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4. Giuseppe Barbaglio 16.01.1995

Bibbia > 3° Corso di cultura biblica: Gesù di Nazareth, ebreo di nascita cristiano di adozione (1994-1995)



trascrizione integrale


La religione di Gesù e la fede nel Cristo

1) Tradizione Ebraica ed originalità in Gesù




SOMMARIO

Introduzione
1) Titolo generale dei quattro incontri: da Gesù alla chiesa
2) Religione di Gesù
3) La fede nel Cristo
4) Breve storia di una distinzione intesa diversamente


Tradizione ebraica ed originalità di Gesù
I. Tendenze
II. Delineazione della presenza di Gesù in Palestina
1) Gesù fu battezzato da Giovanni Battista e fu suo discepolo per un certo tempo (non solo Sinottici e Giovanni).
2) Gesù si staccò da Giovanni mettendosi in proprio e si presentò in pubblico come predicatore e taumaturgo. Come predicatore, egli annunciò non se stesso, ma il regno di Dio. Giovanni Battista
s'inserì nella corrente di speranza escatologica Anche Gesù prese posto in questa attesa escatologica, ma si distanziò nettamente da Giovanni Battista, un aspetto questo che sembra essere l'originalità di Gesù non solo nei confronti del Battista, ma anche del giudaismo del suo tempo.
Vedi in proposito:
- Levi/ Matteo, un pubblicano chiamato da Gesù alla sua sequela (
Mc 2,14; Lc 5,29-30; Mt 10,3)
- L'accusa dei suoi critici: amico dei pubblicani e dei peccatori (Mt 11,19; Lc 7,34)
- Commensale dei pubblicani e dei peccatori in seguito alla vocazione di Levi:
Mc 3,15-17: «Come mai mangia egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?... Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
-
Mt 21,31: «i pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio».
- Parabole della pecora e della moneta smarrite (
Lc 15,3ss, con inquadramento storico di Lc 15,1-2)
- Parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna (
Mt 20,1ss)




Introduzione al titolo generale dei quattro incontri


La religione di Gesù e la fede nel Cristo costituiscono due punti di una linea retta ed indicano un passaggio decisivo perché la religione di Gesù è da comprendere certamente entro il mondo giudaico del tempo, mentre la fede nel Cristo è una realtà che appartiene alla Chiesa, cioè al movimento di Gesù susseguente alla sua morte, un movimento abbastanza originale, ben definito all'interno del giudaismo ma anche distinto dal giudaismo stesso.

Quando dico “
la religione di Gesù” non intendo riferirmi ad una religione specifica, diversa, di Gesù, ma alla sua partecipazione alla religione ebraica del tempo, certo non senza una qualche impronta personale ed originale.
Da una parte quindi abbiamo la storia di Gesù che è un ebreo non solo per motivi anagrafici, ma anche e soprattutto per una consonanza di fondo con la tradizione culturale e religiosa del suo popolo. Dall'altra invece abbiamo la fede nel Cristo che è realtà specifica della comunità cristiana.

Per f
ede nel Cristo intendo non la fede prepasquale dei discepoli che si erano affidati a Gesù e che si è azzerata con la sua morte tragica, bensì la fede postpasquale, l'unica fede propriamente cristiana, collegata essenzialmente alla Resurrezione.
In un testo della tradizione attestato da Paolo (
Romani 10,9-10) è riportato: «Se confesserai con la bocca che Gesù è il Signore e crederai con il cuore che Dio lo ha risuscitato dal mondo dei morti, tu sarai salvato», si tratta di una fede interna, profonda ed una fede confessata all'esterno.

Il titolo cristologico di grande risonanza
Gesù è il Signore, cioè egli è il Risorto, è un titolo postpasquale. Si tratta di un Gesù oggetto di fede, motivo di speranza, presente nel culto della chiesa. I due termini del titolo generale esprimono quindi il passaggio storico, anche epocale, da Gesù uomo, vissuto un breve lasso di tempo in un luogo particolare, storicamente delimitato, ad un Gesù dilatato nel tempo e nello spazio, presente nella memoria viva dei credenti: La chiesa ed il movimento postpasquale di Gesù costituirono una vera, grande novità.

Su questa distinzione fra Gesù storico ed il Cristo della fede vorrei brevemente indicare
alcune posizioni.
Punto di partenza di una lunga storia è la convinzione precritica e prescientifica, esistente prima della ricerca storica sui vangeli, secondo la quale c'è una sovrapposizione scontata ed acritica, senza alcuna minima distinzione tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede.
Si riteneva che il Cristo della fede fosse tale e quale il Gesù della storia, per cui i grandi titoli di esaltazione di Gesù, il
Messia, il Figlio di Dio, il titolo divino Signore, presenti nella fede della comunità cristiana primitiva e delle successive, vengono attribuiti al Gesù storico come autoaffermazioni.
Non ci sarebbe stata alcuna novità quindi con il passaggio dal Gesù della storia al Cristo della fede.

Con la ricerca storica e scientifica dei Vangeli, a partire dalla fine del 1700 e fin quasi tutto il 1800, si è operata una dissociazione violenta tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede.
Si è rifiutato il Cristo della fede che era appunto il Cristo delle chiese, il Cristo dei dogmi, e si è privilegiato invece il Gesù della storia, da ricostruire scartando dai vangeli tutti quegli elementi dogmatici ed ecclesiali che hanno caratterizzato la fede delle comunità.
Si è così cercato di ricostruire un Gesù storico puro dai dogmi e dalle credenze, un Gesù che l'uomo illuminato, razionale può accogliere, per es. come un maestro di morale, come maestro di una prassi nobile degli uomini.

Punto di arrivo della lunga storia di abolizione del Cristo dalla fede, privilegiando unicamente un Gesù della storia ricostruito, è la grande opera di
Harnack, il quale ha presentato Gesù come colui che ha avuto un grande sentimento della paternità di Dio ed una grande attenzione alla fraternità degli uomini, un Gesù ricostruito secondo la sensibilità del tempo, a tal punto che Albert Schweitzer nella famosa storia della ricerca della vita di Gesù ha potuto dire che tutti questi Gesù erano ricostruiti secondo le immagini delle attese della borghesia del secolo scorso.
La grande opera di Schweitzer è stata dichiarata, anche giustamente, una orazione funebre su tutti i tentativi passati di ricostruire un Gesù della storia moderna, accettabile alla ragione.

