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6. Giuseppe Barbaglio 20.05.1993

Bibbia > 1° Corso laico ed interdisciplinare di cultura biblica: Introduzione (1993)



trascrizione integrale

La morte di Gesù: esito programmato o violenza subita?




1. Un fatto di sangue

La violenza della morte di Gesù, una violenza distruggitrice della quale vedremo dopo le caratteristiche, sta al centro del credo cristiano.
Sulla storicità della morte violenta di Gesù in croce non ci sono dubbi. Oltre le fonti cristiane abbiamo testimonianze extracristiane. Tacito negli
Annali, quando parla dei cristiani accusati dell'incendio dell'Urbe sotto Nerone, da una piccola notizia su un nuovissimo gruppo che appare sulla scena di Roma: «essi prendevano nome da Cristo che era stato suppliziato (supplicio affectus) per opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l'impero di Tiberio». Non dice morto in croce, ma torturato in quanto supplicio affectus vuol proprio dire una morte con tortura e quella in croce era certamente una tortura.
Giuseppe Flavio, storico ebreo venuto a Roma come grande vate della famiglia dei Flavi, nelle
Antichità Giudaiche riporta una breve notizia: «verso questo tempo visse Gesù e dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro popolo (forse questa è una glossa cristiana inserita per colpevolizzare gli ebrei), lo condannò alla croce (in questo caso c'è la determinazione esatta del tipo di morte) a lui non vennero meno i suoi discepoli che fin dall'inizio lo amarono».

Bisogna distinguere nella morte violenta di Gesù due aspetti: una dimensione di fatto ed una di evento.
Il fatto bruto riguarda quello che è realmente avvenuto, il fatto visto nel suo aspetto estrinseco, fenomenico, nella sua indeterminatezza. L'evento è la portata umana e culturale della morte così come è vissuta dal diretto interessato, dai discepoli, dagli avversari, ossia dai protagonisti attivi. Si riferisce a come Gesù si è espresso nella sua tragica morte, come si sono fatti presenti gli altri, quelli che hanno collaborato con lui o che lo hanno messo a morte e quelli che sono venuti dopo, i cristiani.
La morte di Gesù come fatto bruto ha un interesse relativo mentre interessante è la morte come evento, evento vissuto, evento interpretato in cui sono dentro le persone protagoniste.



2. Coordinate essenziali del fatto bruto

Il fatto riguarda Gesù di Nazareth che ha avuto un passato di contrasti e polemiche. La sua presenza è minacciosa per gli strati giudaici più legati alla rigorosissima osservanza della legge e per le stesse autorità di Gerusalemme. La sua morte non è avvenuta senza motivi, senza preparazione, senza cause, senza perché. Il protagonista è Gesù che subisce la morte violenta ed è tutta la sua storia che confluisce in questa morte violenta.

In base alle testimonianze la morte è avvenuta senza dubbio a Gerusalemme.
Sulla data della morte invece non abbiamo notizie sicurissime, possiamo dire a cavallo dell'anno 30 d.c., forse il 27, forse il 30, forse anche il 33, ma le fonti cristiane, che sono quelle principali, non ce lo dicono.

La modalità della morte è stata la crocifissione, una pena romana. Quindi Gesù è stato condannato a morte dalle autorità romane. Se lo avessero condannato a morte le autorità giudaiche, lo avrebbero lapidato, come lapidarono Stefano, alcuni anni dopo. La pena della croce era di origine persiana, una pena terribile, riservata agli schiavi. Seneca la chiamava
servile supplicium in quanto appunto tortura riservata agli schiavi. Applicata ai ribelli aveva funzione di terrore per preservare la sottomissione dei popoli o dei singoli alle autorità romane.
La crocifissione aveva anche una significato religioso nell'ambito giudaico perché nel libro del Deuteronomio c'era scritto:
«è maledetto da Dio colui che pende cadavere dal legno», ossia dall'albero. Questa maledizione originariamente era riservata a chi stava appeso come cadavere senza ricevere degna sepoltura, ma al tempo di Gesù ed immediatamente dopo, c'è stata un'estensione del significato per cui chiunque moriva in croce veniva considerato maledetto da Dio.
Nell'ambiente giudaico, contrario ai primi cristiani, si usava questo argomento contro la pretesa di Gesù e dei suoi discepoli di individuare in lui il messia. Ciò è testimoniato da Paolo in
Gal 3 che capovolge l'argomento degli avversari: «voi dite che Gesù è un maledetto da Dio. Bene, è un maledetto da Dio che è fonte della benedizione divina per noi».
Quindi la crocifissione oltre al carattere di pena terribile che colpiva solo gli strati infimi della società quali erano gli schiavi, era anche una pena che aveva una carica religiosa, l'espressione della maledizione di Dio.

