A.R.CO. Associazione per la Ricerca e la Comunicazione


Vai ai contenuti

3. Giuseppe Barbaglio 4.03.1993

Bibbia > 1° Corso laico ed interdisciplinare di cultura biblica: Introduzione (1993)



trascrizione integrale

Chiavi di accesso a una memoria storica



Introduzione

a) Vorrei iniziare dicendo che la parola Bibbia deriva dal greco ta biblia, cioè i libri, gli scritti. La Bibbia è quindi una biblioteca, nel senso che non solo è composta da molti libri, ma anche da libri molto diversi tra di loro.

b) Dire Bibbia vuol dire che si tratta di testi che per la confessione ebraica e cristiana sono ispirati. Sono comunque testi religiosi, antichi, aperti alla lettura di tutti, in quanto testi che sono tra le nostre mani.

c) La Bibbia è una memoria storica, da leggere e da decifrare. Per usare una espressione che troviamo nell'Apocalisse possiamo dire che è un libro chiuso da sette sigilli, sette è ovviamente un numero convenzionale, simbolico, per dire che la Bibbia è ben chiusa. Nello stesso libro dell'Apocalisse viene chiesto chi aprirà il libro. Potremmo anche usare un'immagine più vicina a noi di una memoria immagazzinata in un computer, ed il nostro problema è di sapere quali sono i codici di accesso alla memoria, quali tasti premere per avere la visualizzazione della memoria.

d) Gli ultimi tre secoli circa sono stati caratterizzati da un processo di modernità biblica durante i quali si è cercato di applicare alla Bibbia quell'insieme di chiavi necessarie per poter avere accesso a questa memoria storica. Il primo ad applicare nell'età moderna alla Bibbia i risultati e le metodologie della ricerca letterario-storica è un cattolico, Richard Simon che alla fine del 1600 ha fatto degli studi sul Pentateuco ed è stato condannato e messo all'Indice. La ricerca moderna è continuata soprattutto in ambito protestante e nell'ultimo mezzo secolo ha impegnato notevolmente anche i cattolici.
Vi sono diverse chiavi di accesso alla memoria storica. Innanzi tutto è necessario uno studio della storia del testo, quindi uno studio sulla lingua in cui il testo è stato scritto e tramandato, quindi ancora uno studio letterario, cioè lo studio del testo come un tessuto (testo vuol dire tessuto) con dei fili, dei disegni, dei colori, un po' come un arazzo. Una quarta chiave di accesso è uno studio storico-letterario: il testo oltre ad essere un bel tessuto, un bell'arazzo davanti a noi, deve essere studiato come si è formato nella storia. Non è infatti caduto giù dal cielo improvvisamente e quindi è necessario studiare la sua formazione, la sua genesi storica. La quinta chiave è l'analisi sociologica, applicata in verità non da molti e solo negli ultimi 20-30 anni. Una sesta chiave è l'analisi psico-analitica, anche qui i tentativi fatti sono molto modesti, tuttavia negli ultimissimi anni si sta tentando di fare qualcosa. La settima chiave d'accesso infine è l'analisi antropologico-culturale. A tale proposito è doveroso citare René Girard che ha scritto tre volumi sulle radici antropologiche della violenza con applicazione anche alla lettura dell'Antico e del Nuovo Testamento.



1. Studio della storia del testo (critica testuale)

Vuole rispondere alla domanda: qual è il testo da leggere? La domanda sembra futile, mentre è molto importante perché gli autografi sono andati perduti. I testi biblici arrivati a noi sono delle copie tardive, alcune vicine ai tempi di formazione dei testi, altre più lontane. Ci sono famiglie di copie secondo il tempo in cui sono nate e secondo il luogo dove hanno avuto origine. Non solo l'autografo è andato perduto, ma non è recuperabile.
In realtà nello studio moderno della Bibbia si è tentato di ricostruire il testo originario a partire dalle copie più o meno vicine che abbiamo. Tra le copie complete e non complete ci sono circa 5000 testimonianze sulla sola Bibbia cristiana, c'è senz'altro una massa enorme di documenti, ma il tentativo di ricostruire il testo originario è andato a vuoto.
Noi abbiamo un testo piuttosto mobile nel senso che il testo della Bibbia, una volta vergato, non è rimasto tale e quale.
È entrato nella storia. Quelli che lo hanno utilizzato si sono anche permessi di cambiarlo secondo le proprie sensibilità, i propri bisogni. Il testo della Bibbia non veniva considerato un pezzo da museo, anche se lo si riteneva ispirato. No, il testo entrando nella vita subiva i contraccolpi, l'evoluzione, per cui abbiamo un testo con molte varianti.
L'intento della critica moderna è stato allora di ricostruire almeno il testo più antico, se non l'originario. La ricerca ha una sua validità, ma con il presupposto che il testo più valido sia il primo, ossia il più antico. Si possono però assumere altre prospettive: lo studio del testo, sulla base della sensibilità più recente, è di vederlo come una realtà mobile che si è inserita nella storia e si è adattata ai lettori, ai gruppi, alle comunità.

