaica.

In Palestina vi erano anche comunità palestinesi di lingua greca, come ad es. il gruppo di Stefano.
Negli Atti degli Apostoli l'autore, molto ironico, descrive una storia dei primi anni del cristianesimo all'insegna della pace, della tranquillità, della comunione tra tutti, ma tale realtà nasconde le grandi tensioni che vi furono. Infatti la comunità di Gerusalemme si divise in due, una quella aramaica degli apostoli, l'altra quella di Stefano, anch'essa composta da giudeo-cristiani ma di lingua greca.
La differenza culturale tra di esse era così rimarchevole che si crearono due diverse comunità e quando si scatenarono le prime persecuzioni sotto Agrippa, fu presa di mira solo la comunità di lingua greca di Stefano, Filippo etc., e Stefano fu la prima vittima, mentre la comunità aramaica di Gerusalemme, che frequentava quotidianamente il tempio e si presentava all'esterno come un gruppo di giudei a tutti gli effetti, fu lasciata in pace.


3) Comunità cristiane extrapalestinesi miste e ad esclusiva o prevalente composizione di gentili o incirconcisi

Fuori della Palestina vi furono delle comunità miste, cioè composte da giudeo-cristiani e da pagano-cristiani.
Una grande comunità di questo tipo è quella di Antiochia, frutto dell'attività del gruppo di Stefano che, dopo essere stato disperso da Gerusalemme, arrivò ad Antiochia e diede inizio, soprattutto per opera di Barnaba, una grande figura, ad una comunità in cui sono confluiti a parità di condizioni i giudei ed i pagani convertiti che restavano tali, cioè incirconcisi.
È quindi cominciata, per la prima volta, una nuova prassi missionaria: accogliere i pagani nella comunità cristiana sulla base della sola fede, non richiedendo loro di smentire, di annullare la loro identità culturale di incirconcisi. Restavano incirconcisi e la comunità era formata da cristiani circoncisi e da cristiani incirconcisi.

All'esterno della Palestina sono sorte le comunità dovute all'opera di Paolo, che conosciamo in base alle sue lettere ed alla sua biografia riportata negli Atti degli Apostoli.
Fuori dagli ambiti prima ricordati resta l'Egitto, di cui non si parla affatto nemmeno negli Atti degli Apostoli. Si dice che Apollo venisse da Alessandria d'Egitto, ma Paolo che è andato un po' dovunque, non è mai andato in Egitto e non ne sappiamo la motivazione.
Comunque, per merito di Paolo sono nate alcune comunità extrapalestinesi composte in prevalenza, se non esclusivamente, da pagano-cristiani, e la differenza religioso-culturale tra cristiani di origine giudaica e pagana era rimarchevole.



II. Pluralità e diversità di segno ideologico

La breve panoramica di cui ho accennato sopra rappresenta il polimorfismo del movimento cristiano dal punto di vista socio-culturale. Tale polimorfismo ha influito soprattutto sul prodursi di una pluralità ed una diversità di segno più intrinseco, direi di carattere ideologico, causato da diverse interpretazioni, diverse letture della stessa fede in Cristo.
Mostrerò qui di seguito tali differenze rispetto ad alcuni problemi fondamentali che nei primi anni si sono posti al movimento cristiano:


1) L'accoglienza degli incirconcisi e dei pagani

Ad Antiochia per la prima volta i pagani sono stati accolti restando tali, incirconcisi. Ma tale prassi fu così innovativa che provocò pesanti contestazioni che confluirono nel famoso Concilio di Gerusalemme, chiamato a decidere se la prassi missionaria della chiesa di Antiochia era legittima o meno.

Non è stato quindi Paolo il primo ad introdurre i pagani nelle comunità cristiane a parità di condizioni, ossia senza richiedere loro la circoncisione, o l'osservanza della legge mosaica. Il primo fu il gruppo di Stefano. Paolo è nato come cristiano all'interno di questo gruppo, Barnaba lo inserì nella chiesa di Antiochia e lì fu all'inizio missionario. Il suo contributo originale fu soprattutto di tipo teologico: giustificare teologicamente la prassi missionaria della chiesa antiochena.