Circa la motivazione della morte violenta periodicamente emerge l'ipotesi che Gesù sia stato condannato a morte per motivi politici, ossia per insurrezione, per ribellione al dominio romano. Si porta come argomento la scena della purificazione del tempio quando Gesù entrò con in mano il flagello, capovolse i tavoli dei venditori, buttò fuori dall'area i commercianti.
C'è anche un testo di Luca in cui Gesù nell'orto degli ulivi scopre che i discepoli hanno una spada e dice, con parole un po' misteriose, che debbono essere pronti.
Quest'interpretazione in chiave politica della morte di Gesù ha poche probabilità di essere quella esatta.

Con maggiore probabilità ciò che ne ha determinato la morte, anche se le fonti cristiane hanno rielaborato con interpretazioni di parte l'evento, è stato il suo contrasto con le autorità gerosolimitane. Le offerte di monete e di animali per il servizio del tempio erano sotto la giurisdizione dell'alto clero gerosolimitano che ricavava da tali offerte cespiti rilevanti. L'ingresso di Gesù nell'area del tempio che butta a terra le tavole dei cambiavalute e scaccia i commercianti deve aver irritato moltissimo la classe sacerdotale gerosolomitana, ma anche l'aristocrazia laica di Gerusalemme che era rappresentata nel Sinedrio, autorità suprema della città. L'aristocrazia guardava con sospetto questo profeta della Galilea.
La Galilea era a quel tempo la zona per antonomasia di quelli che non erano molto osservanti, da lì venivano molti zeloti che volevano liberare la Palestina dal dominio romano in nome dell'unico Dio re. Sarà un galileo l'iniziatore del movimento zelotico che nel 66, trent'anni dopo la morte di Gesù, portò all'insurrezione contro i Romani.

Anche la libertà di Gesù sulle prescrizioni del puro e dell'impuro lo facevano apparire come un persona pericolosa per lo
status quo religioso, ma ciò che ha fatto traboccare il vaso è stata la predizione contro il tempio di Gerusalemme, interpretata poi da Giovanni in chiave metaforica come riferita al tempio del suo corpo. Gesù era avvertito come un nemico del tempio, profeticamente aveva lanciato contro la società giudaica infedele la profezia della distruzione del tempio come castigo di Dio, questo era un motivo sufficiente per condannarlo a morte.
Ci sono importanti antecedenti, ad es. Geremia che per aver pronunciato una profezia di distruzione del tempio fu messo in carcere e salvato in extremis dal diretto intervento del re, altrimenti ci avrebbe lasciato la pelle. Poco dopo la morte di Gesù, come narra Giuseppe Flavio, un profeta che tutti i giorni si presentava a Gerusalemme in pubblico dicendo:
una voce viene dall'oriente, una voce viene dall'occidente, una voce viene dai quattro angoli della terra, è una voce contro il tempio, fu arrestato dalle autorità giudaiche ed accusato davanti al procuratore romano di un crimine degno di sentenza capitale. Il procuratore romano, dopo averlo interrogato, si accorse che era una persona idealista, un pazzo e lo lasciò andare dopo avergli dato una pena esemplare.
Poiché le uniche fonti cristiane che abbiamo hanno circondato il fatto della morte di Gesù con tanti significati, non ultimi gli interessi apologetici, non possiamo oggi avere la certezza storica del perché Gesù sia stato condannato. La probabilità storica è che Gesù sia stato considerato un nemico del tempio e ciò era una causa sufficiente per condannarlo a morte.

Conosciamo anche chi ha prodotto questa morte violenta. Non sono state le autorità giudaiche a far uccidere Gesù perché lo avrebbero lapidato e non messo in croce. Sono state le autorità romane ed in particolare il prefetto romano Ponzio Pilato che ha condannato a morte Gesù come ribelle.