All'inizio di questo secolo c'è stata una reazione forte a tale impostazione e si è arrivati a dire che non interessava tanto il Gesù della storia, che fra l'altro conosciamo pochissimo, mentre conosciamo il Cristo della fede attraverso i Vangeli.
Questi non sono una storia di Gesù, ma un insieme di pericopi staccate che documentano la fede della comunità cristiana primitiva che aveva costruito l'oggetto della sua fede secondo i propri bisogni religiosi e spirituali.
Se Gesù storico c'è stato, conosciamo pochissimo di lui. È invece interessante il Cristo della fede che emerge dai testi del NT, che non sono la storia di Gesù, ma la storia della credenza della comunità cristiana, o meglio della fede delle comunità cristiane in lui.

Da questo punto di vista è interessante la reazione di
Bultmann, che è stato uno dei grandi alfieri dell'indirizzo che passa sotto il nome di Storia delle forme, in quanto storia dell'analisi delle diverse pericopi, dei diversi generi, delle unità letterarie create dalla comunità cristiana primitiva per andare incontro ai propri bisogni religiosi.
Bultmann dice che non perdiamo nulla se non conosciamo il Gesù storico che ci sfugge sostanzialmente, perché la nostra fede non deve avere dei puntelli razionali, è solo una grande fiducia che non deve essere puntellata su dati storici.

Questo indirizzo negli anni 40 si è poi allargato verso la cosiddetta
Storia della redazione. Nei Vangeli non solo c'è la comunità cristiana primitiva con i sui bisogni, le sue credenze e la sua fede, ma ci sono anche gli evangelisti che, venuti dopo, hanno rielaborato il materiale della comunità cristiana primitiva dando ad esso una loro grande impronta. In precedenza si riteneva che gli evangelisti fossero stati puri trascrittori delle tradizioni elaborate dalle comunità cristiane primitive, mentre adesso vengono ritenuti dei teologi, con una loro specifica interpretazione teologica di Gesù. Quindi accanto alle espressioni delle credenze della comunità cristiana primitiva c'è una teologia degli evangelisti.

Nello stesso tempo c'è stato un ritorno all'indietro: è vero che le comunità cristiane primitive hanno elaborato le pericopi, è vero il loro successivo sviluppo con la teologia degli evangelisti, ma bisogna tornare a Gesù.
Lo studio tende così a ricercare una tradizione più lontana, cioè a ricercare lo strato più profondo dei vangeli che è rappresentato dal Gesù della storia. Mentre Bultmann aveva lasciato aperto il problema del Gesù della storia puntando sul Cristo della fede, la sua scuola tende al recupero del Gesù della storia anche per motivi di fede, anzi soprattutto per motivi di fede, perché il Gesù della storia appartiene alla fede, fede che si esprime nella forma “Credo in Gesù Cristo”. L'unione del nome proprio e del titolo, diventato poi secondo nome proprio di Gesù, costituisce la fede.
Il recupero del Gesù della storia è stato però di dimensioni minime, in quanto la ricerca si è limitata a trovare nel materiale evangelico pochi detti che manifestavano un mondo spirituale e culturale diverso dal giudaismo del tempo, e diverso dalla cultura delle comunità cristiane primitive temporalmente successive.
Dove c'è una originalità del detto rispetto a questi due ambiti, lì troviamo Gesù. Il numero dei detti trovati è stato però molto limitato e per lo più anche discusso.

Negli ultimi anni mi sembra tuttavia che ci sia un recupero più ampio del Gesù della storia, soprattutto per merito della scuola inglese, che ha inserito il Gesù della storia molto di più nell'ambito della cultura giudaica, come ad es. ha fatto P. E. Sanders secondo il quale non solo nei vangeli ci sono parecchi detti di Gesù, ma la parte più interessante che ci può mettere a contato con il Gesù della storia è costituito da alcuni episodi che lo vedono come protagonista.
C'è in definitiva il tentativo di un recupero un po' più grande del Gesù della storia.

Resta il fatto, come conclusione di questa sommaria delineazione storica, della difficoltà della lettura dei testi evangelici, che poi sono praticamente l'unica fonte che abbiamo per conoscere Gesù di Nazareth.
Tali testi sono molto discussi proprio nell'assegnazione di uno stesso elemento al Gesù della storia, alla comunità cristiana primitiva o all'evangelista.
La ricerca è abbastanza ondeggiante, ma anche molto interessante perché, man mano che va avanti, alcuni elementi importanti vengono comunque messi in rilievo.



Tradizione ebraica ed originalità di Gesù

I. Tendenze

Farò ovviamente una delineazione a grandi linee che completerò la volta prossima.
Più che segnalare degli autori particolari sul tema e sulle specifiche scuole, ritengo opportuno indicare le due principali tendenze in proposito.

Una prima tendenza delinea un Gesù della storia talmente originale da essere in opposizione netta al giudaismo del tempo, al suo mondo. La sottolineatura della sua originalità spinta all'eccesso nasce da una esaltazione della figura di Gesù che ha probabilmente le sue radici in presupposti teologici o di fede.
Quindi c'é una esaltazione di Gesù da una parte ed un certo abbassamento o denigrazione della religione giudaica dall'altra, etichettata quest'ultima come formalismo e quindi preoccupata delle formalità rituali e religiose, o come legalismo, un'esperienza religiosa tutta concentrata sull'osservanza minuziosissima delle leggi mosaiche e delle prescrizioni della tradizione legate alle leggi.
A questa religione giudaica meritocratica, formalistica e legalistica, esigente e dura si sarebbe opposta la religione del cuore o dell'interiorità rappresentata da Gesù, una religione della grazia, del perdono, della misericordia, della benevolenza di Dio.
Tra l'altro, secondo questa tendenza, Gesù rifiutò la legge divina del Sinai. Si prende come riferimento o le famose antitesi del cap. 5 di Matteo: «È stato detto, ma io vi dico» con sottolineatura dell'avversativa, oppure il detto di Marco 7,15 su cui si è molto discusso, e ritenuto da molti originario di Gesù: «non è quello che entra nell'uomo, ma è piuttosto quello che esce dal cuore a gettarlo in braccio alle forze dell'impurità o della morte»; un detto che farebbe piazza pulita di tutte le leggi del puro o dell'impuro riportate nel Levitico.
Questa tendenza nel passato ha avuto una preponderanza praticamente esclusiva, soprattutto per la scuola tedesca. Non è nemmeno mancata qualche venatura antisemitica.