Vi faccio due esempi di questa realtà mobile e un po' sfuggente del testo biblico.
Il primo si riferisce alla prima lettera di Paolo ai Corinzi 14,34-35. Questo è un testo che ha avuto un'incidenza enorme nella storia cristiana ed è secondario dal punto di vista storico, cioè è un testo introdotto di soppiatto, non è un testo originario. Esso riflette il pensiero di determinati ambienti cristiani che pensarono di inserire in una lettera di Paolo un loro orientamento diverso da quello di Paolo.
«Come avviene in tutte le chiese dei santi, le donne nelle assemblee ecclesiali stiano zitte. Infatti io non permetto ad esse di parlare, ma quello che voglio è che siano sottomesse, come anche la legge mosaica lo dice. E se vogliono imparare qualcosa, interpellino i loro mariti a casa. Infatti è disdicevole per una donna parlare durante l'assemblea». Questo è un testo che non si trovava nella composizione della lettera di Paolo, non è un testo paolino perché interrompe chiaramente una continuità testuale e riflette un altro passo di una lettera non di Paolo ma della sua tradizione, 1 Tm 2,12. Gli ambienti della tradizione paolina, quando Paolo è morto, avevano assunto posizioni molto restrittive in proposito e poiché il loro grande maestro era di parere contrario, allora hanno inserito tale posizione nel testo di una lettera di Paolo.

Un secondo esempio chiarissimo è l'inizio del vangelo di Marco:
«Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». In alcuni manoscritti o codici o copie della Bibbia la qualificazione di Gesù Figlio di Dio è presente mentre manca in altri, soprattutto nel sinaitico che è il codice più antico (come codice e non come papiro, perché alcuni di questi ultimi sono più antichi). Allo stato attuale possiamo dire che la qualificazione Figlio di Dio potrebbe essere secondaria, cioè avvenuta in un secondo momento ed inserita nel testo tramandato per interessi dogmatici.



2. Studio della lingua

Lo studio linguistico risponde alla domanda: in quale lingua è scritto il testo?
Dato che il testo è molto mobile, incerto, con delle glosse inserite successivamente, il problema che nasce è leggere e conoscere la lingua con cui è vergato. La lingua della Bibbia ebraica è l'ebraico con qualche piccola parte in aramaico (ad es. il libro di Daniele), mentre quella della Bibbia cristiana è il greco.
È interessante sapere che fino al secolo scorso, negli ambienti cristiani cosiddetti ortodossi o comunque tradizionalisti, si pensava che il greco del Nuovo Testamento, poiché non rispondeva a quello letterario del tempo e tanto meno a quello degli autori classici, fosse una lingua ispirata dallo Spirito Santo.
La Bibbia veniva guardata con un certo fondamentalismo. Sennonché un famoso studioso tedesco, Deissmann, analizzando papiri dell'epoca contemporanea alla Bibbia cristiana (contratti, inviti, lettere spedite dai soldati alle famiglie e viceversa, etc.) ed ha visto chiaramente che la lingua del Nuovo Testamento è quella di questi papiri, lingua non letteraria del tempo, lingua non scritta, ma lingua parlata, cioè la
koinè dialectos, la lingua comune che aveva conquistato tutta l'area dell'impero romano (anche a Roma negli ambienti letterari si parlava il greco, le case nobiliari avevano degli schiavi che insegnavano il greco ai figli).
È dunque la lingua popolare del tempo quella della Bibbia cristiana, risentiva però dell'ebraico in quanto alla base dei vangeli c'era la tradizione orale, fonte dei vangeli, che era originariamente espressa in aramaico, non solo sulla bocca di Gesù ma anche su quella delle prime comunità cristiane che la tramandavano.

In altri termini il greco del Nuovo Testamento non solo è quello popolare, ma è anche un greco semitizzato. Ad es. il testo di
Mt 11,25 (per il quale c'è un corrispettivo in Luca), che è una delle pochissime preghiere di Gesù che ci sono state trasmesse, esprime una lode, una benedizione, un ringraziamento che Gesù innalza a «Dio, Padre del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai disvelate ai piccoli» (i piccoli sono gli ignoranti). Di fronte a questo testo abbiamo la difficoltà di capire come sia possibile che Gesù ringrazi Dio perché ha nascosto queste cose (ossia il mistero del Regno) ai sapienti ed agli intelligenti, quindi per una azione escludente.
In realtà, sotto questo testo abbiamo le tracce dell'influsso della lingua semitica o ebraica che usa la paratassi, cioè non ha le subordinate (non dice: andò per fare, per vedere, etc. ma andò e fece, vide, etc.). Riusciamo allora a capire il vero significato se traduciamo meglio, non nel senso strettamente scolastico. Poiché la nostra lingua usa le subordinate, allora dobbiamo tradurre uscendo dallo schema della paratassi:
Ti ringrazio o Dio Padre, perché avendo nascosto queste cose agli intelligenti e sapienti (subordinata parentetica), le hai rivelate ai piccoli. Il motivo della lode è la rivelazione divina per i piccoli e la subordinata avendo Tu nascosto... serve solo a mettere in evidenza la grazia di Dio che ha disvelato agli ignoranti il mistero di Cristo, del Regno, cioè ha valore puramente strumentale e funzionale.

Un altro esempio riguarda l'inizio della Genesi 1,1, il libro che apre la Bibbia ebraica. La lingua antica ebraica era consonantica, aveva cioè solo le consonanti come elemento grafico, le vocali comparivano solo nella pronuncia. Quindi il testo scritto era consonantico e le vocali erano un elemento orale. Solo parecchi secoli dopo Cristo è stata creata graficamente la vocalizzazione nello scritto, cioè sono state introdotte anche le vocali (a puntini, a lineette, etc.) nel testo originario tramandato fino allora puramente consonantico. E ciò per fissare il testo che essendo puramente consonantico era oscillante, ossia poteva assumere più di un significato.
In
Gn 1,1 è scritto «In principio Dio creò il cielo e la terra». Il verbo creò presuppone un perfetto barà, ma le tre lettere consonantiche potrebbero anche pronunciarsi berò, cioè in forma infinita ed in quest'ultimo caso la traduzione dovrebbe essere: Quando Dio cominciò a creare il cielo e la terra, ecco che c'era il caos primitivo”.
Nella prima versione la frase ha questo significato:
Dio creò come prima opera una realtà magmatica e poi l'ha ordinata, mentre nella seconda versione la realtà magmatica o caotica preesiste all'azione creativa: All'inizio del creare da parte di Dio il cielo e la terra, ecco che c'era il caos. Il testo è quindi da questo punto di vista oscillante. La lingua ebraica, che era ed è stata tramandata solo in forma consonantica, permette questa varietà di lettura.