Nei primi 30 anni del primo secolo erano comparse diverse figure che dichiaravano di essere il messia, si ritiravano nel deserto e ammassavano centinaia o migliaia di persone. Fecero tutti una fine piuttosto brutta perché le autorità romane non tolleravano tali manifestazioni.
Gesù non era uno di questi perché non aveva un esercito di soldati armati intorno a sé. Nell'orto degli ulivi Pietro tirò fuori la spada e con un colpo mozzò un orecchio ad un servitore del sommo sacerdote del tempio, ma l'episodio è stato nel complesso meno di una scaramuccia.
L'unica possibilità per le autorità gerosolomitane di far pagare a Gesù l'ostilità contro il tempio è di farlo condannare dalle autorità romane come ribelle. Con ogni probabilità allora le autorità giudaiche non avevano lo
ius gladii, il diritto di emettere sentenza capitale perché il prefetto romano lo aveva avocato a sé. Quindi giuridicamente chi ha emesso e fatto eseguire la sentenza è stato Ponzio Pilato, ma i responsabili morali, quelli che stanno dietro questo evento, sono senz'altro le autorità gerosolimitane che hanno fatto di tutto perché il prefetto romano emettesse la sentenza capitale.

Nella tradizione della Bibbia cristiana c'è la figura di Giuda, discepolo di Gesù. Certamente i cristiani non avevano alcun interesse a costruire tale figura se non fosse stata storica perché non avrebbero certo inventato un discepolo che tradiva il suo maestro. Gesù in quei giorni andava e veniva da Gerusalemme, spesso si nascondeva nell'orto degli ulivi, un luogo riservato. Giuda però lo sapeva ed è stato lui ad indicare alle autorità giudaiche il luogo dove Gesù si trovava. Giuda quindi prestò la sua importante collaborazione all'arresto di Gesù.



3. Significato del fatto che diventa evento vissuto

Molto più interessanti sono i significati del fatto che diventa perciò un evento.

a) I significati si possono cercare innanzitutto a livello di Gesù: come egli ha vissuto la sua morte?
È certo che non si è trovato all'improvviso di fronte alla morte, ma stante il fatto che la sua morte era il punto di arrivo di grandi contrasti, contestazioni e polemiche, sapeva che la sua vita era minacciata, tant'è vero che si nascondeva.
Su come Gesù ha vissuto la sua morte non abbiamo informazioni molto precise, si possono solo dire alcune cose generali. Innanzitutto Gesù non è fuggito. Si nascondeva, ma non lasciava la piazza. Di giorno stava sulla piazza e si ritirava di notte, nelle ore più pericolose, in luoghi abbastanza riservati. Non anelava alla morte e neppure l'ha cercata. Secondo una notizia del vangelo di Giovanni, quando muore Lazzaro Gesù non si trovava a Gerusalemme, ma ad Efraim, poco distante da Gerusalemme. Dunque prendeva delle precauzioni, si nascondeva, stava vicino ma anche lontano da Gerusalemme. Gesù ha tuttavia affrontato la morte quando si è trattato di assumere le sue responsabilità.

Un altro elemento che possiamo dire con certezza è che la sua morte violenta non è qualcosa di improvviso, ma il punto di arrivo della sua esistenza pubblica, della sua missione evangelizzatrice.
È l'espressione di una coerenza condotta fino alla fine, coerenza con se stesso, con quello che ha voluto essere, con il ruolo che ha giocato. Possiamo dire che è morto da profeta disarmato e perseguitato in quanto non ha potuto contrastare minimamente gli avversari. Le figure della tradizione biblica abitualmente perseguitate dal potere politico trovano in lui una nuova realizzazione.
Un ulteriore elemento che ricaviamo dalle testimonianze è che Gesù non è stato salvato dal suo Dio a cui aveva dedicato la vita pubblica e l'annuncio. Questo Dio non lo ha strappato dalle mani dei nemici.

b) Su come hanno vissuto la morte violenta di Gesù gli avversari, quelli che lo hanno condotto alla morte, si possono dire cose molto interessanti. In Gv 11,49 il sommo sacerdote Caifa dice durante la riunione del Sinedrio: «è vantaggioso per voi che un solo uomo sia messo a morte per il popolo e che non perisca tutta la nazione». In queste parole di Caifa la violenza omicida è vista come un prezzo necessario per la salvezza del popolo, è quindi una violenza legittimata: conviene a tutti noi, a tutta la nazione giudaica che uno perisca al posto di tutta la nazione.