Negli ultimi tempi invece la tendenza predominante è quella di comprendere Gesù in sostanziale concordanza con il giudaismo del suo tempo. Gesù non è un alieno senza radicamento culturale, non è un originale per partito preso, non è una presenza irriconoscibile tra i suoi contemporanei perché totalmente altro.

Questo mutamento di tendenza è avvenuto per due ragioni complementari.
Innanzitutto si è fatta giustizia di tutti i luoghi comuni che denigravano il giudaismo del tempo, il quale non era affatto un piatto e freddo legalismo, bensì una religione che viveva della grazia e del patto stabilito da Dio, con ingresso nello stesso per grazia di Dio. Un giudaismo che conosceva e praticava il perdono dei peccati e dei peccatori. Certo era legato all'osservanza della legge, però vista come clausola del patto e non grandezza a se stante, cioè un giudaismo, come ha detto Sanders, al cui centro c'è una struttura basica che ha chiamato “nomismo pattuale”, il patto come grande realtà di grazia e la legge nel patto, la legge condizionata al patto.
Il primo motivo riguarda quindi la migliore conoscenza del giudaismo. Sanders ha scritto un grande volume su Gesù di Nazareth, sul giudaismo palestinese del tempo e su Paolo di Tarso, per mostrare le differenze e le concordanze.

Il secondo motivo riguarda l'analisi accurata del materiale evangelico riguardante Gesù di Nazareth.
Si è potuto constatare che egli era assai più integrato nel suo ambiente culturale e religioso di quanto non fosse emerso dall'analisi degli alfieri della storia della tradizione, che si erano limitati a prendere in considerazione solo alcuni detti di Gesù, ritenuti originari sulla base di un criterio minimistico, quello della discontinuità rispetto al giudaismo del tempo, detti che sono stati compresi da loro come prova della grande originalità di Gesù. Ci si è piegati a valutare alcuni detti, stralciati dal contesto, e non rivelativi degli episodi significativi della storia di Gesù, della sua collocazione giudaica.
Non si è appunto approfondita la storia di Gesù ed il suo movimento successivo che illumina per riflesso la sua storia.

Certamente restano aperti molti punti interrogativi, ma è possibile tracciare un quadro che possa spiegare alcuni capisaldi fermi.
Il primo dato incontrovertibile è la presenza attiva e pubblica di Gesù tra i suoi contemporanei, il suo inserimento nell'ambiente.
Il secondo dato è la sua condanna a morte, a differenza dei suo seguaci, condanna a morte emessa ed eseguita sulla base di una sentenza dei Romani.
Il terzo dato è che i suoi seguaci non si sono dispersi, ma hanno dato origine ad un movimento che si richiamava a lui, che lo confessava risorto, movimento originale rispetto al giudaismo.

Da questo punto di vista, Gesù è stato originale rispetto ad altri movimenti del tempo di tipo messianico, che non hanno lasciato alcuna traccia, a parte la differenza sostanziale, almeno per alcuni, di essere movimenti armati che volevano la liberazione politica.
Nel caso di Gesù, con la morte e la decapitazione del leader, non è finito tutto.



II. Delineazione della presenza di Gesù in Palestina

Cercherò, sempre a grandi linee, di focalizzare l'attenzione sul confronto tra Gesù di Nazareth e Giovanni il Battista, profeta giudaico del tempo, profeta che ha avuto qualche risonanza post-mortem, nel senso che c'è stato qualche movimento di battisti. Paolo ad es., secondo gli Atti, ne ha trovato un gruppo ad Efeso che conoscevano solo il battesimo del Battista.
Anche da questo punto di vista la differenza con Gesù è notevole, perché quest'ultimo ha avuto come succedaneo un movimento straordinario nella storia.

1) Gesù fu battezzato da Giovanni il Battista, secondo i vangeli sinottici, secondo il vangelo di Giovanni, e secondo una testimonianza degli Atti degli Apostoli, un fatto quindi incontrovertibile. Possiamo anche aggiungere che Gesù fu suo discepolo. Egli, galileo, scese in Giudea dove Giovanni battezzava.
Giovanni, come attestato, era un profeta ai margini della società, in una regione lontana dai centri abitati e la gente accorreva a lui. Aveva anche un aspetto esterno di persona per nulla integrata nella società del suo tempo. Vestiva con peli di cammello, si nutriva di miele selvatico, tutti dettagli descrittivi che fanno di Giovanni il Battista un tipo particolare.
Da questo punto di vista notevoli sono le differenze con Gesù, un profeta che è rimasto nella società a contatto con la gente. Gesù andava verso la gente, il Battista invece aspettava che la gente uscisse dalle città ed andasse da lui per sapere cosa dovesse fare.

Giovanni Battista è stato un profeta dei tempi ultimi, era convinto che a brevissima scadenza si sarebbe verificata la grande svolta della storia con il giudizio di Dio e l'instaurazione di un nuovo ordine, il Regno secondo la volontà di Dio.
Giovanni si è posto a servizio di questa svolta con una precisa collocazione. Il popolo d'Israele aveva bisogno di fare penitenza per poter evitare il giudizio di condanna, c'era l'esigenza di una conversione indilazionabile espressa anche nel rito battesimale, e Giovanni era un battista, un battezzatore. È scoccata l'ora ultima, manca un'ora alla svolta decisiva e questa ora deve essere occupata dalla penitenza per riuscire ad entrare nell'ordine di salvezza di Dio, altrimenti c'è la condanna.

2) Gesù, che aveva fatto i primi passi con Giovanni Battista, in seguito se n'è distaccato, diremmo che si è messo in proprio e si è presentato in pubblico come predicatore e taumaturgo, un aspetto questo nuovo rispetto al Battista, che era battezzatore e predicatore della necessità di prepararsi alla svolta decisiva, ma non taumaturgo.
Per quanto riguarda Gesù taumaturgo abbiamo testimonianze concordi delle guarigioni e degli esorcismi che aveva fatto. Abbiamo anche la notizia che era stato interpretato come un mago, come una persona che agiva con forze diaboliche, come un manutengolo di Belzebù (
Mt 11).
Certamente queste guarigioni attirarono a lui molta gente, la figura di taumaturgo, conosciuta in molti ambienti, gli procurò una certa fama, anche se non sembra che fosse la sua caratteristica essenziale. Si ritiene che Gesù non si possa definire come il taumaturgo. Certo la taumaturgia costituisce un aspetto della sua complessa figura, ma bisogna chiedersi se tale aspetto non rientri in un quadro più vasto da cui riceve il suo significato profondo.