Circa la semantica infine, ossia i significati delle parole, non posso dire niente dato il poco tempo a disposizione, porto solo un esempio. Al cap. 5 della lettera ai Galati, Paolo dice:
«Non dovete agire secondo la carne, ma lasciatevi condurre dallo spirito», testo che viene interpretato da noi così: Non dovete comportarvi secondo una vita dissoluta. Per Paolo invece la carne (sarx) non ha un simile significato, ma indica un dinamismo egocentrico in alternativa allo spirito, il pneuma che esprime un dinamismo altruistico. Allora la frase si dovrebbe tradurre: Lasciatevi guidare dal dinamismo dell'amore, della comunicazione con gli altri, e non dal dinamismo egocentrico.



3. Studio letterario

Vuole rispondere a questa domanda: quale la stoffa, quali i fili, i colori, le figure, i disegni del tessuto? (Secondo l'immagine prima usata che paragona il testo al tessuto, ad un arazzo). Potremmo anche dire che il testo della Bibbia è come un arabesco da studiare attentamente nelle diverse curve, linee, disegni, etc. Il testo, dalla lunghezza di una pagina a quella di un intero scritto, ha delle strutture, è strutturato secondo precise leggi: leggi letterarie, retoriche, stilistiche che presiedono alla composizione.
Il testo è una realtà composita, è come un mosaico dove sono collocati moltissimi tasselli e non a casaccio. C'è l'inclusione, il chiasmo, la
propositio, etc. Ad es. nella lettera ai Romani, cap. 1,16, Paolo presenta la propositio, ossia enuncia prima la tesi che svilupperà successivamente: «Nel vangelo si è rivelata la volontà salvifica di Dio per ognuno che crede, per il giudeo prima e per il gentile poi».

La struttura profonda di un testo, di una composizione letteraria testuale, va studiata attentamente. Dopo aver visto tutti i fili di questo tessuto, il problema è vedere quale sia il suo disegno che in genere è nascosto e la cui conoscenza ci fa comprendere bene il testo.
Ad es. in
Mt 22 c'è la parabola degli invitati alle nozze del figlio del re (secondo la versione di Luca è invece un nobile che fa un grande banchetto ed invita altri). Il re invita gli invitati d'obbligo e quando tutto è pronto manda i suoi servitori a chiamare gli invitati, ma questi ultimi declinano l'invito con varie scuse. Allora il re o il nobile che non vogliono subire lo scacco, dicono ai servi di andare a prendere qualsiasi persona presente ai crocicchi delle strade e di portarla al banchetto. A questo punto termina la parabola nella versione di Luca mentre in quella di Matteo prosegue. Durante il pranzo passa il re a controllare se tutti hanno la veste nuziale, cosa molto improbabile, per non dire impossibile, per il modo in cui è stato fatto l'invito (pensiamo ai nostri barboni). Ne trova uno che non ha il vestito per le nozze, gli chiede cosa stesse facendo senza veste nuziale, ma l'interrogato, che non ha una scusa da far valere, ammutolisce. Allora il re dice ai servitori di buttarlo fuori, nella tenebra eterna, simbolo terribile, dove c'è fuoco e stridor di denti.
Poiché nella versione di Luca non c'è questa parte, si è ritenuto che essa fosse una aggiunta personale di Matteo, una escrescenza. Se però andiamo al di là del testo che abbiamo sotto gli occhi per capirne la struttura, ci accorgiamo che quella di Matteo è una composizione compatta, unitaria, anzi la seconda parte è proprio l'elemento più importante. La struttura del testo infatti è costituita dallo schema seguente: la prima parte illustra la sostituzione, ossia gli invitati non arrivano e vengono allora sostituiti. Su di essa si ritrovano uniti sia Luca che Matteo. Matteo però continua con la parte più importante, ossia quella della selezione.
Ci sono due momenti, prima la sostituzione e poi la selezione tra i sostituti. Il secondo momento è quello decisivo, è quello su cui Matteo insiste, e sullo sfondo probabilmente c'è Gesù. Per Matteo è infatti chiaro che la comunità cristiana sostituisce gli ebrei come popolo di Dio, ma essa deve anche soggiacere al criterio della selezione ultima, del giudizio ultimo. I due momenti rappresentano la struttura basica e ci danno un testo compatto che solo così è possibile capire.

Un secondo problema da porre è quello del genere letterario: uno scritto, una pagina, ha una sua identità propria, diversa da altri. La Bibbia è una biblioteca non solo perché ci sono tanti scritti, ma anche perché in essi sono presenti diversi generi letterari, sono decine: c'è quello della parabola usata da Gesù, del paragone, della metafora, della allegoria, della novella. All'interno di un genere letterario molto generico, cioè quello storico, vi sono almeno una decina di tipi diversi: gli annali (per es. i libri dei Re che riportano le storie conservate alla corte di Gerusalemme), storie fantastiche come il libro di Giona che solo a prima vista può essere considerato un libro storico-cronistico, in realtà è stato inserito tra i profeti e non tra i libri storici.