Non è che gli altri gruppi cristiani, come le comunità aramaiche di Palestina, rifiutassero l'accoglienza dei pagani, degli incirconcisi, no, tutti i gruppi cristiani erano universalisti, ammettevano all'interno dei loro gruppi circoncisi ed incirconcisi, ma alla condizione che quest'ultimi venissero circoncisi, cioè perdessero la loro identità culturale e si sottomettessero ad un processo di assimilazione culturale-religioso al giudaismo.

Il vero problema non era universalisti sì ed universalisti no, ma quale universalismo.
C'era l'universalismo dell’assimilazione dei diversi, in modo che non fossero più diversi, e quello dell’accettazione dei diversi e della loro diversità.
In altri termini un universalismo centripeto o un universalismo centrifugo?
Nel primo senso i pagani salgono a Gerusalemme per ricevere la parola di Dio, facendosi giudei per mezzo della circoncisione e del rispetto della legge mosaica, da intendere come segni di identità. Era questo il sogno della tradizione giudaica veterotestamentaria — evento profetizzato dal grande Isaia che vedeva i vari popoli salire a Gerusalemme ad accogliere la parola di Dio che era poi la legge di Dio. Quindi un universalismo centripeto riferito alla centralità di Gerusalemme.
Nel secondo universalismo invece i cristiani escono da Gerusalemme e vanno nel mondo a costituire delle comunità di credenti di soli gentili o ad inserire i gentili nelle comunità dei circoncisi a parità di condizioni.



2) Legame con il giudaismo ed in particolare con il tempio dei primi gruppi cristiani

Questo problema si lega strettamente al precedente.
La comunità aramaica di Gerusalemme si recava ogni giorno al tempio per le preghiere. C'era quindi una sua integrazione piena con la tradizione, con la prassi e con la liturgia giudaica.

D'altra parte c'erano altri gruppi, come la comunità di Stefano (iI cap. 7 degli Atti degli Apostoli riflette non solo la mentalità dell'autore, ma anche quella di tale comunità) con una mentalità critica nei confronti del tempio. Questi gruppi avevano preso le distanze dal giudaismo.

Secondo Paolo, che conosciamo meglio tramite le testimonianze delle sue lettere, i cristiani di origine ebraica potevano benissimo continuare ad osservare la legge mosaica e frequentare il tempio, non chiedeva a questi un cambiamento culturale e religioso. Egli stesso, sollecitato da Giacomo, accettò di andare al tempio e pagare di tasca propria lo scioglimento di un voto fatto dai cristiani gerosolimitani, per dare prova che non era un traditore delle tradizioni giudaiche, non era un non-giudeo.
Ma per Paolo la tradizione ebraica non doveva essere imposta ai gentili. La legge mosaica, ed in particolare la circoncisione segno dell'identità giudaica, non erano la carta d'identità per il movimento cristiano. La fede in Cristo era la costante di tutti i credenti, mentre la circoncisione, l'osservanza della legge e il frequentare il tempio, erano variabili che interessavano i gruppi giudei.

In definitiva, le posizioni in campo erano queste: per un versante vi era una soluzione ironica, di compromesso anche nel senso migliore, tra la fede in Cristo e la legge mosaica, per un altro versante vi erano le posizioni di Paolo, del gruppo di Stefano, per le quali si proponeva la fede in Cristo senza la legge mosaica, almeno per i gentili.
Quindi da una parte abbiamo l'una e l'altra, da un'altra parte o l'una o l'altra.



3) Pluralità e diversità crìstologica.

La grande diversità che si è determinata all'interno del movimento cristiano nei primi 30 anni, riguarda soprattutto l'interpretazione profonda di Cristo, una pluralità ed una diversità cristologica che sembra essere il dato più impressionante.
Voglio mostrare tale pluralità e diversità per mezzo di antitesi che potrebbero apparire delle semplificazioni. In realtà vi erano anche posizioni più flessibili, intermedie, però esse servono a rendere chiaro il quadro.

a) Cristo è un uomo giusto, povero (secondo la tradizione giudaica il termine “povero” era simbolico, ricco di significati), perseguitato (come i tanti perseguitati dei salmi che fanno sentire la loro voce nel Salterio). Dio gli ha reso giustizia resuscitandolo ed è atteso a brevissima scadenza come Figlio dell'uomo che discenderà dal cielo per instaurare il regno di Dio sulla terra.
Questa cristologia, cosiddetta povera, riguardava soprattutto i gruppi palestinesi.