Come predicatore Gesù non ha annunciato se stesso, bensì il Regno di Dio.
Il radicamento teologale della religione di Gesù è importantissimo ed è un dato riconosciuto da tutti gli studiosi: il messaggio di Gesù era incentrato sulla regalità di Dio, è questo il senso attivo che esprime il simbolo del Regno. Si tratta di Dio, del suo farsi Re nella storia, nel senso di rendere giustizia a chi giustizia non ha, con valenze quindi di liberazione.
Il Regno vuol dire il potere regale di Dio, ma un potere liberante, salvante. Per es. Isaia (cap. 51) aveva annunciato a Sion di rallegrarsi perché Dio avrebbe regnato, cioè sarebbe intervenuto a liberare gli esuli ed a ricondurli a Gerusalemme.

La prospettiva di Gesù era la stessa del Battista, quella di un Regno futuro a brevissima scadenza, di un evento che avrebbe rappresentato una svolta nella storia del popolo ebraico. Dio avrebbe restaurato le dodici tribù di Israele, suo popolo.
Dopo il ritorno a Gerusalemme del popolo esule, la restaurazione era stata parziale ed imperfetta rispetto ai sogni dei Profeti. Il Trito-lsaia aveva raffigurato Gerusalemme gloriosa, luminosa, centro di una nuova umanità verso cui salgono i popoli lontani per rendere omaggio. I grandi sogni profetici si erano realizzati solo in piccolissima parte nel post-esilio ed allora è stata rilanciata la speranza nella completa restaurazione del popolo e nell'attesa complementare di un nuovo Tempio dove Dio avrebbe abitato per sempre. Israele sarebbe stato purificato dai suoi peccati ed avrebbe vissuto da popolo santo, separato dai peccatori impenitenti, che così sarebbero stati eliminati.
C'era inoltre una certa speranza che anche una parte dei pagani, degli incirconcisi, potesse aderire.

Se Giovanni Battista si era inserito in questa corrente di speranza escatologica ritenendo che il mondo fosse maturo per la svolta e che fosse urgente fare penitenza per ottenere il perdono e la salvezza, bisogna dire che anche Gesù si è inserito in questa stessa attesa escatologica, probabilmente anche per merito di Giovanni che all'inizio è stata la sua guida.
Di fatto anche in Gesù si ha la predicazione del Regno che è atteso a brevissima scadenza:
«il Regno di Dio è alle porte» (Mc 1,15). Tutti ritengono che questo elemento sia al centro della predicazione di Gesù.

Il gruppo più vicino di discepoli era definito con il numero dodici, anche se per alcuni la formulazione del numero dodici è avvenuta dopo e appartiene alla storia della Chiesa.
Una testimonianza molto lontana nel tempo, quella di Paolo (
1 Cor 15,5), afferma che Gesù è apparso oltre che a Cefa, ai dodici, quindi quest'ultimo era un numero della tradizione. È vero che uno, Giuda, era andato via, ma poi, come risulta dagli Atti degli Apostoli, è stato reintegrato.
I dodici non si identificano con gli Apostoli, né con gli altri discepoli di Gesù. Il numero dodici era un simbolo che si riferiva alle dodici tribù di Israele, al popolo di Israele, alla restaurazione del popolo, ad un nuovo ordine sperato.
In questo senso va interpretato anche il testo di Matteo (19,28), corrispondente a Luca 22,30, «Voi che mi avete seguito nella nuova creazione
[ossia, voi che rappresentate il popolo e che mi seguite nel nuovo mondo, che non è inteso da Gesù al di là della storia, ma è una novità che interessa la storia, quindi il popolo di Dio, il popolo di questo tempo finale, di questo tempo escatologico, tempo di purificazione generale nella nuova creazione] quando il figlio dell'uomo [figura misteriosa che appare nei vangeli e sulla cui storicità ci sono infinite discussioni] sarà seduto sul trono della sua gloria siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele».

Gesù si distanzia nettamente da Giovanni Battista perché non accentua la realtà del giudizio prossimo.
Anche se nel testo sopra citato c'è un riferimento alla prospettiva del giudizio, questo non è l'elemento centrale, come nel Battista che parlava della separazione del grano dalla pula, dell'accetta posta alla radice degli alberi.
E neppure centrale in Gesù è l'esigenza del pentimento, fondamentale per il Battista. Ci sono alcuni testi che riportano la minaccia alle città rivierasche del lago che non hanno fatto penitenza e che saranno trattate il giorno del giudizio peggio dei pagani ecc., ma praticamente molti testi con tali riferimenti sono successivi. Soprattutto Luca era stato molto attento al tema del pentimento, come riprenderò più avanti per un caso clamoroso.
L'ora ultima per Gesù è una nuova e definitiva offerta di grazia da parte di Dio, che ha come destinatari soprattutto i peccatori incalliti, i pubblicani, gli empi, e non il momento della penitenza.

Mentre la parola del Battista era un urgente appello alla conversione in vista della svolta decisiva per salvarsi, la parola di Gesù è evangelica, cioè portatrice di una lieta notizia, dell'ora ultima decisiva di grazia. Gesù chiedeva fiducia nel suo annuncio e prometteva l'ingresso nel Regno prossimo, un aspetto questo che sembra essere originale di Gesù, non solo nei confronti del Battista ma anche del giudaismo del suo tempo.
Non è che quest'ultimo non prevedesse o non volesse il perdono divino dei peccatori, ma esigeva da loro una previa conversione interiore ed esteriore con risarcimento, per es. da parte dei pubblicani che avevano frodato, come poi farà Zaccheo.

L'accoglienza di Gesù, e l'accoglienza parallela di Dio che Gesù annuncia e che in qualche modo impersona, è incondizionata. Questo aspetto rappresenta il punto decisivo.
Gli esempi dei testi che la tradizione evangelica ci ha lasciato risalgono, come corpo complessivo, a Gesù con un'altissima probabilità, anzi con certezza, anche se si può discutere sui singoli detti.

Un primo esempio riguarda un pubblicano che Gesù aveva chiamato alla sua sequela come discepolo, anche se poi le due tradizioni differiscono nel nome, nel primo vangelo (10,3) si chiama Matteo mentre in quelli di Luca (5,29- 30) e di Marco (2,14) si chiama Levi.

