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1. Giuseppe Barbaglio 4.02.1993

Bibbia > 1° Corso laico ed interdisciplinare di cultura biblica: Introduzione (1993)



trascrizione integrale

Perché ancora la Bibbia?


Il tema di questo titolo interrogativo potrebbe essere affrontato da due diversi punti di vista. Da una parte è importante rendersi conto che c'è una pluralità di letture e dall'altra c'è l'interesse di noi oggi, credenti e non credenti, per uno dei testi religiosi dell'antichità, certamente quello più vicino a noi non solo per alcune scelte confessionali, ma anche per una certa continuità culturale.
La Bibbia ebraica e quella cristiana hanno certamente influito e non poco sul corso storico e culturale dell'occidente, ecco perché privilegiamo questi libri rispetto ad altri che sarebbero pure interessanti da leggere.


1. Un solo identico testo, molte letture

a) Innanzi tutto bisogna vincere la convinzione, un po’ diffusa, che il testo una volta vergato sia una realtà fissata una volta per sempre, immutabile, da mettere nel museo dell'antichità.
In realtà le cose non stanno così né per la Bibbia, né per gli altri libri. Il testo biblico, nella sua grande tradizione, è come un figlio che si è reso autonomo, indipendente dalla famiglia, dal padre che lo ha generato, ed ha cominciato un lungo viaggio. Lasciata la casa patema ha incontrato molte persone in tempi successivi, persone diverse, molto lontane sia dal punto di vista cronologico, temporale, ma anche spaziale, soprattutto molto lontane dal punto di vista culturale.
Per molti secoli i lettori della Bibbia sono stati di una cultura altra rispetto a quella della Bibbia. Questo incontro tra diversi culturalmente, tra un mondo che ha prodotto la Bibbia e altri mondi che vi si confrontano, è un incontro fecondo per cui nel tempo la Bibbia, come d'altro canto gli altri testi, ma la Bibbia in modo particolare per la storia che ha avuto, assume capacità nuove di parlare, di comunicare.
In altre parole, la domanda fondamentale quando affrontiamo il testo biblico non è chiedersi che cosa intendeva dire quell'autore quando ha scritto quel libro, quella pagina, quel versetto. La domanda fondamentale è invece che cosa dice a me adesso, a me che sono figlio di un mondo culturalmente diverso, quel messaggio rivestito di cultura semitica per quanto riguarda la Bibbia ebraica e semitico-ellenistica per quanto riguarda la Bibbia cristiana.
Questa pluralità di letture dipende dal lettore, la Bibbia resta tale e quale nella sua qualità di testo vergato. L'elemento mutante, quello nuovo, è il lettore, la sua diversità, la diversità degli occhi con cui legge il testo biblico.


b) Nell'approccio alla Bibbia vorrei distinguere, tra i molti tipi di letture, una lettura che chiamerei ideologica ed un'altra critica.
La prima raggruppa in sé diversi approcci accomunati dal fatto che la lettura è pregiudicata dalla ideologia del lettore, è comandata rigidamente da preconcetti dottrinali di carattere confessionale o di indirizzo filosofico. In questi casi il testo è piegato con forza per confermare posizioni prestabilite, dogmatiche. Non ci si avvicina al testo per cercarvi una provocazione positiva, spinte nuove al cambiamento, alla creatività di nuovi significati nella vita, nella storia, ma ci si va per avere una conferma delle proprie posizioni indiscutibili. Il processo di lettura allora non solo è sterile, perché nell'approccio non si guadagna niente, si conferma solo quello che c'è, ma addirittura negativo perché ci si chiude nella propria autosufficienza, nella propria rigidità ideologica. In altre parole, il lettore non si mette in questione di fronte al mondo che il testo biblico svela davanti, è un abuso del testo.

Per chiarire le cose faccio alcuni esempi di letture ideologiche di carattere confessionale e filosofico. I primi due esempi sono
intramoenia, ossia all'interno delle mura della confessione cristiana, in particolare cattolica.
Il primo esempio si riferisce al testo che si trova nel discorso apocalittico di Marco 13,32, riprodotto praticamente tale quale da Matteo, in cui Gesù parla della data della fine della storia. Il problema era vivo all'interno della corrente apocalittica che proveniva dall'AT ed era maggioritaria al tempo di Gesù. Uno degli interrogativi di questa letteratura era:
quando sarà il giorno ultimo?. Ecco la risposta di Gesù: la data di quel giorno non la sanno né gli angeli e neppure il Figlio, ma soltanto il Padre. Il testo è abbastanza sconvolgente perché per bocca dello stesso Gesù si riconosce una ignoranza in lui, Figlio di Dio.
A questo punto interviene la lettura ideologica che, invece di assumere il dato e vedere come spiegarlo, parte subito dal preconcetto che il Figlio di Dio deve essere onnisciente. La soluzione data per secoli e secoli che non ha resistito all'urto della critica è questa: certamente Gesù ha detto che non sapeva la data del giorno ultimo, ma non la sapeva in base alla sua scienza comunicabile, la sapeva invece senz'altro in base alla sua scienza incomunicabile. Notate la rigidità della lettura ideologica che si basa sul preconcetto che il Figlio di Dio deve essere onnisciente e se c'è un dato che mette in discussione questa rigidità preconcettuale, allora il dato viene massacrato, introducendo una distinzione, naturalmente fittizia,
ad usum delphini.
Altrettanto ideologico, dal punto di vista non confessionale, ma in base ad un indirizzo filosofico-laico o meglio laicista, è dedurre dal testo che poiché Gesù non sa la fine del giorno ultimo della storia, allora non è il Figlio di Dio, supponendo che se fosse il Figlio di Dio dovrebbe conoscerlo.
Da una parte la lettura ideologica di tipo confessionale non recepisce il dato testuale dell'ignoranza di Gesù sulla data del giorno ultimo e tiene fermo il preconcetto di un Figlio di Dio onnisciente, dall'altra la lettura ideologica di tipo filosofico-laicista dice che allora Gesù non può essere il Figlio di Dio. Si preferisce dar credito al testo, ma lo si legge sempre in contraddizione con la credenza che Gesù sia Figlio di Dio.
Una lettura che non sia ideologica assume come tali i due dati attestati negli scritti cristiani, cioè che Gesù è Figlio di Dio e che è ignorante rispetto a tale problema e conclude che il lesto biblico vede una compossibilità che Gesù sia Figlio di Dio e sia ignorante, un Figlio di Dio con carenze conoscitive. Questa è una lettura non ideologica, fredda, critica che assume i due dati menzionati e li legge per se stessi.