Oppure Cristo è un essere divino incarnato e disceso dal cielo, messo a morte ma resuscitato da Dio. Cristo verrà alla fine come salvatore a prendere con sé i credenti in lui e portarli nel regno celeste.
Troviamo questa cristologia in Galati 4,4, un testo prepaolino quindi molto antico: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge». Dio manda in terra il figlio che è con lui, si esprime dunque l'incarnazione.

La differenza di quest'ultima posizione cristologica rispetto all'escatologia di Gesù e del movimento itinerante palestinese sta nell'attesa del salvatore celeste che inaugura un regno celeste.

In un testo prepaolino, proveniente probabilmente dalla teologia antiochea che Paolo riprende in una sua lettera, 1 Tessalonicesi 1,10, la fede cristiana è così espressa per i pagani: «convertirsi dagli idoli al Dio vivo e vero per servire Dio ed attendere dal cielo il figlio suo Gesù, che Dio ha resuscitato dai morti, che ci libererà dalla collera ventura», cioè dalla condanna eterna.
Il Figlio dell'uomo, figura misteriosa e criptica, non è comprensibile nell'ambiente greco ed allora viene sostituita con la figura del Figlio di Dio.

Nella stessa lettera, ai versi 14-18 del cap. 4, quando Paolo parla del problema della fine dice: «noi che siamo in vita [cioè che siamo superstiti alla parusia del Signore], non li precederemo, non avremo un vantaggio rispetto a quelli che sono già morti, perché i morti resusciteranno per primi e poi tutti insieme, noi vivi ed i risorti, saremo rapiti nell'aria incontro a Cristo per essere sempre con lui, nel suo regno celeste». Quindi c'è l'incontro a mezza aria, a mezza altezza, tra il Figlio di Dio, il Figlio dell'uomo che scende dai cieli, ed i cristiani risorti o viventi che vengono rapiti nel suo regno.

Su questa concezione della preesistenza di Gesù ha influito la tradizione giudaica, soprattutto il libro della Sapienza ed il movimento sapienziale in genere che parla della preesistenza della Sapienza, della sua partecipazione alla creazione divina, del fatto che essa viene ad abitare tra i figli degli uomini.

I giudei-cristiani di lingua greca sono gli iniziatori di questa cristologia gloriosa, cristologia dall'alto, rispetto a quella dal basso dei primi gruppi cristiani.


b) Cristo è vissuto da questi gruppi soprattutto (“soprattutto” sta a significare che c'è una accentuazione anche se non è esclusiva) in proiezione futura, cioè nell'attesa della sua venuta finale gloriosa, come abbiamo visto nella 1 Ts 1,10 dove il polo cristiano del primo credo è aspettare il Figlio di Dio dai cieli, quello che Dio ha resuscitato, che ci libererà dalla condanna eterna.

Oppure è vissuto come presenza attiva ora, capace di influire spiritualmente, di trasformare i credenti in uomini nuovi. Qui l'accento è sull'ingresso dei credenti nella sfera d'azione del risorto, capace ora di dare vita e salvezza e poi di farli pervenire nel suo regno. Si ritiene che la formula paolina “essere in Cristo” sia stata ereditata e poi sviluppata da Paolo.


c) Infine, aspetto sul quale mi fermerò più a lungo, Cristo è soprattutto un maestro straordinario che ci salva con il suo insegnamento di parola e di vita, che ci indica la via da percorrere in modo che quanti lo seguono possano giungere alla vita eterna nell'obbedienza alla sua parola e nella fedeltà al suo esempio, capace di perdonare (non è quindi solo un maestro, anche se tale accento è prevalente) i peccati e di rimettere in strada quelli che trasgrediscono la sua parola, che alla fine emetterà un giudizio di vita per i fedeli e di condanna alla morte eterna per i trasgressori. Questa è la cristologia di Matteo, dove l'accentuazione è su Cristo maestro di vita, il maestro ultimo, il maestro definitivo che insegna a vivere con la sua parola e il suo esempio.

Oppure Cristo è un salvatore che trasforma già adesso le persone che credono in lui in “nuove creature”, coinvolgendole nel suo evento di morte e resurrezione, per cui esse muoiono al peccato e possono camminare in una novità di vita. Cristo alla fine le trasformerà in esseri somatici spiritualizzati, completamente animati dallo Spirito ad immagine del Cristo risorto. Questa è la cristologia di Paolo.