Un secondo esempio del quale nessuno discute la originarietà storica è l'accusa a Gesù di essere amico dei pubblicani e dei peccatori pubblici, gli impenitenti.
Nel chiamarlo alla sua sequela, Gesù non chiede prima a Matteo, o a Levi, il pentimento né il risarcimento. L'accusa a Gesù era tale proprio perché i peccatori ed i pubblicani che lo seguivano non si erano prima pentiti, altrimenti non ci sarebbe stato motivo di accusarlo, anzi Gesù sarebbe stato esaltato per aver recuperato i perduti.

Un terzo esempio, abbastanza importante, riguarda Gesù commensale dei pubblicani e dei peccatori, riportato in Marco 3,15-17 e paralleli.
Gesù si trovava in mezzo ad una grande compagnia, non c'era solo Levi ma anche tutti i suoi compagni di avventura. Sedersi a tavola aveva allora un significato di solidarietà molto più profondo che non oggi. Quelli che stavano fuori dicevano: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?» e Gesù rispondeva: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» e Luca, che ha interesse al pentimento, aggiunge: chiamare sì i peccatori, ma alla conversione, elemento che non c'è nel testo che risale a Gesù, egli li ha solo chiamati alla sua sequela e ad entrare nel Regno che sta per venire.
Sul Regno si è successivamente sviluppata una grande discussione a riguardo della sua natura di realtà presente o di realtà futura. Che fosse una realtà molto vicina lo dice il testo:
«il Regno di Dio bussa alle porte». In un altro testo sia di Matteo che di Luca, Gesù difendendosi dall'accusa di essere un manutengolo di Belzebù per aver guarito degli indemoniati, ossia dei malati psichici, dice: «se è con il dito di Dio [espressione plastica per indicare la forza di Dio] che io scaccio i demoni, allora è venuto il Regno di Dio in mezzo a voi».

Un quarto esempio è riportato nel testo di Matteo 21,31: «i pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno di Dio», espressione scandalosa in quanto i pubblicani e le prostitute precedono nel Regno di Dio voi che siete osservanti di quella legge di cui lo era pure Gesù.

Un quinto esempio è riportato da Luca 15,3ss. e riguarda le parabole della pecora e della moneta smarrita.
Luca 15,1-2 fa precedere le due parabole da un inquadramento molto vicino alla situazione originaria delle stesse parabole. Gesù si trova circondato da pubblicani e peccatori che lo ascoltano e viene contestato da quelli che tali non erano:
«costui riceve i peccatori e mangia con loro». L'inquadramento è senz'altro redazionale, ma richiama elementi tradizionali.
La pecora smarrita viene ritrovata dal pastore che fa una grande festa, e così fa festa la donna di casa dopo aver ritrovato la moneta. Subito dopo Luca dice:
«si farà più festa in cielo per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione».
Luca dà alla parte finale delle parabole un particolare significato, mentre il racconto parabolico si riferisce ad un evento di smarrimento e ritrovamento ed a nient'altro. Il significato parabolico per Gesù è che gli smarriti sono ritrovati, si ritrovano a casa nel Regno di Dio e non debbono per questo fare penitenza.

Un sesto esempio è riportato nel testo di Matteo 20,1 ss. e riguarda la parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna.
Ci sono quelli che hanno lavorato tutta la giornata sotto la calura e gli ultimi chiamati che hanno lavorato una sola ora dalle cinque del pomeriggio sino alle sei. Tutti vengono pagati con lo stesso denaro, la paga giornaliera, anche gli ultimi che avevano lavorato un decimo del lavoro dei primi. Di qui la protesta dei primi ed il padrone che risponde:
«non faccio ingiustizia verso di voi della prima ora, vi ho dato quanto pattuito, ma ho voluto essere buono verso gli ultimi. Oppure il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?», cioè: tu sei invidioso perché sono buono?
La protesta dei primi era questa: li hai equiparati a noi nel pagamento, disparità di lavoro, parità di pagamento. A questo proposito Matteo aggiunge un detto che circolava nella tradizione e che viene spesso citato
«gli ultimi saranno i primi ed i primi gli ultimi», ma in realtà il vero problema non è uno scambio delle posizioni, ma l'equiparazione scandalosa del pagamento nella disparità del lavoro. Il problema non è una grazia, un dono in senso generale, ma un dono per gli ultimi.

Matteo 5,45 nella motivazione del comandamento dell'amore dei nemici dice:
«perché siete figli di Dio».
In realtà Matteo cita il “Padre celeste”, ma nella versione di Luca c'è “figli di Dio”, o meglio “figli dell'Altissimo”, versione molto più probabile. Ed ancora:
«poiché Egli fa sorgere il suo sole sopra cattivi e buoni e fa piovere sui giusti ed ingiusti». C'è l'equiparazione del beneficio del sole e della pioggia ed i non giusti sono beneficati come i giusti.

Nella beatitudine per i poveri in Luca 6,20:
«beati voi poveri perché a vostro favore c'è la regalità di Dio», Gesù si congratula con i poveri ed i disprezzati perché il Regno di Dio è per loro, dato per grazia, una grazia per i poveri, non una grazia in genere.


Concludendo, abbiamo un inserimento molto profondo di Gesù nell'ambito del giudaismo, la sua religione, per quanto riguarda le attese escatologiche, le attese di un cambiamento radicale della situazione del popolo di Dio, cambiamento evocato anche per gli altri popoli. Ma Gesù si è collocato con una sua originalità, rispetto al Battista e al giudaismo del tempo, sull'entrata senza condizioni dei peccatori incalliti nel Regno senza richiedere il perdono e un cambiamento previo.

Il quadro descritto è molto probabile, esso per certi versi viene continuato nel suo movimento, anche se quest'ultimo ha dovuto affrontare problemi nuovi come quello del rapporto con i pagani, gli incirconcisi, che Gesù aveva praticamente ignorato od aveva solo sfiorato nel racconto della figlia della cananea.
La restaurazione del popolo delle dodici tribù d'Israele dava anche qualche speranza, che almeno una parte dei pagani potesse entrare nel popolo di Dio. Vedremo successivamente le condizioni di questa entrata su cui ci sono state grandi discussioni nel cristianesimo delle origini.