Un secondo esempio riguarda il cap. 9 della 1 Corinzi dove Paolo parla dei fratelli del Signore, cioè di Gesù. Egli dice:
«io ho il diritto a farmi mantenere dalla comunità in quanto annunciatore del Vangelo, allo stesso modo che gli altri apostoli, i fratelli del Signore e Cefa, ossia Pietro, hanno questo diritto». Anche la tradizione evangelica, non solo quella sinottica, ma pure quella giovannea che fa un percorso proprio rispetto ai tre evangelisti sinottici, parla dei fratelli di Gesù. In Paolo si conosce il nome di uno dei fratelli di Gesù, Giacomo, che è stato il suo grande avversario. Nella tradizione sinottica inoltre, in Marco e Matteo, se ne indicano anche i nomi: oltre Giacomo abbiamo Giuda, Simone e Josèph o Giuseppe. E per completare il quadro si dice che Gesù aveva anche delle sorelle (Cf. Mc 6,3; Mt 13,55-56).
La lettura ideologica di tipo confessionale assume come dogma che Maria è stata vergine non solo prima del parto di Gesù, ma anche durante il parto e pure dopo, per cui questi fratelli di Gesù sconvolgono il quadro dogmatico.
Per la verità due testi del Nuovo Testamento, Matteo e Luca, parlano del concepimento verginale di Gesù, ma niente dicono della verginità di Maria durante e dopo il parto. Ma partendo da un preconcetto, da una posizione rigida che non si vuole mettere in discussione, di fronte al dato così macroscopico si cercano delle scappatoie. Questi fratelli di Gesù sono cugini, dunque fratelli in senso lato, oppure si ipotizza che Giuseppe fosse stato sposato con un'altra donna, abbia avuto dei figli e poi si sia sposato con Maria dalla quale è nato Gesù, che avrebbe dunque avuto dei fratellastri e delle sorellastre.
La posizione ideologica, invece di assumere il dato che ha a suo vantaggio tre testimonianze complementari (Paolo, la tradizione sinottica e quella giovannea) e vedere poi come capire lo sviluppo dogmatico successivo, parte da una posizione dogmatica sulla verginità di Maria
in partu e post partum sconvolgendo il senso ovvio del testo biblico.

Faccio un esempio ancora più chiaro di lettura ideologica di tipo sia confessionale che filosofico-laicista. Mi richiamo a Karl Kautsky, un autore marxista che nel 1908 ha scritto un libro, in lingua tedesca, sull'origine del cristianesimo. È un libro sotto certi aspetti interessante, ma la lettura che Kautsky fa dei dati biblici è che nella comunità cristiana dei primissimi anni vigeva una certa forma di comunismo. Kautsky incontra il testo di Atti 2,42 dove si dipinge un quadro della prima comunità cristiana di Gerusalemme. In esso si dice che i credenti erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli, nello spezzare il pane, nella
koinonia e Kautsky, che conosceva un po’ il greco, traduce il termine: nel comunismo.
La traduzione non è poi così deteriore come l'interpretazione di tipo ideologico confessionale che ha letto nella
koinonia la comunione spirituale, quella delle anime dei credenti della comunità che erano appunto un cuore solo, un'anima sola. Il significato obiettivo del testo, studiato da Jacques Dupont, noto esegeta belga, è la comunione dei beni, per cui la traduzione di Kautsky non è poi così lontana. Kautsky dice che essa attesta l'esistenza di un comunismo di consumo rispetto a quello nostro occidentale moderno che si riferisce alla comunione dei mezzi di produzione, un comunismo un po’ primitivo consistente nel consumare dei beni messi in comune.
Il carattere ideologico sta nel non notare che in questo testo l'autore degli Atti, che tradizionalmente si ritiene Luca, anche se è discusso, non vuole presentare un quadro storico della prima comunità dei cristiani. Infatti subito dopo parla prima di Barnaba in termini molto elogiativi (Barnaba, originario di Cipro, aveva venduto un campo e consegnato il ricavato ai piedi degli apostoli che lo avevano messo in comune) e nel capitolo successivo di una coppia di cristiani, Anania e Zaffira, che avendo consegnato solo una parte della vendita delle loro proprietà tenendosi il resto, subirono un castigo terribile su cui avremo successivamente modo di tornare.
L'autore vuole solo indicare la speranza che nel giorno ultimo la comunità di Cristo sia una società dove il bisogno dei poveri è vinto. L'attesa dei giorni in cui nel popolo di Dio non ci saranno più poveri inizia nel tempo israelitico, soprattutto nel Deuteronomio e si sviluppa successivamente. Quando l'autore degli Atti dice che nella comunità di Gerusalemme tutti mettevano in comune i loro beni, non va inteso come un'annotazione di comunismo realizzato, ma soltanto come un modo per dire che la comunità gerosolimitana è quella dei tempi ultimi, il nuovo popolo di Dio in cui si realizza la comunione dei beni come espressione di amore.
Kautsky dice anche che all'interno dei testi biblici non c'è solo questo testo e qualcun altro a favore del comunismo, ma ce ne sono altri di revisionisti, tra cui mette Paolo, Matteo.
È una lettura manifestamente ideologica.