Quest'ultima diversità cristologica a me sembra macroscopica, enorme rispetto alle diversità che oggi separano i cristiani, diversità che allora non portavano alle scomuniche. Paolo ha sempre considerato la chiesa di Cristo come luogo di comunione, di incontro di circoncisi e di incirconcisi.

Ho letto uno studio di Luz, un esegeta svizzero che fa degli sforzi enormi per dimostrare che Paolo e Matteo sono due fratelli. Non è affatto vero, sono due antipodi, sono due realizzazioni cristiane agli estremi opposti.
Per Matteo Cristo è soprattutto un maestro di vita, per Paolo è soprattutto il salvatore. Cristo è sempre la figura centrale, ed infatti le due teologie sono ambedue cristiane, a parità di condizioni, ma per Matteo la centralità di Cristo è quella del maestro che insegna con la sua vita, con il suo esempio, che è risorto e perdona quelli che trasgrediscono, che verrà come giudice finale per verificare la fedeltà al suo insegnamento, mentre per Paolo Cristo è il risorto, colui che contamina con le forze della vita i credenti che aderiscono a lui, coinvolti in una solidarietà mistica con lui.



III. Matteo e la sua comunità

1) Cristo maestro di vita


Cf. il discorso della montagna. Nell'introduzione, tipicamente matteana, Gesù lascia le folle, prende i discepoli (figure molto importanti in Matteo perché i discepoli storici rappresentano i credenti di tutti i tempi) e seduto comincia ad ammaestrarli. Il discorso della montagna è il contenuto dell'insegnamento di Gesù, il maestro supremo.



2) Cristo perfezionatore della legge mosaica.

Cristo per Matteo è il perfezionatore, l'interprete ultimo, definitivo, della legge mosaica. Nel cap. 5,17ss mette in bocca a Gesù: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge ed i profeti [ossia la scrittura nel suo aspetto normativo
], ma a dare ad essi compiutezza. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice cadrà dalla legge che non sia giunto a compiutezza. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi comandamenti, anche minimi ed insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, costui sarà considerato grande nel regno dei cieli. E vi dico che se la vostra [di voi credenti] giustizia non sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei, non potrete entrare nel regno dei cieli».

La giustizia è l'osservanza della legge mosaica interpretata definitivamente dall'insegnamento di Gesù. Egli conferma la validità della legge mosaica, la interpreta in modo compiuto, fa valere per i suoi l'esigenza di una giustizia più grande che si ottiene attraverso l'osservanza più genuina della legge.

Ciò è esemplificato nel discorso della montagna cap. 5: «È stato detto, ma io vi dico», ossia vi dico l'interpretazione della legge mosaica, e lo ripete sei volte in termini esemplificativi, ed alla fine del versetto 48 del cap. 5 dice: «Voi dunque siate perfetti [“siate integri” termine che si ritiene far parte proprio della teologia matteana] come è perfetto [integro
] il Padre vostro nel suo agire». La vostra azione sia integra come l'agire del Padre celeste.

Nel versetto 12 del cap. 7 è riportata, in termini riassuntivi, la famosa regola d'oro: «tutto quello che volete che gli altri facciano a voi, così anche voi fatelo a loro». Una variante in termini negativi, differenza tuttavia trascurabile, è presente nella tradizione giudaica, in particolare in un detto del rabbi Hillel. A questo punto si inserisce la caratteristica di Matteo: «in questo consistono la legge ed i profeti». Questa è quindi l'interpretazione della legge che Matteo mette in bocca a Gesù.

Analogamente nei versetti 34-40 del cap. 22 riguardanti il grande comandamento, oggetto di discussione già nei secoli precedenti come risulta dal Deuteronomio. Gesù cita i due comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo, riportati nel Deuteronomio e nel Levitico, e conclude: «su questi due comandamenti ruotano [come il perno su cui ruota la porta] tutta la legge ed i profeti».

Questa è la cristologia di Matteo nei suoi elementi più evidenti: Cristo è un maestro di vita.



3) Missione didattica della chiesa

Nella conclusione del vangelo di Matteo, negli ultimi versetti del cap. 28, Cristo risorto manda i suoi undici discepoli a battezzare ed a insegnare. Sono le due strade essenziali della missione.
“Battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” è la formula trinitaria, probabilmente quella primitiva era “battezzare nel nome di Gesù”, comunque le due formule coesistevano nel cristianesimo delle origini.