DIBATTITO



1. Parto dal presupposto che «II mio Regno non è di questo mondo» faccia parte dei detti di Cristo o dei concetti che si fanno risalire alla predicazione di Cristo e non alla elaborazione della chiesa primitiva. Tale affermazione, com'è noto, è stata interpretata in modo un po' alienante, portando la predicazione di Cristo fuori dal suo tempo e dal suo ambiente. Ciò premesso, mi sembra tuttavia che si possa rilevare un non apprezzamento di Gesù nei confronti del suo tempo, sia del mondo politico e sociale in cui era immerso dominato dall'occupazione romana, sia del mondo giudaico dove dominavano la logica retribuzionistica, l’osservanza cultuale, ecc.
Ciò che mi piacerebbe sapere, e che avrà interessato i contemporanei di Cristo, è in che modo il detto precedente andava a colpire l'ordinamento sociale e politico del tempo ed i valori propagandati dall'occupante romano.

La categoria di Regno è abbastanza flessibile in Gesù perché non è un concetto bensì un simbolo, un'immagine che parte da una situazione politico-istituzionale, l'esistenza della monarchia, del re, e viene applicata per analogia a Dio, soprattutto sul versante della giustizia. C'erano i tribunali, ma il re aveva una giustizia sua a favore di quelli che giustizia non riuscivano ad avere. Abbiamo una lunga tradizione in questo senso, ad es. il Salmo 72 in cui si prega per il re che renda giustizia al povero ed all'oppresso e riesca a vincere l'oppressore.
Il Regno che Gesù attendeva e che annunciava assai prossimo come qualcosa che bussava alla porta, era un ordinamento nuovo a tal punto che i suoi discepoli litigavano per occuparvi i primi posti. I figli di Zebedeo, anche se approssimativamente, richiedevano di essere i ministri del Regno e di sedere alla sinistra ed alla destra di Gesù.
«Il mio Regno non è di questo mondo», indipendentemente dalla sua storicità come detto originario di Gesù, non vuol dire che è un Regno celeste. È una novità profonda che cambia il volto della storia. Sono poi nate una serie di discussioni sull'espressione “Regno dei cieli”, una formula per evitare il nome di Dio. In realtà tale espressione vuole significare proprio il Regno di Dio, che non è il Regno che sta nei cieli. L'accentuazione molto forte in Gesù è che il "Regno dei cieli" è un nuovo ordinamento che Dio instaurerà nella svolta annunciata della storia.
Un problema molto difficile è quale posto Gesù abbia nel Regno. Intanto Gesù ha avuto una funzione di annuncio. Se è storico il detto di Matteo 11,28: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò», Gesù lo introdurrebbe anche germinalmente, anticipatamente, nella storia attraverso gli esorcismi e le guarigioni dei malati psichici. Gesù chiamerebbe così i perduti ad entrare.
Con la Chiesa primitiva il detto indicherebbe la trascendenza del Regno. Successivamente il detto ha subìto, per opera della Chiesa, lo sfondamento nel tempo.
È stato cioè rimandato molto in avanti e c'è stata anche la tendenza a collocare il Regno nei cieli, quindi in antitesi con la situazione terrena. Ma a livello di Gesù, il Regno dei cieli è il Regno di Dio, è un nuovo ordinamento.
Gesù poi non si è molto occupato dei particolari conseguenti il detto, preso dall'annuncio e dalla sua originalità di chiamare i diseredati e gli ultimi. Probabilmente nemmeno Gesù aveva molto chiara la situazione, ma egli era un profeta, non era un architetto che si occupava di tutta la struttura della casa.
Per concludere, il detto a cui ci stiamo riferendo ha valenze diverse. Gesù lo ha sottolineato come Regno di Dio, Regno trascendente, Regno però che interessa la storia, il popolo, le dodici tribù d'Israele, ed è anche allargato al mondo pagano.


2. Mi riferisco alla sua introduzione riguardante il tema: Gesù della storia ed il Cristo della fede. Mi sembra che le apologie dei credenti si domandino come sia stato possibile in così poco tempo il passaggio dal Gesù della storia al Cristo della fede, tant'è vero che gli studiosi laici tendevano a datare molto tardi i testi evangelici, mentre pare che proprio in questi ultimi tempi vengono datati molto prima. Se è molto ravvicinato il passaggio dal Gesù storico al Cristo della fede, come si spiega questo genio singolo o collettivo che ha creato il Cristo della fede?

Direi tre cose. Innanzi tutto i tempi tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede non sono poi così vicini, nonostante gli articoli che ogni tanto appaiono sulla stampa. Basterebbe vedere la profonda differenza che c'è tra i diversi vangeli per mostrare quale lavorio è a monte degli stessi. Non è tuttavia questione di pochi mesi, né di pochi anni. Il vangelo di Marco, il più antico, risale al 70 circa, sono passati quindi 40 anni dalla morte di Gesù, mentre la comunità cristiana primitiva è proprio vicina a Gesù, Paolo scrive negli anni 50 a distanza di 20 - 25 anni.
Ma a parte il lasso di tempo, che comunque non è brevissimo, c'è un fatto nuovo tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede: la resurrezione o, se vogliamo parlare in termini storici, la credenza dei discepoli nella resurrezione di Gesù. Questo è un fatto nuovo che riguarda Gesù stesso, il Gesù della storia. Vedremo nel nostro terzo incontro, quale lavorio ha fatto la comunità cristiana primitiva nella sua elaborazione teologica incentrata sui ricordi di Gesù e sulla credenza nella resurrezione di Cristo, evento inatteso, nuovo, sconvolgente.
Prima ho parlato della distinzione violenta tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede, oggi la tendenza è di trovare dei ponti tra Gesù e Cristo, o, come si dice, una continuità sostanziale. Ma quello che c'è di nuovo, lo ripeto, è la resurrezione, elemento decisivo al fine di spiegare la diversità indubbia che c'è tra Gesù e Cristo. La novità è anche oggettiva, nel senso che non riguarda solo la fede dei credenti, ma la stessa immagine di Gesù.
Ovviamente la resurrezione di Gesù non è un dato storico, come invece lo è la credenza nella resurrezione. Ed è la credenza che ha operato il passaggio epocale dal Gesù della storia al Cristo della fede. Vedremo successivamente come, a partire dalla resurrezione, si ramificano le credenze cristiane e si costituisce così il movimento cristiano, ma Gesù non è stato minimamente un cristiano. La fede cristiana è postpasquale, è una fede nel Cristo risorto. Gesù della storia è al di là, prima dei Cristo risorto.