c) Vengo al secondo tipo di lettura che è quella che vogliamo condurre in questi incontri, una lettura critica, cioè guidata da collaudati metodi di indagine nei campi letterario, storico, archeologico, psicologico, etc., con metodi che si applicano a qualsiasi testo.
Il testo della Bibbia viene letto senza che interferisca preconcettualmente l'affermazione o la negazione della sua pretesa trascendenza divina di testo sacro. L'affermazione o la negazione di questo carattere trascendente non deve guidare o condizionare l'interpretazione del testo. II testo va letto per quello che è, al di fuori di adesioni di fede o di incredulità. Lo sguardo è laico, scevro da paraocchi confessionali o anticonfessionali.

La conseguenza macroscopica di questo sguardo laico e critico è che noi non possiamo parlare rigorosamente della Bibbia al singolare, come facciamo spesso per comodità. Il punto di vista confessionale intende i libri ebraici come Antico Testamento e i libri greci come Nuovo Testamento considerando il primo in funzione del secondo. Il secondo allora sarebbe la chiave di lettura del primo per cui l'Antico Testamento non avrebbe una sua autonoma consistenza, un suo autonomo significato, sarebbe solo preparatorio, profetico, anticipatorio del Nuovo Testamento, ossia dei testi cristiani.
Una lettura critica invece deve parlare di Bibbia ebraica e di Bibbia cristiana. La prima contiene quell'insieme di libri che storicamente e culturalmente risalgono alla tradizione dell'Israele antico e la seconda contiene l'insieme degli scritti in greco che risalgono alle prime comunità cristiane, vergati nei primi 100 anni dell'era cristiana. La lettura critica non può elevare la Bibbia cristiana a criterio interpretativo di quella ebraica, chiamata Antico Testamento, termine un po’ dispregiativo per far risaltare il Nuovo Testamento. Una lettura critica è tale in quanto riconosce la dignità ed identità della Bibbia ebraica che deve essere letta in se stessa.
La stessa cosa ovviamente vale per la Bibbia cristiana. Non voglio dire, a scanso di equivoci, che una lettura confessionale, ma è meglio dire cristiana, anzi cristologica, non sia legittima. No, le letture più o meno sono tutte legittime nel loro genere, è però una lettura all'interno della fede che vede la storia presentata nella Bibbia ebraica in funzione della storia di Cristo e delle prime comunità cristiane. È una lettura legittima all'interno dei credenti. Noi invece, facendo una lettura critica che prescinde da queste percezioni di fede, dobbiamo distinguere tra Bibbia ebraica e Bibbia cristiana.

Voglio però precisare che anche la lettura critica non è mai neutra. Non si avrà mai una lettura in cui il lettore è un recipiente destinato a ricevere e basta, come una pellicola che deve essere impressa o come una
tabula rasa, cioè una lavagna su cui non si è scritto ancora niente, pronta a ricevere una scrittura. Il lettore non è un foglio bianco su cui niente è stato scritto, ha una sua storia, una sua soggettività, le sue comprensioni dell'esistenza, etc. Queste precomprensioni non debbono essere annullate perché rappresentano la possibilità di aprirlo ad un altro mondo, di entrare in un dialogo fecondo e di scambio con altre persone.
Il lettore non è solo destinato a ricevere passivamente dei messaggi che partono in modo automatico dalla Bibbia. La comunicazione avviene solo se c'è un'interpellanza. Il lettore interroga coloro che stanno dietro i testi biblici, vecchi uomini con le comprensioni dell'esistenza e della storia di allora, si stabilisce così un dialogo tra comprensioni diverse che produce nuove sintesi. L'importante è che le precomprensioni non diventino dei preconcetti.



2. Giustificazioni e motivazioni di un approccio laico

a) Circa il secondo punto, ossia la motivazione di un approccio di tipo laico e critico che voglia lasciar fuori le adesioni o i rifiuti di fede e incredulità, ancor più i preconcetti di tipo dogmatico, si deve rilevare anzitutto il superamento nei tempi moderni della dualità culturale esistente secoli fa tra clerici e laici.
Mi riferisco ad una dualità culturale e non sacrale, i clerici erano quelli che sapevano leggere ed in particolare sapevano leggere la Bibbia, mentre i laici erano quelli che non sapevano leggere e quindi dipendevano dai primi. Questo superamento è avvenuto da tempo nel nostro mondo occidentale, la lettura critica dei testi, anche se non a livello specialistico, è aperta a tutti.
Nel Medioevo molti erano analfabeti e non sapevano leggere la Bibbia, d'altra parte era avvertita l'esigenza che il testo biblico in qualche modo dovesse arrivare a tutti, nascono così le
Bibliae pauperum. Mirabile, per es., quella della cattedrale di Monreale dove viene descritta a grandi quadri musivi la storia dell'AT e del NT, i poveri, analfabeti, potevano così leggere visivamente la Bibbia.
Ora vi sono le condizioni perché tutto ciò sia superato e non vi sia più alcun sequestro, avocazione del testo biblico da parte di un gruppo ristretto di conoscitori privilegiati e perciò dominatori.


b) Come secondo motivo c'è il superamento, nei tempi moderni, del principio sacro della tradizione.
Fino a non molti secoli fa, l’approccio non solo alla Bibbia, ma più generalmente alla conoscenza, si basava sul principio della tradizione: così è stato detto, così è stato tramandato, gli antichi hanno creduto e così anche noi siamo tenuti a credere. Il superamento del principio sacro della tradizione e l'apertura alle nuove acquisizioni è una caratteristica della modernità.