Qui troviamo la concezione classica del capro espiatorio, della vittima sacra, il meccanismo di sacralizzazione della violenza messo in evidenza dall'antropologo René Girard cui ho accennato più di una volta. René Girard ha analizzato le società primitive e poi ha evidenziato il meccanismo del capro espiatorio come chiave interpretativa dei grandi miti greci (Edipo) e delle scritture ebraiche e cristiane. Ha dimostrato che nel momento di crisi, come quello del tempo di Gesù durante il quale tra l'altro vi erano sollevazioni contro il dominio romano, i fronti contrapposti avvertono che si sta avvicinando il tempo in cui essi stessi verranno a cozzare l'uno contro l'altro scatenando così la violenza e la guerra di tutti contro tutti. Entra in azione allora il meccanismo di esportare la violenza al di fuori dei due fronti cercando la causa di questa crisi non in se stessi, ma al di fuori. Si colpisce allora un capro espiatorio, uno che non c'entra niente il quale viene caricato della responsabilità della crisi diventando il colpevole. La violenza dei due fronti viene deviata su di lui, i due fronti si liberano così della violenza uccidendolo e la crisi è momentaneamente superata.

Il capro espiatorio non è uno qualunque, ma rappresenta una presenza minacciosa, è un alieno, un diverso (pensiamo alla caccia alle streghe, alla persecuzione degli ebrei, etc.). Successivamente viene però avvertito come una presenza benefica, infatti ha salvato i due fronti contrapposti dallo scatenamento della violenza l'uno contro l'altro. La vittima viene sacralizzata e perfino divinizzata.
Per es. nel mito di Edipo a Colono, Edipo prima è visto come capro espiatorio della peste che ha colpito la città di Tebe, poi attraverso Tiresia si scopre che il colpevole è il re, allora il re stesso entra nel meccanismo della vittima sacrale e si acceca. Viene quindi esiliato da Tebe, la peste sparisce ed Edipo diventa fonte di benefici.

Così è avvenuto nel caso di Gesù che ha funzionato da capro espiatorio, la violenza è stata deviata su di lui, è stato ucciso e così è diventato una presenza benefica perché ha liberato da una violenza distruttiva.
Questa è l'interpretazione degli avversari, delle autorità giudaiche che si ritengono legittimate nella condanna e non considerano il fatto un omicidio.

c) La cosa impressionante è che l'interpretazione della morte di Gesù in chiave di capro espiatorio è continuata, anche se non in termini rilevanti, in alcuni settori del cristianesimo delle origini. Alcuni discepoli di Gesù sono entrati anch'essi dentro la mentalità del capro espiatorio ed hanno continuato il processo sacralizzando e divinizzando Gesù. Gesù è la vittima su cui è andata a finire la violenza di sacrificatori (quindi non omicidi, bensì sacrificatori) portando così la salvezza al mondo.

Ciò si ritrova stranamente nello stesso vangelo di Giovanni (cap. 11,51-52) dove la tradizione giovannea dice che Caifa ha detto tutto questo non come privato cittadino, ma come profeta:
era necessario che Gesù dovesse essere ammazzato non solo perché la nazione ebraica non dovesse perire, ma anche perché la salvezza arrivasse a tutto il mondo. Quindi anche un filone di discepoli, sia pure minoritario, è entrato nella logica della concezione vittimale ed ha portato agli estremi il processo del capro espiatorio riconoscendo così che la violenza fatta a Gesù è un mezzo utile e necessario per la salvezza del mondo, un mezzo che Dio usa. Ci sono quindi i sacrificatori umani ed il sacrificatore divino.

Che l'interpretazione sacrale del capro espiatorio della morte di Gesù sia stata fatta propria nei primi anni dopo la morte di Gesù dai cristiani è testimoniato da
1 Cor 5,7 dove si dice che Gesù è l'agnello sacrificale: «II nostro agnello pasquale, Cristo, è stato sacrificato».
Il testo non è paolino, ma prepaolino e di carattere liturgico.