La cosa fondamentale è riuscire di fronte ad una certa unità letteraria ad indicare di che tipo sia, quale è la sua identità. Per esempio nel libro dell'Esodo, dopo un'analisi letteraria e storica approfondita, è noto che alla sua origine ci sono alcuni elementi storici fondamentali. Primo: alcune tribù israelitiche, non tutte, sono state in Egitto; secondo: esse hanno subito l'affronto dei lavori forzati; terzo: all'interno di queste tribù è apparso Mosè che le ha sensibilizzate sul problema di trovare una propria terra, le tradizioni dei padri le hanno aiutate nella speranza di una propria terra. Le tribù allora sono fuggite dall'Egitto, gli egiziani le hanno inseguite, ma esse sono riuscite a superare in modo sorprendente l'ostacolo dell'acqua e ad entrare nel deserto.
Questa piccola vicenda, comune a tanti altri gruppi o popoli che aspirano a divenire sedentari, è stata pensata, riflessa, meditata, decantata per secoli all'interno del gruppo che, soprattutto all'inizio per bocca di Mosè, vi ha visto la presenza di Dio, una presenza liberatrice.
Ma per visualizzare questa presenza liberatrice di Dio si è verificato un processo di amplificazione dei fatti. Vi è stato un processo di amplificazione delle tribù che soffrivano la schiavitù con il faraone che vuole uccidere tutti i figli maschi, con le piaghe d'Egitto per vincere la resistenza del faraone a lasciarle uscire ed all'interno delle piaghe l'amplificazione successiva con la trasformazione dell'acqua in sangue, prima del fiume, poi di tutti gli stagni fino a tutti i secchi di acqua delle case. Cioè è stata costruita una epopea religiosa che canta il proprio Dio liberatore, un Dio potente che si prende gioco del faraone, un Dio che prosciuga il mare in modo da far passare il suo popolo. Secondo un'altra versione, Dio ha invece tagliato l'acqua in due facendo una strada in mezzo con due colonne di acqua ai lati.
Se noi riusciamo ad individuare ed a capire il genere letterario, cioè che si tratta di una epopea religiosa, riusciamo anche a capire quale è la verità che il testo vuole esprimere, che non è quella cronistica o miracolistica.
È la verità della confessione di fede, poeticamente esaltata, di un gruppo che crede di aver sperimentato nella propria storia questo Dio liberatore.

Un altro esempio riguarda i vangeli dell'infanzia di Gesù. Essi si trovano solo all'inizio dei vangeli di Matteo e di Luca. Sono formazioni successive, infatti Marco, che è il più antico, non ha il vangelo dell'infanzia. I dati accertati dal punto di vista storico sono pochi: Gesù, la madre che si chiamava Maria, il padre che si chiamava Giuseppe, Nazareth il luogo della nascita (era chiamato il Nazareno), infine la sua vicenda di crocifisso. I racconti dell'infanzia sono stati elaborati alla luce di quello che dopo la morte di Gesù si è sviluppato.
Come mai le comunità primitive vollero interessarsi dell'infanzia di Gesù? Perché nella Bibbia ebraica e nelle tradizioni giudaiche c'era un vivo interesse a costruire dei racconti di tipo piuttosto miracolistico dell'infanzia dei grandi personaggi, basti pensare alla storia di Mosè che piccolino viene salvato dalle acque, etc. Alcuni ambienti cristiani ritennero che anche loro dovevano avere una storia dell'infanzia di Gesù, costruirono così una storia sulla base di pochi elementi, ma soprattutto una storia che esprimeva la loro fede in Gesù che è il messia. Ed allora lo fanno nascere a Betlemme, che è la città di Davide, poiché Gesù è l'erede delle promesse messianiche, davidiche. La sua patria teologica è Betlemme, mentre Nazareth è la sua patria anagrafica, infatti la verità che conta sulla nascita di Gesù, per quei gruppi di credenti, è quella teologica. Per loro non conta tanto il registro anagrafico, sono invece interessati alle loro intuizioni di fede. Gesù è stato effettivamente perseguitato dal suo popolo, messo in croce ed ecco che da bambino doveva prefigurare il futuro, da qui i racconti di Erode che uccide i bambini e di Gesù che fugge in Egitto, come le tribù israelitiche, etc.
A prima vista crediamo che la verità sia di tipo cronachistico mentre la verità più profonda è quella di un genere letterario di tipo
midrashico, ricco di sensibilità teologiche ed espressivo della confessione di fede in Gesù che è il messia, quindi deve nascere a Betlemme, in Gesù che è il figlio di Dio, quindi donato non dalla terra ma da Dio, ed ecco la presentazione del concepimento verginale di Gesù.

Si potrebbero fare altri esempi: quello di Giona o quello del detto famoso
fermati, sole.
Questo detto lo troviamo in Giosuè 10, 12-14 ed era originariamente un piccolo canto di esaltazione del dono della terra. Stava nel libro del giusto, utilizzato come fonte nel libro di Giosuè, era una poesia tradizionale risalente ai primi tempi della storia israelitica:
«Sole, fermati in Gabaon e tu, luna, sulla valle di Aialon. Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici». Bellissimo testo e molto espressivo.
Anche in un canto molto arcaico, quello di Debora del cap. 5 del libro dei Giudici, si dice che alla conquista della terra, dono di Dio, partecipano gli astri. Ed ecco allora che il sole e la luna si fermano perché la cultura del tempo presupponeva che il sole girasse. Qual è dunque la verità di questo tema? È la verità di una confessione di fede che riconosce la propria terra come dono di Dio e che viene esaltata poeticamente dicendo che le stelle e gli astri partecipano alla lotta vittoriosa.
Ed è anche quello che diceva Galileo al cardinal Bellarmino, rettore del collegio romano (dove adesso c'è il liceo Visconti). Galileo, oltre ad essere un grande scienziato, si è dimostrato anche un biblista di razza affermando che la Bibbia non vuole insegnare che gli astri girano o sono fermi, ma vuole dare a noi un messaggio di salvezza, religioso. Galileo è stato un biblista più acuto del cardinal Bellarmino.