Ad es., fino a due secoli fa vigeva il principio della tradizione a proposito delle lettere di Paolo cui si attribuivano 14 lettere, quelle del suo epistolario. Per secoli si è tramandato Paolo come autore di queste lettere e tuttora nella liturgia si legge: Lettera di S. Paolo ai Colossesi, agli Efesini, agli Ebrei, etc. Da poco gli è stata tolta la paternità della lettera agli Ebrei.
L'acquisizione moderna è che Paolo sia autore solo di sette lettere: la lettera ai Tessolonicesi, la 1 e 2 ai Corinzi, quella ai Galati e quella ai Romani, ai Filippesi ed a Filemone. Queste sette lettere rappresentano il documento di Paolo di Tarso. Poi è venuta la sua scuola: ai suoi discepoli risalgono la 1 lettera ai Tessalonicesi, le lettere ai Colossesi e agli Efesini e le cosiddette lettere pastorali che sono tre, 1 e 2 a Timoteo e a Tito. Poiché, secondo l'uso della pseudo epigrafia di allora, i discepoli intestavano i loro scritti al grande apostolo, riconosciuta autorità, la tradizione le ha considerate senz'altro come scritte da Paolo. Poi abbiamo la lettera agli Ebrei che non appartiene nemmeno alla tradizione paolina, ma che per vicende strane è stata attribuita a Paolo.
Ora il principio sacro della tradizione che attribuisce a Paolo l'epistolario paolino composto da quattordici lettere è superato da una lettura critica, storica. Ma come si fa a dire che alcune lettere non sono di Paolo? Perché sono diverse dal punto di vista letterario, stilistico e soprattutto nelle concezioni teologiche.

Un altro esempio riguarda i Vangeli. Fino a non molto tempo fa si riteneva che l'ordine con cui i vangeli sono sorti fosse quello liturgico, ossia prima Matteo, poi Marco, quindi Luca ed infine Giovanni. Da un approccio di tipo storico è apparso che Marco è il primo vangelo, nato grosso modo a cavallo del 70 d.C. e che è stato copiato da Matteo e da Luca che avevano anche altre fonti. Giovanni è molto più tardivo.
Non siamo più in una cultura che si affida alla forza della tradizione che ha una sua forza anche legittima. L'approccio alla Bibbia di tipo critico fa riferimento alle acquisizioni scientifiche di carattere storico, letterario, etc.


c) C'è anche il motivo del superamento, auspicato più che realizzato all'interno della confessione cattolica, la più monolitica di tutte le confessioni cristiane, della separazione avvenuta nella storia tra casta sacerdotale, detentrice di poteri speciali, sacri e magisteriali ed il gregge di fedeli da reggere con il vincastro.
In realtà la Bibbia è un libro destinato alla lettura di tutti, non può essere sequestrato da nessuno. Il Concilio ha fatto un passo avanti in questo senso, ma il più resta da fare.


d) L'ultimo punto, quello a cui attribuirei più importanza, riguarda l'interesse universale verso un libro religioso, la Bibbia, ricco di simboli, un bosco ricchissimo di simboli religiosi che sono vissuti nella fede non da tutti, ma che sono presenti nella cultura di tutti.
Questo dovrebbe spingere noi, credenti e non credenti, a coltivare un interesse particolare per la Bibbia, per i suoi simboli religiosi che hanno bisogno di una decifrazione attenta e di uno studio accurato. Uno studio di tipo laico mira innanzi tutto a capire la selva dei simboli, ad orientarsi, cogliere il loro significato reale e storico.

Non basta percepire che si enunci ad es. il simbolo del Regno di Dio, da questa espressione non si deduce ancora il suo significato reale e storico. Per capirlo bisogna andare alle sue origini che sono di tipo socio-culturale, politico. Alla base di questo simbolo c'è l'esperienza delle monarchie assolute del Medioriente. Il re non era soltanto il capo dell'esercito, non aveva solo il potere legislativo che nella storia dell'antico Israele competeva solo a Dio, non era soltanto un re assoluto, ma aveva anche un significato ideale, non solo in Israele, ma pure nei popoli vicini. Il re era il difensore di quelli che non avevano difesa perché non avevano peso politico, sociale, e la loro causa non veniva difesa efficacemente poiché i tribunali erano addomesticati dai forti, dai potenti. Allora gli indifesi ricorrevano al re considerato, anche in modo ingenuo, come il difensore della giusta causa dei poveri.
Quando noi ci troviamo di fronte al simbolo di Dio re e del suo Regno, dobbiamo comprendere il suo significato reale e storico di simbolo religioso portatore della sete enorme di giustizia delle masse dei poveri che non si rassegnavano ad essere oppresse, ma chiedevano giustizia. Quando le masse dei poveri capirono che i re storici erano in combutta con i potenti, proiettarono in un Dio la loro attesa dando origine al simbolo religioso di Dio re, di Dio che renderà giustizia.