L'interpretazione sacrificale, minoritaria, dell'ordine del 5% della Bibbia cristiana, diventa successivamente maggioritaria e quasi esclusiva lungo i secoli per merito di S. Anselmo che ha dato un'inquadratura teologica al meccanismo del capro espiatorio.
Il peccato è un'offesa infinita a Dio perché colpisce Dio che è infinito. Si noti l'elemento del Dio offeso, corrucciato, elemento sostanzialmente estraneo alla Bibbia cristiana, tant'è vero che quando si parla della riconciliazione Paolo dice che noi non dobbiamo riconciliarci con Dio, non dobbiamo dire preghiere o fare sacrifici perché è Dio che riconcilia noi a sé. Dio non ha bisogno di riconciliarsi con noi, non ha mai rotto con noi, siamo noi che abbiamo rotto con lui e la sua azione è di ricomporre la nostra rottura, non quella sua che non c'è.
Se il peccato è un'offesa infinita, per espiare il peccato ci vuole una
satisfatto digna, un gesto che dia adeguata soddisfazione e che sia degno dell'offesa fatta a Dio, cioè la morte del figlio. Ad una lettura attenta si scopre l'influsso di meccanismi che risalgono all'inizio dell'umanità. Noi cattolici abbiamo nel sangue, da secoli, il meccanismo del capro espiatorio. I protestanti limitano il sacrificio di Gesù al calvario mentre noi cattolici lo estendiamo anche alla messa.

d) Le interpretazioni maggioritarie nella Bibbia cristiana sono tre.

La prima, contestativo-vendicativa
, nel senso della vindicatio latina, è presente soprattutto nei vangeli e nella prima predicazione apostolica riportata dagli Atti.
Lo stesso Gesù nella parabola dei vignaioli omicidi (
Mc 12,1-12) entra in tale prospettiva quando dice ai vignaioli che hanno ucciso prima i servitori e poi il figlio unico del padrone: state attenti a quello che combinate, state operando un omicidio nei miei confronti. La parabola è l'ultima parola inviata da Gesù a quelli che stavano per farlo fuori, in Gesù quindi il meccanismo del capro espiatorio non è entrato affatto.

Questa interpretazione si trova soprattutto in un racconto primitivo della passione da cui sono stati poi costruiti i noti racconti degli evangelisti. Dietro i racconti della passione degli evangelisti c'è un racconto primitivo della passione elaborato grosso modo nei primi dieci anni dalla morte di Gesù. Tale racconto non era una presentazione del puro fatto, ma un'interpretazione della morte di Gesù. I cristiani che credevano nella resurrezione hanno riflettuto sul fatto sconvolgente della morte di Gesù e pian piano vi hanno visto dei significati positivi.

Un primo tentativo si avverte in Luca: era necessario che Gesù morisse per poter resuscitare, ma siamo ancora nell'ambito delle precondizioni.
Un'altra interpretazione è nella linea della contestazione del meccanismo vittimale del capro espiatorio. Alcuni cristiani erano entrati nella logica dei sacrificatori, ma un grande filone non ha fatto il loro gioco, ha contestato l'interpretazione data dagli avversari di Gesù.
Cosa vuol dire la contestazione del meccanismo vittimale o del capro espiatorio? Vuol dire che la morte di Gesù è stato un omicidio, non un sacrificio.
La loro critica assume un duplice aspetto. Anzitutto sono denunciati gli pseudo-sacrificatori: sono dei volgari assassini. Poi abbiamo la
vindicatio, la rivendicazione della memoria di Gesù che sottolinea la sua innocenza e vede la sua morte come una passio iusti. Non è la passione della vittima sacrificale, del capro espiatorio, ma quella di un giusto innocente.

Si trovano numerose giustificazioni a sostegno di questa tesi se si legge la passione di Gesù. Ad es. nel cap. 27 di Matteo ci sono tre elementi propri dell'innocenza di Gesù. Anzitutto Giuda si suicida per aver consegnato il sangue innocente, prima però getta le monete nel tempio, ma le monete non vanno a finire tra le offerte, con esse si compra un campo che si chiama “il campo del sangue”, della violenza omicida. Il secondo elemento riguarda Pilato che si lava le mani, sua moglie ha un sogno di notte che le rivela che il condannato è un innocente e la mattina dice al marito: “non intervenire in questa faccenda”. Ma la prova più grande che Gesù sia un innocente è la resurrezione. Se Dio lo ha resuscitato significa che gli ha reso giustizia (
1 Tm 3,16).