4. Studio storico-letterario

II testo non è soltanto un tessuto, non vi sono solo diverse composizioni unitarie secondo determinati generi o determinati tipi letterari, alcuni presenti in tutte le letterature ed altri propri della tradizione biblica. Il testo biblico è entrato nella storia per cui s'impone l'esigenza di conoscere quale storia ha avuto il testo, quando, come, dove, perché è nato, da chi fu scritto e a chi fu indirizzato. Il testo non è caduto improvvisamente dal cielo, per capire il testo dobbiamo capire l'utero che lo ha prodotto, ossia la storia che lo ha generato. È il problema delle fonti e delle tradizioni che stanno dietro i nostri testi.

Ad es. la prima beatitudine
«Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio» vuol dire: Gesù si congratula con i poveri, ossia con gli indifesi della società perché è arrivato il giorno in cui Dio farà loro giustizia. Il simbolo di Dio re è quello della giustizia, quindi la beatitudine di Gesù è una proclamazione lieta: è arrivata l'ora in cui Dio interviene nella storia a rendere giustizia a quelli che giustizia non hanno.
I primi cristiani, quelli che si trovavano in Palestina e parlavano aramaico, attendevano la fine del mondo a brevissima scadenza, erano gente povera, si consideravano i beneficiari della beatitudine. Gesù invece aveva uno sguardo molto più ampio e si riferiva ad una giustizia nel processo storico. Questi primi credenti invece ritenevano che la storia sarebbe presto finita ed il Regno di Dio sarebbe cominciato. La beatitudine è quindi la speranza in una fine imminente della storia per poter beneficiare nell'aldilà della giustizia che non può aversi nell'aldiquà.
Luca invece pensa che la distanza tra la storia e la fine del mondo non è affatto breve, vi è ancora un cammino lunghissimo da fare. Noi cristiani, dice, siamo i poveri diseredati i quali adesso soffrono nella storia, ma alla fine della storia verrà (non presto, come probabilmente pensava Gesù) la giustizia. È la stessa prospettiva finale, ma il tempo della realizzazione non è immediato. Ecco la beatitudine secondo Luca:
soffrite adesso, ma verrà il giorno in cui vi sarà fatta giustizia.
In Matteo infine la prima beatitudine diventa:
«Beati i poveri in spirito», ossia beati gli umili. La beatitudine assume il significato di una realtà moralistica: abbiate la virtù dell'umiltà perché quando finirà la storia e verrà il Regno di Dio voi sarete premiati.
Vi sono quindi molti passaggi nei significati di questa prima beatitudine, il testo è entrato nella storia ed ha assunto valenze diverse.



5. Analisi sociologica del testo

Ho pubblicato una rassegna della sociologia applicata alle origine cristiane in
Rivista Biblica del 1988. L'indagine sociologica va distinta da uno studio puramente sociale. Ad es. Theissen, il cui libro Sociologia e cristianesimo primitivo è stato tradotto anche in italiano, dice che la comunità di Corinto, in base ai dati che si riescono a dedurre dal testo di Paolo, era formata da una maggioranza di persone di modesto livello e da una minoranza di medio ed alto livello. Questa è pura storia sociale.
L'indagine sociologica procede invece secondo altre direttive. La sociologia è una scienza moderna che ha elaborato dei modelli analizzando e studiando fenomeni recenti, questi modelli interpretativi di fenomeni moderni vengono poi applicati ai fenomeni testimoniati nella Bibbia. Se noi riusciamo ad applicare un modello elaborato oggi ad una realtà passata perché tra i fenomeni passati e presenti ci sono delle analogie molto forti, riusciamo a farci un'idea valida dei fenomeni passati.

Per esempio, il modello della "setta" a cui si è accennato nella prima conversazione. La setta è formata da un gruppo minoritario che si chiude di fronte alla società ed afferma la propria identità diversificandosi rispetto all'ambiente non senza aggressività e chiusura in se stesso. Questo modello è stato applicato alla comunità di Giovanni e ci ha illuminati sul gruppo di cristiani che stava dietro il testo degli scritti giovannei, ci ha aiutati così a capire il testo stesso.
Lo studio sociologico si fonda sulle correlazioni tra una struttura sociologica, ad es. la setta, e la sua produzione ideologica che nel caso specifico è una produzione di fede. Tra la struttura sociologica e l'ideologia teologica ci sono dei rapporti molto stretti. Per es., poiché la comunità di Giovanni era chiusa ha elaborato una sua cristologia usando lo schema del Figlio dell'Uomo estraneo al mondo che viene su questa terra, rivela Dio e se stesso e poi se ne va.



6. Analisi psico-analitica

Studia quali strutture profonde della psiche umana emergono nei protagonisti delle pagine bibliche. Poiché in questi testi si parla di persone e queste persone hanno una psiche e le strutture della psiche sono state forgiate anche all'insaputa dei soggetti, il testo risente di queste strutture psicologiche del profondo.