Capire i simboli religiosi e studiarne la genesi è tutt'uno. Essi non sono caduti dal cielo, sono nati sulla terra, hanno avuto dei contesti storici, sociologici, culturali ben precisi.
Potrei fare un altro esempio molto stimolante, quello del
Figlio dell'Uomo, simbolo religioso di tipo cristologico in cui si esprime la fede della comunità giovannea.
Il
Figlio dell’Uomo era già un simbolo religioso presente nell'antico Israele, soprattutto nel libro di Daniele ed anche nelle visioni di Enoc. Ma nella comunità di Giovanni assume un significato preciso: il Figlio dell’Uomo è colui che discende sulla terra, rivela il mistero di Dio e poi risale al cielo. C'è una estraneità del Figlio dell’Uomo” rispetto al mondo, quel mondo che lo rifiuta. Il mondo del Figlio dell’Uomo non è il nostro mondo, ma quello di Dio.
Come è nato questo simbolo dal duplice movimento della discesa e dell'ascesa al cielo? La comunità giovannea era estranea al mondo, era anche settaria, rinchiusa in se stessa, assediata dall'esterno, perseguitata. Il mondo era percepito come nemico della comunità per cui l'immagine di Cristo che questa comunità vive è la copia di se stessa. La comunità vive Cristo come il “Figlio dell’Uomo” estraneo al mondo, che il mondo odia. La comunità ha proiettato in Cristo il suo vissuto ed in questo modo essa può sopravvivere, andare avanti, difendersi, far fronte all'assedio di un mondo ostile e continuare nella confessione della propria fede.
Studiare la Bibbia significa anche cogliere il funzionamento dei suoi simboli. Il simbolo del “Figlio dell’Uomo
funziona da rassicuratore della comunità giovannea di tipo settario che lo ha prodotto: se anche Cristo è assediato ed odiato dal mondo, allora anche noi possiamo sopravvivere all'odio del mondo. Tale simbolo funziona per l'acquisizione di una propria identità e di una propria sicurezza.

Il funzionamento dei simboli religiosi ha vari aspetti. Innanzi tutto essi producono dei codici etici. È una funzione importantissima.
Ad es., il comandamento
di Gesù dell'amore dei nemici (Mt 5 discorso della montagna) presenta questa motivazione: «affinché diventiate figli del Padre celeste, poiché egli fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». Il simbolo religioso raffigura il Dio creatore che fa sorgere il sole e fa piovere in modo indiscriminato. Nel testo di Matteo il Dio creatore è chiamato Padre mentre in quello di Luca non ha questo titolo, non credo che ci sia la sovrapposizione di due simboli religiosi, quello di Dio creatore e di Dio Padre, ma è comunque una questione secondaria. Il simbolo religioso di un Dio creatore che ama in modo effettivo ed indiscriminato perché fa sorgere il suo sole e fa piovere la sua acqua indiscriminatamente sui buoni e sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti, produce un codice etico all'insegna di un amore indiscriminato: «amate non solo i vostri amici, ma anche i vostri nemici».

Questi simboli religiosi influiscono sulla psiche di chi è toccato dal simbolo o perché lo vive nella fede o perché è in lui presente culturalmente.
Influisce sulla psiche ingenerando paure, ad es. il simbolo religioso di Dio giudice. Sono rimasto sempre molto colpito dal giudizio universale della Cappella Sistina che mostra Cristo con una forza ed una capacità di rifiuto dei malvagi impressionante a tal punto che alcuni dicono che la Madonna, un po’ terrorizzata anche lei, si nasconde, anche se a me non sembra.
Un simbolo religioso come quello del Dio guerriero finisce per produrre una sensibilità aggressiva, anticamera di comportamenti violenti e bellicosi.
Il simbolo di un Dio protettore produce coraggio. Dio è la mia roccia si dice spesso nei Salmi, dunque il punto su cui posso stabilmente fissarmi. Il simbolo di Cristo venturo produce speranza, attesa del giorno in cui verrà. Il simbolo di Dio creatore, come si è visto sopra, può produrre sentimenti di amore.

I simboli religiosi possono portare ad atteggiamenti di tipo politico in senso vasto. Per es. in
1 Cor 8,5-6 si legge: «in questo mondo ci sono molti dei e molti signori». Paolo certamente non ammetteva il politeismo, ma aveva una visione fattiva della realtà: esistono gli dei laddove sono adorati, così come esistono i signori laddove ci sono i servi. E continua: «ma per noi c'è un solo Signore».
Il rifiuto di comportarsi come servi può generare atteggiamenti politici. Al tempo di Gesù era in atto la resistenza politica degli zeloti che porterà più tardi alla grande rivolta ebraica contro il dominio dei romani. Il simbolo religioso che animava gli zeloti era appunto che Dio è l'unico re, non ce ne possono essere altri, quindi il dominio romano è assolutamente empio, perciò facciamo la guerra di liberazione.

Noi siamo chiamati a giudicare la verità dei simboli religiosi, certo non la verità trascendente che è oggetto di fede. In una lettura critica, laica, non dobbiamo decidere se veramente Dio è giudice, cioè se questi simboli religiosi riproducono una realtà trascendente, questa è oggetto della fede per chi ci crede e dell'incredulità per chi non ci crede. Ma c'è una verità pragmatica, etica dei simboli religiosi che deve essere sottomessa e misurata sulla scala dei valori umani, universalmente riconosciuti.
Ci sono simboli religiosi che funzionano positivamente, che producono comportamenti che vanno nel senso della fratellanza, dell'unione dei popoli, nel senso dell'amore e della comunione. Ma ci sono anche simboli religiosi che funzionano negativamente, in senso aggressivo. Abbiamo mille esempi di questo funzionamento negativo non solo nella storia cristiana, ma anche in quella di altre confessioni religiose.
Uno sguardo laico prende posizione sulle religioni nel loro funzionamento sociale, non per accettarle o per rifiutarle aprioristicamente, questo sarebbe un giudizio di tipo dogmatico. Le religioni da parte loro sono chiamate a sottostare ad un giudizio di carattere etico-umanitario, se non vogliono finire nel fanatismo e nell'irrazionalità.