3. Do adito alla mia immaginazione come al solito. Guarda caso anche la parabola del figliol prodigo si trova al cap. 4 del Sutra del Loto che ha 28 capitoli come il vangelo di San Giovanni. Lascio però Buddha e vengo a Cristo.
lo vedo Cristo che parla con le prostitute ed i drogati, che sta lì alla stazione Termini con un barbone, e vedo dei cristi come noi, come me, che parlano con i drogati, le prostitute, con gli omossessuali, c'è insomma chi parla con gli ultimi di cui parlavi tu Giuseppe. Guarda caso il Papa ha beatificato in Australia una suora perché, come ho letto sui giornali, era amica dei poveri, dei diseredati ed il vescovo l’aveva scomunicata, il Papa invece la riabilita, la fa santa e la manda in paradiso. E guardo ancora il caso di questi giorni del vescovo francese Gaillot privato della sua diocesi perché amico degli omossessuali, perché era e parlava in mezzo alla gente. Per me Gaillot è Cristo.

Questa è una prova lampante che le divaricazioni tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede si sono aperte nella storia. Ma al di là della battuta, nella chiesa dei primi tempi sono spariti sostanzialmente le figure dei pubblicani e dei peccatori che stavano invece al seguito di Gesù.
Però il cristianesimo delle origini si è confrontato con quel mondo pure disprezzato dei gentili, degli incirconcisi, con forti contrasti, anche perché Gesù non aveva preso posizioni molto chiare su tale problema. Vedremo successivamente a quale condizioni gli incirconcisi vengono ammessi nel popolo di Dio, nella comunità cristiana, nello spazio della salvezza.
L'intervento fa capire come dal Gesù della storia al Cristo della fede ci siano dei passaggi molto forti; esso tuttavia pone il problema di una continuità fra la chiesa ed il Gesù della storia. lo ho parlato prima delle diverse posizioni, però questo esempio dice chiaramente che il problema grave, serio, è quello di una continuità del movimento che si è creato dopo Gesù e in nome di Gesù, con il Gesù della storia.


4. La mia domanda riguarda una curiosità su Giovanni Battista. Noi conosciamo del battezzatore, o meglio del profeta, solo quei quattro, cinque punti riportati nei vangeli. Vorrei sapere se, per i giudei di allora ma anche per quelli successivi e di oggi, egli sia completamente ignorato come profeta oppure no ed in che modo. Vorrei anche sapere se aveva qualche discepolo e se si sa qualcosa di ciò che predicava.

Mi ricordo di aver letto qualche anno fa uno studio di Danielou che riguardava le comunità battiste della Transgiordania. L'episodio riportato negli Atti degli Apostoli (cap. 19) ci apre un mondo più ampio in cui c'erano comunità battiste probabilmente rivali delle comunità cristiane; le prime si riferivano al Battista e le seconde a Gesù. Comunque le comunità battiste sono state una presenza molto forte. Secondo Sanders l'impatto di Giovanni Battista rispetto alla società del suo tempo è stato più forte perfino di quello di Gesù. Non dimentichiamo che il Battista è stato condannato a morte ed è stata eseguita la sentenza, il che vuol dire non tanto che dava fastidio quanto piuttosto che poteva provocare delle sollevazioni tra i simpatizzanti, altro elemento di analogia con Gesù, come vedremo la volta prossima.
Nelle comunità dei primi tempi c'erano dei battisti che avevano in comune la pratica delle abluzioni a scopo purificatorio, pratica in realtà molto più vasta che ha interessato tutta la storia della religione e che già allora travalicava la stessa persona di Giovanni, pratica presente per es. presso i qumraniti che facevano il bagno ogni giorno. Quello che è caratteristico del Battista non è l'attività battezzatrice in se stessa, ma il battesimo collegato al quadro escatologico, cioè all'attesa della svolta definitiva, quadro in cui con tutta probabilità Gesù si è collocato.
Circa il rapporto del Battista con il mondo ebraico di allora e di oggi non saprei. È certo però che il suo orientamento escatologico, con la penitenza, il perdono, era qualcosa di molto integrato e si inquadrava perfettamente nel giudaismo del tempo. La condanna a morte fu eseguita invece dal capo politico e riguardava la celebrità del personaggio e le possibili rivolte. L'evento è quello stesso di Gesù anche se le motivazioni sono alquanto diverse. Se non ricordo male a Damasco c'è un ricordo del Battista, la sua testa come reliquia.

5. Lei prima parlando di una delle tendenze per spiegare il rapporto tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede ha fatto un accenno della natura antisemitica di questa tendenza. Potrebbe dire qualcosa di più e se ha avuto un ruolo nell'antisemitismo?

La tendenza per la quale Gesù è il grande genio religioso in quanto ha rifiutato radicalmente il giudaismo è quella degli studiosi tedeschi, di alcuni decenni passati. In Bultmann ad es. c'è contrapposizione addirittura con tutta la Bibbia ebraica, con tutto l'AT, una storia di un grande fallimento perché, secondo la sua interpretazione, l'uomo delle scritture ebraiche cerca la giustizia davanti a Dio attraverso le opere. Viene poi il NT o Gesù che trova la soluzione al problema del rapporto con Dio su altre basi. Poiché il fenomeno è stato così vasto ed anche così profondo, si suppone che qualche venatura di tipo politico sia anche entrata, anche se non voluta, non comunque come una tesi scientifica. Ha anche influito il clima politico, perché l'immagine del giudaismo che veniva data è assolutamente falsa ed ingiusta.


6. Gesù frequentava persone che non si preoccupavano di salvare la propria anima dicendo loro che il Regno era già aperto e che la loro anima si sarebbe salvata. Mi chiedo: per quale ragione diceva loro queste cose? Se il Regno era già aperto a queste persone che fino a quel momento non vi avevano mai pensato, poteva anche lasciar loro vivere la loro vita. In realtà Gesù poneva loro una scelta che non vedo perché non si dovrebbe chiamare conversione. Qual è la differenza tra la conversione preliminare all'entrata nel Regno secondo il Battista e quest'altra che sembra anch'essa preliminare? Perché in effetti se non viene accettato il Regno, come nella parabola del servo infedele della quale hai parlato nel II° Corso biblico, automaticamente la persona viene condannata. Ma qual è allora la differenza rispetto alla conversione previa giudaica?