Questa lettura cristiana smaschera gli avversari. Sono dei violenti, sono dei distruttivi e ne fa fede la resurrezione dell'ucciso: Dio ha reso giustizia al crocifisso ed ha dato torto marcio ai sacrificatori. Lo spessore teologico di questa lettura della morte di Gesù è che Dio non ha nulla a che vedere con la morte violenta di suo figlio, né l'ha voluta, né vi ha cooperato. La morte violenta di Gesù è opera esclusiva degli uomini che si dimostrano così dei violenti. La parte di Dio è quella di resuscitare il crocefisso ed infatti l'ha resuscitato e gli ha reso giustizia.
Lo schema della prima predicazione apostolica teneva presente che il fatto era avvenuto a Gerusalemme di fronte alle autorità giudaiche e così si esprimeva:
«voi lo avete ucciso, ma Dio lo ha resuscitato» (At 2,21-24; 3,13- 15; 13,27-30).
In ciò c'è un messaggio di speranza: i giusti o quelli ingiustamente colpiti o crocefissi avranno giustizia da Dio. Questo è il significato: Cristo ha avuto giustizia e ciò è un impegno che i crocefissi avranno giustizia. Si fa allora piazza pulita dei capri espiatori. La violenza umana, quella dei persecutori, è smascherata per quello che è.

La seconda interpretazioni maggioritaria è quella personalistica e riguarda soprattutto Paolo e Giovanni.
L'attenzione cade sulla soggettività del condannato. Come ha vissuto Gesù la sua morte violenta? Non è un valore la morte, positiva è la soggettività umana e personale di Gesù, positiva non è la sofferenza per se stessa, tanto meno il sangue versato o la violenza omicida. Salvante è l'oblatività di Gesù, cioè l'obbedienza e l'amore verso il Padre e l'amore per gli uomini.

In 1 Cor 8,11 Paolo dice ai credenti di Corinto che non hanno alcuna attenzione verso i fratelli: «il fratello per amore del quale Cristo è morto», indicazione che dovrebbe diventare un programma di vita. Oppure si veda Gal 1,4: «Egli ha dato se stesso per i nostri peccati» ma non nel senso dell'espiazione; oppure in Gal 2.19-20: "mi ha amato e si è consegnato alla morte per me», un amore che ha sconvolto la vita di Paolo. Proprio per questa oblatività la morte di Gesù diventa salvante. Si legga ancora Gv 15,12-13 «nessun amore è più grande di questo, che uno dia la vita per i suoi amici».

L'oblatività di Gesù diventa salvante non solo come esempio da Imitare, è una oblatività coinvolgente.
Ad un evento che riguarda Gesù succede un evento che riguarda noi. In 2 Cor 5,14-15 Paolo dice: «l'amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed Egli è morto per tutti perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi ma per colui che è morto e risorto per loro». L'oblatività di uno che vive non egoisticamente chiuso in sé, che fa dono della sua vita per l'altro, diventa non solo un comandamento, ma anche uno stimolo profondo che coinvolge nel suo meccanismo. Per Paolo il credente si lascia coinvolgere in questo dinamismo dell'oblatività, del vivere non più per se stesso ma per gli altri.

Infine
la terza interpretazione maggioritaria è quella che chiamerei rivelativo-apocalittica, presente soprattutto nella prima lettera ai Corinzi di Paolo, ma anche in Marco.

Al centro c'è la
theologia crucis, ma la croce non è il simbolo della sofferenza.
Nel medioevo, in una società violenta dove molti soffrivano, è nato un movimento per il quale il crocefisso diventa il simbolo in cui i cristiani sofferenti si identificano. È in questo senso che Lutero dice ai contadini che avevano fatto la guerra ai signorotti: “la fede cristiana è croce, croce, croce”, cioè sofferenza, sofferenza, sofferenza. È strano che Lutero, paolinista, non si sia accorto della profonda differenza, ciò dice quanto i simboli siano profondi e come possano sfuggire perfino a persone di grandi intuizioni.

La croce in Paolo è invece simbolo della debolezza (
astenia). La debolezza di Colui che muore in croce è una debolezza che rasenta l'impotenza. In croce è finito non solo il figlio di Dio, debole e impotente, ma anche Dio stesso, debole ed impotente, incapace di salvare suo figlio dalla croce. Dio stesso va a finire sulla croce con suo figlio. Dio stesso va a finire nei forni crematori insieme a milioni di ebrei. I credenti del primo secolo avevano compreso la morte di Gesù come elemento disvelativo del volto vero di Dio e di suo figlio. Dio ed il figlio di Dio erano deboli ed impotenti a risparmiare ed a risparmiarsi la morte tremenda.