DIBATTITO



1. A proposito di critiche fatte a certe tradizioni, mi pare strano che lei non abbia criticato il primato del papa di cui parla il vangelo; vorrei che dicesse qualcosa su questo punto.

Mi era anche venuto in mente questo esempio, l'ho scartato perché si situa all'interno delle confessioni cristiane, è una divergenza tra cattolici, protestanti, ortodossi ed anglicani. Anche su questo punto l'approccio ideologico di tipo confessionale-cattolico emerge quando, in modo subdolo, si citano i testi del NT che riguardano Pietro come se fossero detti al successore di Pietro.
La realtà del papato non esiste nel NT, il papa non esiste come non esiste l'episcopato, anche se sull'episcopato qualcosa c'è nelle lettere pastorali, ma sul papato niente. C'è Pietro e in passato le negazioni di segno protestante su Pietro erano molto forti e dettate anche quelle dal preconcetto che ciò che si concedeva a Pietro bisognava poi concederlo al papa ed allora non si concedeva niente a Pietro.
Bisogna fare una netta distinzione tra ciò che si dice di Pietro e del suo ruolo nel cristianesimo delle origini e ciò che si dice del papa. Quest'ultimo presuppone uno sviluppo successivo e bisognerebbe avere il coraggio di dirlo, l'uso della Bibbia è ideologico quando si fanno passare le affermazioni di Gesù su Pietro, sulle quali peraltro dal punto di vista storico si potrebbero fare varie considerazioni, come se fossero affermazioni sul papa. No, valgono solo per Pietro. Per fare il salto da Pietro al papa ci vogliono altre considerazioni che non troviamo nella Bibbia, il papa è venuto in seguito ad uno sviluppo storico successivo.


2. Vorrei che ci spiegasse meglio il significato di “Figlio del Padre” che mi pare che corrisponda a Barabba

“Figlio del Padre” è identico a “Figlio di Dio”. Questo simbolo religioso ha una grande parte nei tempi cristiani. “Figli di Dio” nella Bibbia ebraica erano ritenuti il re, alcuni pii israeliti. È importante evitare di essere catturati dalla ideologia quando sentiamo “Figlio di Dio”.
Ciò vale anche per altri simboli come Dio padre, Dio re. Pensiamo di sapere già cosa vogliono dire, ma è sbagliato. È come se uno dicesse: sento che Dio è re e poiché sono repubblicano debbo prendere atto che la Bibbia è monarchica e quindi rifiutarla. Questo è un chiaro approccio di tipo ideologico assolutamente deteriore.
Oppure leggo che Dio è padre e deduco: Dio è maschio, ma io sono per il movimento femminista, dunque non posso accettare tale simbolo maschilista. Non dico che non ci sia anche sul simbolo di Dio padre un tale influsso, chiaramente evidente nella cultura del tempo, ma bisogna vedere come il simbolo paterno funziona concretamente. Ad es. in Gesù il simbolo Dio padre esprime solo un amore indiscriminato senza alcuna valenza maschile o femminile.

Noi purtroppo, data la distanza temporale che ci separa dai simboli religiosi della Bibbia, data la diversità delle situazioni socio-culturali in cui viviamo rispetto a quelle del tempo che hanno prodotto il simbolo religioso, non comprendiamo quasi più niente. Ad es. non comprendiamo oggi più niente del simbolo “Dio re” in cui si esprime la speranza di giustizia da parte di quelli che giustizia non riescono ad avere. Quindi vi è l'esigenza di andare al di là dei significati che ci sembrano ovvi, ma che ovvi non sono affatto, trattandosi di simboli molto antichi. Questo è un campo molto importante per riuscire ad avere un approccio intelligente. Bisogna stare attenti a non essere sviati subito dal fatto che, non conoscendo né le origini dei simboli, né il loro significato, né la loro storia, vi attribuiamo significati arbitrari.


3. Vorrei tornare sull'esempio che riguarda i fratelli di Gesù. Tu hai parlato della lettura ideologica, ma la lettura critica a quali conseguenze porta? Hai poi accennato che in Marco si parla delle sorelle di Gesù, ma dove esattamente?

Mc 6,1-5. Quando Gesù torna a Nazareth è rifiutato da tutti: anzitutto dalla sua patria (cioè dal suo villaggio); poi da un cerchio un po' più stretto, dai suoi parenti; infine da un cerchio ancora più stretto, dall'oikia di Gesù, ossia dalla sua casa costituita da Maria, dai fratelli e dalle sorelle.
È un testo così sconvolgente che Matteo e Luca, che hanno copiato Marco, non riproducono questo triplice rifiuto della sua patria, dei suoi parenti e della sua famiglia. Per Luca sono solo i compatrioti che lo rifiutano, secondo Matteo sono i compatrioti e la casa.
L'approccio critico circa i fratelli è quello di assumere il dato nel senso ovvio: aveva fratelli e sorelle. Non è neppure impossibile che fossero fratellastri. Certamente dobbiamo scartare che fossero dei cugini perché, se si sostiene che nell'ebraico la parola fratello aveva un significato più largo, ciò non è vero nel greco dove
adelphoi sono i fratelli e non i cugini. Poiché le tre tradizioni sinottiche sono in lingua greca, si può escludere che fossero dei cugini. Si potrebbe anche pensare, come ho detto, ma come una possibilità su mille, ai fratellastri, ma con tutta probabilità erano fratelli e sorelle che con Maria costituivano la famiglia.
Non si parla di Giuseppe e due sono le ipotesi: l'interesse su Giuseppe era scaduto nella tradizione oppure Giuseppe
a quel tempo era già morto.
Sappiamo inoltre che la famiglia di Gesù, ossia la madre ed i fratelli, ha poi contato moltissimo nella chiesa primitiva. Paolo stesso nella 1 Corinzi, come prima ho accennato, si confronta con i fratelli di Gesù, attivi nella predicazione cristiana. Erano proclamatori del Vangelo, guide, capi. Giacomo è stato il capo della chiesa di Gerusalemme dei circoncisi dopo che Pietro si è dedicato alla missione.