I discepoli debbono insegnare tutto quello che «io ho comandato», il Cristo risorto rimanda così al Gesù di Nazareth. Al Cristo risorto è stato dato il potere divino di autorizzare, avvalorare, l'insegnamento di Gesù di Nazareth. Si rimanda così al magistero storico di Gesù, ai suoi discepoli ed alla chiesa.



4) I cristiani sono i discepoli di Cristo

«Fate discepoli tutti i popoli». Il discepolato diventa l'esperienza cristiana per eccellenza di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Questa è stata la grande interpretazione di Matteo: non solo Gesù è interpretato all'insegna dell’attività dell'insegnamento, ma anche la chiesa ed i discepoli.



5) Il discepolato cristiano

I discepoli storici sono tipizzati. La presentazione di Pietro (che in Matteo ha un grande rilievo) e degli altri discepoli è fatta in modo da richiamare i discepoli storici nel compito di fare discepoli tutti i popoli, battezzandoli ed insegnando loro ad osservare l'insegnamento di Gesù interpretativo della legge mosaica.

Si noti l'inserimento di Gesù all'interno della tradizione ebraica e nello stesso tempo la sottolineatura della sua originalità. Il senso della missione è racchiuso nel brano che Matteo mette in bocca a Gesù: «fate miei discepoli tutti i popoli».



IV. Paolo e le sue comunità

1) Paolo trascura l'insegnamento di Gesù di Nazareth

Un primo dato sconvolgente è che Paolo non si riferisce praticamente mai all'insegnamento di Gesù di Nazareth. Ci sono solo due, tre detti, abbastanza periferici. Per lui l'esistenza cristiana non consiste nell'osservare quello che Gesù ha insegnato, ma nel vivere in Cristo, immersi nella sfera d'influsso del risorto. I cristiani non sono i discepoli di Gesù fedeli al suo insegnamento, ma sono i santi, gli eletti, i chiamati.
Il riferimento a Gesù sia per Matteo che per Paolo è essenziale, ma per Paolo il riferimento è a Gesù morto e risorto, non gli interessa il suo insegnamento, quello che ha detto o fatto in vita.

Questo è anche un limite e per fortuna abbiamo i vangeli. Noi però adesso stiamo vedendo come Paolo e le sue comunità hanno interpretato la fede in Cristo. Fondamentale è il riferimento a Gesù morto e risorto. Cf. il credo riportato in
1 Cor 15,3 che a sua volta riprende una tradizione degli anni 40.

Ma perché l'evento di Gesù morto e risorto è così importante?
Perché non riguarda solo Gesù di Nazareth, che certamente è il soggetto dell'evento. In esso i credenti sono coinvolti, sono immessi, nella morte di Gesù essi muoiono al peccato.

Paolo non dice che i credenti risuscitano nella risurrezione di Gesù perché ha molto nitida la differenza tra l'esistenza cristiana storica ed il traguardo ultimo.
La riserva escatologica in Paolo è fortissima, non ha mai confuso la vita nuova che si ha in Cristo adesso con la salvezza che comporta la risurrezione, quando lo spirito animerà completamente la persona in modo da avere corpi spirituali (
1 Cor 15).

Il corpo per Paolo è tutto l'uomo nella sua relazionalità essenziale a Dio, agli altri, al mondo, a se stesso.
Il corpo è un dato antropologico che definisce basicamente l'uomo, l'uomo o è corpo o è nulla.
Questa struttura somatica esistenzialmente può verificarsi “sotto il segno della carne” come dice Paolo, cioè in un'esistenza egocentrica, di chiusura, oppure può realizzarsi in termini positivi "sotto il segno dello spirito", come corpo spirituale, animato dallo spirito.

La morte e la resurrezione di Gesù diventano così un evento metastorico di morte e di vita che coinvolge anche credenti e battezzati.



2) Riferimento essenziale di tipo mistico a Gesù morto e risorto

Essenziale per Paolo non è un riferimento estrinseco da discepolo a maestro, come nella parte centrale della teologia di Matteo (anche se oltre questo nucleo centrale, in Matteo c'è il perdono dei peccati da parte di Gesù, Gesù come il giudice finale, etc), ma un inserimento nell'evento della morte e risurrezione di Cristo, dunque una realtà mistica, una mistica cristologica come sostenne Albert Schweitrer diversi anni fa.