Ad es., consideriamo la lettera di Paolo ai Romani, cap. 7, dove c'è come protagonista un io, il soggetto umano con la sua psiche. L'io dice:
«Non capisco ciò che faccio. Non ciò che voglio finisco per fare, ma ciò che odio. Volere il bene abita presso di me, ma non il compierlo. Non faccio infatti il bene che voglio, ma faccio proprio il male che non voglio. Ora se faccio ciò che non voglio, non sono io a compierlo bensì il peccato che abita in me». Seguono una esclamativa ed una interrogativa drammatica: «Infelice uomo che io sono! Chi mi potrà liberare da questo mio essere votato alla morte?». Il capitolo si chiude con una dossologia, un altro genere letterario, la glorificazione o il ringraziamento: «Siano rese grazie a Dio mediante il nostro Signore Gesù Cristo».
Se applichiamo a questo testo la struttura della psicologia del profondo, si rivela la descrizione di una profonda rottura nella persona tra il volere ed il fare. Si vuole una cosa e si fa esattamente il contrario. Si potrebbe parlare di antitesi tra l'io ed un super-io schiavizzante. Paolo dice che è il peccato (singolare) che guida l'esistenza dell'io, non l'io. Se applichiamo la struttura profonda psicologica della scissione della persona, riusciamo a capire questa pagina che è però una pagina teologica, ma ci sono delle analogie molto profonde tra tale presentazione teologica e la realtà psicologica della profonda scissione che fa di un soggetto un oggetto.

Su ciò ha lavorato ultimamente Drewermann. A mio avviso, in base a quello che ho letto di lui (non tutto è stato tradotto, nemmeno l'opera principale
La teologia del profondo e l'esegesi), Drewermann non applica ai testi della Bibbia e soprattutto a quelli del Nuovo Testamento una lettura psico-analitica, ma fa una lettura psicologica.
Come c'è distinzione tra uno studio di storia sociale ed uno studio sociologico, egli sta attento allo spessore psicologico che si manifesta nelle pagine attraverso i sentimenti, le emozioni, le paure, l'angoscia dei personaggi, ma non fa una lucida applicazione delle strutture della psicologia del profondo che condizionano le persone nel loro agire, nei loro scritti, nel loro parlare. Mi sembra che la lettura di Drewermann sia soprattutto di tipo terapeutico. Egli considera i testi della Bibbia come mezzi di terapia, quindi più che fare un'interpretazione profonda dei testi li utilizza per un trattamento terapeutico della psiche umana. Ho saputo che l'anno prossimo verrà in Italia invitato dall'A.R.Co. e quindi lo sentiremo.



7. Analisi antropologico-culturale

L'analisi antropologico-culturale risponde alla domanda: quali aspetti antropologico-culturali stanno alla base di questo testo? Per es. Girard nei suoi volumi ha mostrato che il meccanismo antropologico del capro espiatorio non solo è presente nei testi mitici, ma anche in diversi testi biblici e comunque egli ritiene che la Bibbia reagisca ai meccanismi del capro espiatorio, della violenza, etc., ma di ciò parleremo in uno dei prossimi incontri.




DIBATTITO


1. A proposito delle chiavi di lettura della Bibbia ho sentito sostenere più volte che se esistono versioni diverse di uno stesso episodio, quella di più difficile lettura è la più attendibile. Lei che cosa pensa a riguardo?

Di solito sì, quando abbiamo testi paralleli. Per es. la preghiera di Gesù riportata da Matteo «Ti benedico Padre ...» (11,25), nella versione di Luca diventa «Gesù sussultò di gioia nello Spirito Santo» (10,21). Poiché sappiamo che Luca ha un interesse particolare per lo Spirito, questo elemento con tutta probabilità non c'era nella loro fonte comune. I testi che sono più ostici in genere sono quelli più originali perché tramandano una tradizione. Nel copiare un testo la tendenza è di rendere facile quello che viene scritto, il copista quando si trova di fronte ad un testo che non comprende bene lo modifica rendendolo più facile, per questo i testi che si presentano un po' contorti sono in genere i più originali. Vi sono però anche altri elementi che intervengono nel giudizio.


2. Mi riferisco alla rivelazione di cui si è parlato l'altra volta. Mi trovo su una posizione diversa dalla sua. Penso che i libri sacri parlino soprattutto di visioni e che la difficoltà dei testi sacri sta proprio nel fatto che trasferire una visione in parole crea tutta una serie di complicazioni.
Secondo lei l'Apocalisse di Giovanni non è una visione? Pietro a Damasco ha avuto la visione di Cristo? Gli apostoli non hanno avuto la visione del risorto?