4.
Lei ha fatto un riferimento al simbolo del Figlio dell'Uomo in Giovanni. Il Figlio dell'Uomo lo troviamo anche in Marco, ha un significato diverso?

In Marco il significato del simbolo del Figlio dell'Uomo è diverso che in Giovanni.
In Marco i testi sul Figlio dell'Uomo sono molto antichi, almeno una parte, quelli che con probabilità risalgono a Gesù stesso che conosceva bene il simbolo del Figlio dell'Uomo, proveniva dalla tradizione ebraica: da Daniele, poi da Enoc. All'inizio Figli dell'Uomo erano i Figli dell'Altissimo, il popolo di Dio perseguitato in ambito ellenistico.
In Giovanni la caratteristica del Figlio dell'Uomo designa colui che è disceso e asceso ed in questo duplice movimento c'è il perché la comunità di Giovanni ha prodotto questo simbolo: per indicare l'estraneità, l'inimicizia del mondo verso se stessa.


5. Cosa intende lei per libri della Bibbia? Mi risulta che gli Ebrei considerano alcuni libri, accettati dalla Chiesa Cattolica, tavolette apologetiche e quindi non li comprendono nella Bibbia. Viceversa, ci sono dei vangeli apocrifi che non sono considerati canonici dalla Chiesa Cattolica. Allora quando parliamo di Bibbia da che punto di vista ci mettiamo?

È vero. Alcuni libri ritenuti ispirati o sacri dai cattolici, ma non solo, non sono ritenuti tali dagli ebrei, soprattutto quelli scritti in greco. La lingua della Bibbia è l'ebraico. Alcuni scritti in greco come quello della Sapienza, molto recente risalendo al 70 a.C., sono ritenuti invece dalla Chiesa ispirati e sacri. Perciò nel leggere laicamente la Bibbia ebraica si assume il loro punto di vista: un elenco di scritti decurtato rispetto all'elenco della Chiesa, che è di carattere dogmatico.
Nel NT o nella Bibbia cristiana ci sono pure dei libri cosiddetti deuterocanonici su cui ci sono state delle discussioni circa il loro carattere ispirato: l'Apocalisse, le lettere cattoliche, Giuda, etc.

C'è una diversità di valutazioni da tener presente.
I vangeli apocrifi antichi sono da distinguere da quelli successivi, sono scritti teologicamente impegnati a difendere l'eresia gnostica secondo la quale Gesù non è il Figlio di Dio incarnato e Il loro rifiuto è più che motivato da parte della Chiesa cattolica. I vangeli o gli Atti degli Apostoli apocrifi successivi, quelli che riguardano le tradizioni su Maria presentata al tempio quand'era bambina, etc., sono innocui, nati dall'esigenza di colmare le lacune circa l'infanzia di Gesù, di Maria.


6. Abbiamo parlato molto di una lettura ideologica, però a me pare che lo stesso prodotto Bibbia abbia un suo contenuto ideologico, nel senso che è un libro che serve per la fede, è una serie di libri prodotti per una tesi. Mi pare che nella intestazione del vangelo di Marco c'è scritto che Gesù è il Figlio di Dio, quindi c'è già una tesi preconcetta, prefabbricata, prima ancora di cominciare a scrivere il vangelo.
Allora da una parte c'è tutto il discorso di prima sulla ideologia e dall'altro il fatto che per molti di noi la Scrittura è parola di Dio. Che differenza c'è allora da una parte tra parola di Dio o libro per la fede ed in quanto tale necessario per la nostra vita religiosa e dall'altra lettura ideologica? Non è forse un artificio?


No, c'è una distinzione netta tra lettura ideologica e lettura di fede. Il fatto poi che ci possa essere una fede con qualche venatura ideologica dentro o una lettura ideologica che si basa su elementi di fede non annulla la distinzione.
Una lettura spirituale, di preghiera dei Salmi non posso chiamarla lettura ideologica. È una lettura spirituale, nel senso che c'è una consonanza tra il testo e chi lo legge, educato spiritualmente da questi testi, da questi simboli religiosi.
Quando io dico lettura ideologica di tipo confessionale non voglio dire una lettura di fede, ma una lettura fatta a partire non da una esperienza calda di fede, ma da principi dogmatici ritenuti assolutamente immutabili e che va alla Bibbia per trovarvi una conferma.

Ad es., oggi nella chiesa cattolica si discute sulla legittimità della pena di morte. Si è prodotto un grosso manuale del catechismo in cui, anche se con limiti ben precisi, si afferma che la pena di morte è legittima. Dove avviene la lettura ideologica? Per trovare una conferma alle sue persuasioni, la Chiesa cita la lettera di Paolo ai Romani, cap. 13, dove Paolo dice che le autorità costituite romane hanno in mano la spada. Il potere della spada è il potere giudiziario che poteva irrogare le sentenze capitali, allora si dice che Paolo insegna la legittimità della pena di morte irrogata da poteri politici.
Sia chiaro, se la Chiesa nei suoi vertici magisteriali si limitasse a dire che è legittima la pena di morte, potrebbe anche andar bene dal suo punto di vista. Non va bene quando va a trovare in modo forzoso una conferma nei testi biblici.