Certo Gesù non sollecitava le persone a diventare suoi discepoli come se fossero delle cose, ma chiedeva la fiducia in lui stesso, l'affidamento alla sua prospettiva, che si può anche chiamare fede in lui, la fede prepasquale della quale ho grosso modo già parlato. Mentre il sistema della religione giudaica si basava sul recupero dei peccatori incalliti, nessuno escluso, accoglienza che avveniva però attraverso la penitenza, Gesù rovescia il sistema giudaico ed assicura un posto nel Regno a chi aderisce a lui, a chi accoglie la sua parola, la sua prospettiva. Gesù non dice: voi entrerete se farete prima un debito cammino penitenziale di risarcimento, bensì: se voi venite a me, a questa prospettiva di speranza, voi potete entrare. Non significa che Gesù dicesse: tu sei un pubblicano, hai fatto lo strozzino finora, continua a farlo. Non è questa la conseguenza logica. L'elemento molto originale è l'entrata nel Regno senza penitenza previa, accettando la sua prospettiva, il suo annuncio e credendo in tale annuncio.


7. Vorrei riallacciarmi all'ultima domanda, ma da un'altra ottica. Mi sembra che nell'illustrare la contrapposizione tra il messaggio del Battista, la conversione come prerequisito per entrare, e quello di Gesù, l'entrata come occasione per la successiva conversione, tu abbia censurato alcune frasi dell'evan- gelista. Vorrei allora capire a livello di metodologia di lettura, di critica, cosa ti autorizza a fare ciò e come questo tipo di lettura che hai dato sia più affidabile?


La lettura con lo sceveramento di ciò che appartiene ad uno strato o ad un altro ha prodotto e produce tuttora discussioni. Ma qualche criterio c'è. Per es. in uno dei casi di cui ho prima parlato, Luca aggiunge la chiamata dei peccatori alla conversione, elemento che non esiste né in Marco né in Matteo. D'altra parte se leggiamo attentamente Luca e gli Atti degli Apostoli, che è un'opera collegata con il vangelo di Luca, troviamo un'accentuazione fortissima sul pentimento. Nella conclusione del vangelo di Luca, Dio ha risuscitato Cristo affinché fosse proclamato il lieto annuncio del perdono dei peccati in Cristo. Questo motivo non esiste negli altri evangelisti, esiste invece in Luca, che peraltro lo accentua anche negli Atti degli Apostoli. È quindi per lui un tema molto caro che cercava di imporre.
Riprendendo le parabole, è semplice dimostrare che alcuni elementi introdotti da Luca sono spuri. Noi abbiamo infatti una logica del racconto. Mentre nei singoli detti l'analisi è più difficile per le tante considerazioni che intervengono, in una parabola c'è alla base un racconto che ha delle leggi autonome sulla sua costruzione. Gesù, a quanto pare, era molto abile a raccontare parabole, era conciso e le parabole erano molto precise, con assegnazioni delle parti, personaggi, momenti diversi, affinché balenasse, al di là del racconto che faceva, la realtà che effettivamente voleva presentare.
Nel racconto della pecora smarrita che è stata ritrovata non c'è alcun elemento nella parabola che faccia pensare ad un ritorno della pecora. È chiaro il meccanismo che sta alla base di questo come della parabola della moneta smarrita, il racconto è costituito di due momenti antitetici, complementari, lo smarrimento ed il ritrovamento, e quindi la gioia. Ci si può chiedere il valore di una pecora rispetto alle altre novantanove. Certo venalmente è 1/100 ed il vangelo di Tommaso, volendo spiegare come mai il pastore sia andato a cercare la pecora smarrita, lasciando sole le altre novantanove, dice che quella smarrita era la più grassa! Questo elemento è contraddittorio rispetto al racconto di Gesù nel quale invece la pecora smarrita è la più preziosa agli occhi del pastore perché è smarrita ed il pastore non può ammettere, per il suo legame emotivo fortissimo con le sue pecore, che la smarrita diventi perduta definitivamente.
Ci sono quindi dei criteri abbastanza logici per la ricostruzione originaria di alcuni temi risalenti a Gesù, anche se debbo aggiungere che la discussione è abbastanza forte. Ecco perché è importante non basarsi su tre, quattro piccoli elementi o detti, ma piuttosto vedere se attraverso l'accostamento di diversi fatti, oltre che delle parole di Gesù, possiamo delineare un certo quadro. Mi pare che la metodologia di Sanders sia abbastanza promettente rispetto invece ad esempio a Bornkamm, Käsemann, ed altri, i quali selezionano tre, quattro detti che ritengono risalire a Gesù per il criterio della discontinuità e su tali detti costruiscono molto, ma in sostanza ben poco.
Ovviamente c'è anche una certa incertezza, non tutto è oro colato, però mi sembra che i due elementi, l'inserimento di Gesù nella prospettiva escatologica e la chiamata dei peccatori incalliti ad entrare nel Regno in modo incondizionato, siano praticamente certi, anche perché non sono di un solo autore, ma di più autori e tra di essi si è raggiunto un certo consenso.


8. Mi riferisco al tema prima toccato della penitenza previa. Vorrei capire come si colloca il sacramento della penitenza, mi sembra di percepire un qualche ritorno alla impostazione giudaica.

Abbiamo visto che la comunità cristiana, e Luca è l'esempio più chiaro, ha introdotto con molta forza questo elemento. Ma non tutta la comunità cristiana, per esempio in Paolo l'elemento della conversione, del perdono, è del tutto accessorio.
Da questo punto di vista Paolo è molto vicino a Gesù: Gesù è la fonte della salvezza e la fede è l'inserimento nella sfera e nell'influsso del Cristo risorto, che coinvolge i credenti nel passaggio dalla morte alla vita. Quindi vi è un rinnovamento della persona molto più radicale che non un processo di pentimento, che è del tutto periferico nella teologia di Paolo.
È interessante invece come sviluppo che Luca abbia incentrato la salvezza sul perdono. Quest'ultimo viene però coniugato molto bene, il perdono è la grazia che Dio accorda in Cristo. Quindi Luca esce da una concezione ristretta, anche se nel giudaismo il perdono era strutturato entro il patto, con dei sacrifici, e quindi aveva già una dimensione di grazia, ma in Luca tale dimensione viene accentuata.



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