La visione è presente in diverse pagine della Bibbia ma non in tutte. Soprattutto è il filone apocalittico interessato alle visioni. La visione era il modo di esprimere una certa vicinanza di alcune persone al mondo di Dio in momenti assai critici. Ho detto nella 2° lezione che durante i momenti critici vengono fuori i visionari della Bibbia per dire:
attenti, questi sono momenti critici, siamo in difficoltà, ma verrà successivamente la salvezza. La letteratura apocalittica è intessuta di visioni simboliche, ma lo scopo è di tipo esortativo, parenetico ed anche di conforto a quelli che soffrono.
Ad es. in
At 10 ci sono delle visioni. Cornelio, un buon pagano, a Cesarea Marittima dove abita ha una visione: Dio gli appare e gli dice di mandare i suoi messaggeri a Pietro che sta a Ioppe, in casa di un certo Simone, per farlo venire da lui a dirgli cosa fare. Mentre i messaggeri vanno a Ioppe, Pietro è sulla terrazza verso mezzogiorno a pregare ed ha anche lui una visione: vede un lenzuolo che, tenuto dalle quattro estremità, cala dal cielo e contiene ogni genere di carne, compresa quella proibita agli ebrei. Durante tale visione sente una voce che gli dice ammazza e mangia. Pietro, da fedelissimo giudeo, si rifiuta di mangiare e Dio a lui: ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo impuro. Pietro però non ha capito. Arrivano i messaggeri, va in casa di Cornelio ed annuncia il vangelo che Cornelio accetta, etc.
Lo schema fondamentale di questo racconto è l'entrata e l'uscita. Pietro e Cornelio sono nelle loro case, hanno ambedue una visione diversa, ma il problema è che Cornelio non va a casa di Pietro, eppure avrebbe potuto, ci manda i messaggeri mentre Pietro, che è un invitato, va a casa di Cornelio, di un incirconciso. Quando torna a Gerusalemme è messo sotto processo e gli dicono:
tu sei entrato nella casa di quelli che hanno il prepuzio. Quindi il tema è dell'entrare nelle case, dell'accettazione degli esclusi, la visione è uno strumento puramente letterario che serve per mostrare che la volontà di Dio è esattamente quella: entrare nella casa degli incirconcisi.
Importante è pensare non a delle visioni plateali, ma ad un tipo di pagina del genere letterario apocalittico che si serve delle visioni per indicare una certa prossimità che l'uomo ha con il mondo di Dio per conoscerlo. Nel testo degli Atti quando Pietro va sulla terrazza ed ha la visione c'è l'espressione
«il cielo si è aperto», le visioni sono un modo plastico per dire che il mondo di Dio si apre al mondo degli uomini, non vogliono dire altro. La visione di Paolo sulla via di Damasco è una bella scenografia dell'autore del libro degli Atti adatta ad evidenziare che l'identità misteriosa di Gesù si è disvelata agli occhi della fede di Paolo. Le visioni pasquali sono funzionali al messaggio che il crocifisso è risorto, ma se ne riparlerà.

Ma la visione del Risorto ai dodici apostoli non sostanzia il senso della Pentecoste?

La prima espressione che abbiamo intorno al risorto è l'annuncio che si trova nel cap. 16 di Marco:
«Colui che era qui, è risorto» che è un annuncio di fede. I racconti delle cosiddette apparizioni del Risorto vengono in un secondo momento, tant'è vero che se si legge Paolo c'è soltanto un accenno alle apparizioni (cf. 1 Cor 15,3 ss). Paolo usa il verbo ofté, verbo molto tecnico per indicare la teofania, cioè il Dio che si rende presente, ma non indica il Dio che si fa vedere.
Tutta la sensibilità ebraica e cristiana non è sulla epifania del divino, il divino che si fa vedere, il divino che abbaglia gli occhi, una religione televisiva delle immagini, ma la sensibilità è tutta sull'orecchio, sull'ascolto, sulle parole, sul dialogo.
Ofté non si deve tradurre Gesù fu visto un po' come si dice che i tre pastorelli di Fatima hanno visto la Madonna, ma apparve, come Dio apparve a Mosè sul Monte Sinai dove diede la legge. Non è che Mosè ha avuto delle visioni, Mosè ha percepito in alcuni codici morali fondamentali l'espressione della volontà di Dio.


3. Ho sentito recentemente che una nota teologa biblista americana critica l'interpretazione della Bibbia in senso maschilista per il fatto che sono stati i maschi ad interpretarla. C'è l'ermeneutica del sospetto. Che ne pensa di questo tentativo di interpretazione della Bibbia da parte delle femministe specialmente americane? Si può demaschilizzare la Bibbia?

Tutte le letture della Bibbia non solo sono legittime, ma provvidenziali in quanto il testo è aperto a molte letture. Trent'anni fa chi immaginava che si potessero leggere alcune pagine della Bibbia applicando gli schemi delle strutture dell'inconscio?
Il problema della lettura femminista non è la lettura di un genere a parte, ma è all'interno di una lettura antropologica consistente nell'applicazione degli schemi e dei modelli antropologici ai testi biblici che sono espressione di gruppi, ambienti colorati secondo il maschile ed il femminile.
È tuttavia una lettura appena cominciata, come d'altro canto quella sociologica o psicoanalitica. Grosso modo fino a venti anni fa l'approccio cosiddetto critico ai testi della Bibbia era dato solo dal metodo storico-critico, cioè dallo studio storico-letterario che per due secoli, se non di più, ha regnato all'interno della modernità dello studio biblico. Oggi anche lo strutturalismo, ossia lo studio della struttura profonda dei testi, approccio non elaborato in funzione della Bibbia ma applicato alle altre letterature, ha naturalmente legittima applicazione ai testi religiosi antichi della Bibbia.


4. Riguardo ai vangeli dell'infanzia un testo che amo molto è il Magnificat nella presentazione di Ortensio da Spinetoli. Il Magnificat può essere considerato una rielaborazione fatta dal Cristianesimo dopo il 70, oppure può corrispondere ad una attesa di Israele del tempo della nascita di Gesù nello spirito? A me sembra più facile collocarlo proprio sulla bocca di Maria in attesa di Gesù piuttosto che dopo il 70. Vorrei un chiarimento.