3) Il peccato (al singolare) e la liberazione dell'uomo

Paolo parla del peccato al singolare, non dei peccati al plurale, come fanno Matteo ed altri.
L'evento liberatorio, salvifico, non consiste nel perdono dei peccati. Non c'è in Paolo né il tema del perdono dei peccati, né quello della conversione, ma il tema della liberazione dal peccato.
Lo stato di perdizione dell'uomo non sta nell'accumulo di peccati, di colpe, di trasgressioni, bensì nel suo smarrimento radicale, nella sua alienazione di fondo.

Il peccato è una potenza di alienazione della persona che è dominata e vive agita da un dinamismo egocentrico che Paolo chiama “la carne”, per cui anche nell'agire moralmente bene l'uomo è ripiegato su se stesso, monade senza porte né finestre, rappresentante di un santo egocentrismo.
Così la persona, che è un essere essenzialmente relazionale, distorce questa sua relazionalità negando Dio come creatore e gli altri come fratelli. Questo è lo smarrimento, questa è la perdizione dell'uomo, non una perdizione morale bensì radicale, una perdita di identità.

Non è sufficiente presentare a tale uomo una legge magari riformata, perfezionata da Gesù, non basta illuminargli meglio la strada da percorrere. Per questo Paolo non si interessa dell'insegnamento di Gesù. Deve essere cambiato il centro decisionale dell'uomo, deve essere sostituito il dinamismo egocentrico della carne con un nuovo dinamismo, quello dello spirito che è dinamismo di amore, di estroflessione dell'uomo. Deve essere fatto un uomo nuovo e questo è il prodigio dell'azione di Cristo risorto.

lo ho indicato nel sommario diverse testimonianze che trattano i vari aspetti della teologia di Paolo, ma dato il breve tempo a disposizione posso addentrarmi solo in alcune di esse:

Lettera ai Romani cap. 7. Paolo parla dell'uomo al di fuori di Cristo, lo raffigura in prima persona con il suo io, che non è l'io privatistico ma l'io dell'uomo visto al di fuori dell'influsso benefico e salvante di Cristo. È un essere dissociato, incapace di dar seguito concreto ai suoi aneliti profondi di vita, un uomo perduto perché vittima dei meccanismi di morte.
Allora Paolo conclude con un'amara constatazione, con un'esclamazione drammatica ed infine con una risposta. L'amara constatazione: «io sono un essere carnale [agito dal dinamismo egocentrico] venduto al peccato [potenza che domina l'uomo e lo schiavizza]». L'esclamazione e l'interrogativo drammatico: «me sventurato! chi mi potrà mai liberare da questo essere somatico votato alla morte?», morte eterna, morte escatologica. La risposta è nell'eucarestia (versetto 25): «Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore», il liberatore.

Seconda lettera ai Corinzi 5,17 riporta un tema specificatamente paolino: «Se uno è in Cristo, è diventato una creatura qualitativamente nuova, passata è la realtà vecchia, ecco è nata la nuova». Si richiama a testi contenuti nel secondo e terzo Isaia.

Lettera ai Galati 6,14-15: «Il mondo è stato crocefisso nei miei confronti ed io sono stato crocefisso nei confronti del mondo. Né la circoncisione, né l'incirconcisione sono cose che contano, ma l'essere nuova creatura».



Conclusione

L'apostolo e l'evangelista hanno una diversa teologia, la radice di questa diversità è la concezione antropologica.

Secondo Matteo l'uomo è sostanzialmente integro, capace di compiere il bene, gli basta l'illuminazione della mente circa la strada da percorrere e la sollecitazione della volontà al fare. In questo senso gli è necessario Cristo come maestro di vita che lo instrada.

Per Paolo invece l'uomo, al di fuori dell'influsso salvifico dello spirito, è un essere dissociato e velleitario. Vorrebbe camminare sulle strade della vita, ma di fatto cammina sulle strade della morte perché è schiavo del peccato ed è spinto dalla carne, da questo dinamismo egocentrico. Ha bisogno dunque di una profonda trasformazione del suo nucleo personale, ha bisogno dello spirito donatore di vita, creatore di vita che è Cristo risorto (
1 Cor 15, 45).

Questa è una cristologia fondamentalmente diversa da quella di Matteo, ma tutti e due riconoscono il riferimento essenziale a Cristo che è maestro per I’uno, salvatore per I’altro.




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