Non bisogna confondere una lettura confessionale con quello che ad es. si fa nella liturgia, nella preghiera. Certo, ci possono anche essere degli elementi ideologici nei sermoni e nelle omelie, ma grosso modo l'approccio nella preghiera e nella liturgia è un approccio più semplice, generalmente non ideologico. Un approccio di fede, non ideologico, ma neppure critico e laico.


7. È un po’ sfuggente la distinzione tra precomprensione e preconcetto, può ritornarci su?

II grande teorico della precomprensione come posizione di partenza all'approccio biblico è Bultmann. In un articolo molto interessante egli distingue accuratamente la precomprensione dal preconcetto. Quella è una comprensione che noi abbiamo di noi stessi e della nostra soggettività che ci mette di fronte al mondo della Bibbia per entrare in un dialogo fecondo, critico o autocritico. Invece, il preconcetto è una posizione rigida che noi abbiamo e che cerchiamo di confermare attraverso l'uso della lettura della Bibbia. La distinzione è molto precisa e per niente capziosa.

Faccio un esempio, ho letto tante volte il libro di Giona, un bellissimo libro, e non mi sono mai accorto di un elemento che appare proprio alla fine, quando Dio rimprovera Giona che si è arrabbiato perché i Niniviti, nemici acerrimi di Israele, si sono convertiti e così sono arrivati al perdono di Dio mentre Giona, che rappresenta il popolo di Dio, avrebbe voluto che fossero sterminati. Giona era arrabbiatissimo perché oltre alla precedente vicenda si era anche essiccata la pianticella sotto l'ombra della quale si era riparato fuori da Ninive. Disse a Dio di voler morire e Dio gli risponde: Giona, sei proprio tanto dispiaciuto della morte della pianticella? E Giona: non ne posso più. E Dio: ed io non dovrei essere dispiaciuto delle centinaia di migliaia di persone che sono a Ninive, la cui destra non sa dov'è la sinistra (ossia hanno smarrito il senso dell'orientamento della vita) e (frase che non avevo mai notato) delle migliaia di animali che sono a Ninive?
La precomprensione di tipo ecologico ti aiuta ad esser sorpreso ed a considerare il fatto che Dio si preoccupa degli animali. Dio è custode dei viventi, di tutti i viventi. Nella sensibilità ebraica i viventi erano solo gli uomini e gli animali mentre le piante non appartenevano al mondo dei viventi.

Quindi è una soluzione eclettica, essenzialmente.

Sì, la lettura della Bibbia è una sintesi tra il nostro mondo e quello della Bibbia, sono questi due mondi che entrano a contatto e producono una sintesi creativa e ricca.


8. Ho capito che fare una lettura laica, critica, significa spogliarsi da vari preconcetti, da sovrastrutture culturali, etc., possibilità che non tutti hanno per vari motivi. Ciò allora significa che i più semplici sono tagliati fuori da una comunicazione pulita con la Bibbia?

La lettura critica è cominciata da circa duecento anni nel mondo cristiano e molto meno nel mondo cattolico perché veniva ritenuta eretica, ma negli ultimi 50 anni la situazione è cambiata.
Quello che però non è avvenuto ancora, ma che avverrà pian piano, e questo corso è un segno, è che questi approcci di tipo critico arriveranno ad un largo pubblico. È mancata la cinghia di trasmissione che dal livello specialistico degli studi fornisse a tutti gli strumenti per valutare e leggere criticamente la Bibbia senza più la distinzione tra clerici e laici. Non scopro nulla di nuovo dicendo, ad es., che nella Comunità S. Paolo c'è un gruppo biblico, partito da zero, che ha man mano maturato una notevole capacità di approfondimento e valutazione critica.


9. Oggi come oggi la lettura critica nasce con l'apporto del mondo laico, con l'apporto protestante ed ultimamente, come lei ha detto, anche con la Gregoriana, forse si pensa all'azione del Cardinal Martini. Alla luce di ciò mi chiedo: sarà possibile, grazie alla spinta della lettura critica, fare una riformulazione dei contenuti di tutti i concili ecumenici o abbiamo bisogno di una nuova Pentecoste?

II processo di incarnazione culturale non è ideologico, è fisiologico, è un prodotto della vita. Il movimento cristiano assume nella storia le culture, si incarna attraverso un processo fecondo, qualche volta deviante, altre volte arricchente, ciò non è ideologico.
Ma non è che il movimento deve restare tale e quale come è nato. Il ritorno alle fonti, che poi è stato uno degli slogan del concilio, è rifare all'indietro il cammino e vedere lo sviluppo che è avvenuto, non per negare lo sviluppo, ma per riuscire ad accorgersi degli sviluppi e delle rivoluzioni.

Le dichiarazioni dei concili antichi oggi non ci dicono più niente perché siamo diversi culturalmente. Ciò che si è detto per i simboli religiosi biblici, vale anche per i dogmi dei concili. Come si chiedeva il grande teologo Karl Rahner, il problema è cosa significhi confessare oggi la fede in Gesù Figlio di Dio, perché non basta dire la formula. Rahner entrò in collisione con l'arcivescovo di Colonia che invece ripeteva la formula, ma nessuno sa più cosa significhi Figlio di Dio.
Il problema è allora cogliere il significato dei simboli, il significato delle formule, il problema è quello della riformulazione, ma prima è necessario comprendere la valenza reale che aveva la formula e che può avere ancora oggi.

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