Il Magnificat è stato messo da Luca sulla bocca di Maria. Il problema è vedere se è una composizione di Maria o se è stato compilato successivamente e messo in bocca a lei. Ci sono anche dei codici che lo mettono in bocca ad Elisabetta per cui nella critica testuale c'è qualche ondeggiamento.
Il problema del genere letterario dei vangeli dell'infanzia si pone cercando di capire da quali ambienti essi nascono. Si dice di solito che fosse Maria la fonte di informazioni della comunità di Luca che sta dietro i vangeli dell'infanzia, però tutto è ipotetico, ma anche poco probabile perché i vangeli dell'infanzia riflettono determinate spiritualità, specifici traguardi di riflessione teologica e di meditazione da parte di alcuni ambienti cristiani.
II Magnificat è stato composto tenendo presente alcuni schemi veterotestamentari, come ad es. il Cantico di Anna (
I Sam 2,1 ss) dove la madre di Samuele ha delle somiglianze con Maria alla quale è stato poi applicato.
Il genere di spiritualità che sta dietro il Magnificat è quello dell'ascolto della parola e Maria rappresenta l'immagine di comunità cristiane povere che vivono in basso (come si dice nel Magnificat:
Tu hai guardato dall'alto quelli che stanno in basso ed hai rovesciato i potenti della terra). È la spiritualità di quei gruppi di cristiani marginali che vivono una spiritualità molto genuina, molto semplice. Maria è il prototipo della loro spiritualità. Nel Magnificat abbiamo quindi una mariologia, cioè non una delineazione della figura storica di Maria, ma una sua immagine vissuta dai primi gruppi cristiani, naturalmente con qualche fondamento.


5. Ho notato che in questa serie di incontri hai criticato con molta durezza la fede nella visione non tenendo in considerazione che dei fratelli come gli ortodossi hanno fatto della visione il loro centro, come nella teologia molto bella dell'icona. La fede nella visione è senz'altro negativa, è condannata nell'Esodo innanzi tutto, ma c'è anche l'epistola ai Colossesi dove è scritto che Cristo è stato fatto a immagine di Dio.

La teologia dell'icona ha avuto alcuni sviluppi nel Nuovo Testamento, per es. nelle lettere ai Colossesi, agli Efesini, che appartengono alla tradizione paolina. Sono però sviluppi che avvengono in determinati ambienti di misticismo asiatico di Efeso a contatto con una cultura greca particolare.
Essendo la Bibbia una biblioteca racchiude diversi filoni tra cui c'è anche quello della visione, ossia del vedere, del contemplare, però esso è assolutamente minoritario perché la spiritualità essenziale sia ebraica che cristiana è fondata sull'ascolto. Gesù è il logos, è la parola. Se si può stabilire un rapporto numerico il filone dell'ascolto occupa il 95% rispetto al 5% di quello dell'immagine o della visione.

Ma alla luce dei mezzi di comunicazione di massa di oggi quali la TV, etc., non pensi che la visione debba essere rivalutata?

Io sarei contro la religione della televisione, dell'immagine, della contemplazione, però tu hai detto molto bene che la tradizione ortodossa ha sviluppato notevolmente questo aspetto.


6. Nella sua relazione iniziale c'è stato un accenno al concetto del dono della terra ed alla conquista da parte dell'uomo della terra. Io volevo chiedere se è possibile oggi una rilettura di questi concetti perché alla luce dell'ecologia noi cristiani, che ci identifichiamo con il mondo capitalistico che ha sfruttato la terra più di ogni altro, verremmo ad avere rispetto ad altre religioni un'etica violenta rispetto alla terra. Chiedo se c'è già un filone di rilettura in tal senso.

Si dice, e c'è in questo anche molta verità a mio avviso, che la tradizione ebraico-cristiana si basa sul primato dell'uomo, rapinatore del mondo, della natura. Non per niente nelle traduzioni del cap. 1 della Genesi si dice che l'uomo è costituito da Dio come il Signore che signoreggia sulla terra. In realtà in un articolo molto bello di uno studioso tedesco, Norbert Lohfìnk, si sostiene che il verbo
cabash non vuoi dire signoreggiare sulla terra o sfruttare la terra, ma vuoi dire tu la possederai, che è diverso. Non ha alcun aspetto di violenza.
Esamineremo in una lezione successiva il tema della violenza, compresa quella sulla terra. A mio avviso l'accento di tutta la tradizione ebraico-cristiana cade sul primato dell'uomo, della persona attiva nella storia, mentre la sensibilità romantica ammira la natura. Quindi l'accusa alla tradizione ebraico-cristiana di essere antinaturalistica ha un certo valore. Però bisogna tenere presente il rovescio della medaglia, la scoperta enorme della irriducibilità dell'uomo alla natura, cioè l'uomo non si confonde con la natura, anche se fa parte della natura. Si può naturalmente discutere su questo tirar fuori l'uomo dal mondo della natura ed esaltare la sua peculiarità di persona che decide e che è un essere storico. Infatti un'anima romantica non accetterà questa esaltazione. Debbo però dire che tutte le letture che si fanno della Bibbia vengono suggerite dalle sensibilità presenti. Nel leggere la Bibbia ognuno si porta le sue precomprensioni, le sue attese, le sue domande.
Domande di tipo ecologico fatte alla Bibbia porterebbero ad essere più attenti nel capire determinate parole. Il mondo nella tradizione ebraico-cristiana è il mondo creato da Dio ed è un mondo creato come realtà buona. Inoltre, la salvezza divina riguarda anche la natura, come dice Paolo nel cap. 8 della lettera ai Romani:
«Tutta la creazione (ossia la natura) geme al presente insieme con i figli di Dio (che sono i credenti) ed attende la liberazione, il riscatto». Ci sono quindi nella Bibbia filoni interessanti per una sensibilità ecologica.
In definitiva, ritengo che la tradizione ebraico-cristiana pone l'accento sulla individualità dell'uomo che supera il livello naturale e si pone come persona che decide e sceglie. Ma l'uomo è pure natura oltre ad essere persona. Di questi due elementi l'accento biblico è sulla persona, non si ignora però la natura.

Home Page | Chi siamo | Attività | Relatori | Bibbia | Chiesa | Etica | Economia | Polis | Pensieri | Audio | Video | Newsletter | Link | Mappa del sito

Cerca

Torna ai contenuti | Torna al menu