Nietzsche ha detto che Dio non è intervenuto per risparmiare suo figlio o perché non poteva ed allora è impotente oppure perché non voleva ed allora è malvagio perché un padre che potendo non interviene a risparmiare al figlio una morte così crudele è un malvagio. Se poi non ha né voluto, né potuto, è l'uno e l'altro insieme.
Nietzsche credeva così di aver fatto una critica radicale alla fede cristiana non sapendo che la risposta era già stata data da Paolo negli anni 50, ossia che Dio non è intervenuto perché non poteva, perché è impotente, è debole nella storia.

Si impongono a questo punto due precisazioni: Dio e suo figlio sono impotenti nella storia a dominare gli eventi. Dio non è un
Deus ex machina e neppure suo figlio può tutto nella storia, è come uno di noi.
Dio è impotente perché non è violento, non è uno Zeus potente che schianta e annienta. Non è stato capace di salvaguardare Gesù perché non è violento, non ha la potenza di fare o non fare morire, ha invece la potenza della vita che resuscita Gesù nella storia e i crocifissi alla fine.

Questa potenza di vita resuscitatrice germina già ora nel mondo, ma solo in modo precario, parziale, imperfetto. Dio è un potente creatore di vita in prospettiva escatologica, ossia finale, ma questa fine è già anticipata profeticamente, parzialmente nella storia. Dio ha la potenza escatologica della vita, per il resto è impotente. Questa è l'interpretazione più sconvolgente che hanno dato i primi cristiani della morte in croce, vissuta come evento apocalittico, evento disvelativo dove Dio estrae finalmente la sua carta di identità e così anche il figlio di Dio e l'uomo estraggono le loro carte di identità.

Questi tre grandi filoni interpretativi della morte di Gesù durante il primo secolo erano nettamente maggioritari, ma stranamente, anche se poi a guardar bene non è così stranamente, nella nostra tradizione si è imposta l'interpretazione sacrale, quella del capro espiatorio, della vittima sacra, della vittima legittimata, del meccanismo della violenza deviata sugli altri. Così stanno le cose.




DIBATTITO



1. Sulla morte di Cristo ci sono molte interpretazioni, invece sull'azione di Giuda ce n'è una molto sbrigativa, quella del tradimento, secondo me poco convincente. Ho letto un'interpretazione che mi convince molto di più, ma vorrei il suo parere. Se Giuda era uno zelota ambiva a fare di Gesù un messia in contrapposizione netta ai romani, aveva capito che Gesù possedeva poteri soprannaturali e cercava di spingerlo nel senso desiderato. Quindi il suo non è stato un tradimento, ma un tentativo di costringere Gesù a prendere una posizione precisa rispetto alla controparte, tant'è vero che quando vede che Gesù non prendeva posizione, ma si lasciava catturare e portare a morte, butta i trenta denari nel tempio, parla del sangue del giusto e per la disperazione si uccide. Che cosa ne pensa?

Giuda ha collaborato di fatto alla morte di Gesù. Tutte queste persone credevano di far bene, ma la cosa più impressionante è che c'è stata una concertazione di violenza a danno di Gesù e Giuda ha fatto la sua parte. Anche le autorità sacerdotali, il Sinedrio e Pilato hanno fatto la loro parte e persino la folla ha fatto qualcosa. C'è stata quindi una concertazione dei violenti, tutti contro il capro espiatorio.
Il problema si sposta dalle intenzioni ai fatti. Sulle intenzioni di Giuda purtroppo non sappiamo niente, mentre le interpretazioni della morte di Gesù sono documentate in vari testi. Perché Giuda abbia indicato Gesù non lo sappiamo. Nei vangeli c'è anche un processo a Giuda, Giovanni soprattutto ha il dente avvelenato. Ci sono tante ipotesi, quella più interessante dal nostro punto di vista è riportata nel romanzo
La gloria di Berto che mi ha impressionato molto perché il romanzo è dentro il meccanismo del capro espiatorio. Giuda è colui che è necessario perché Gesù compia la sua missione e quindi si può quasi dire che tra i due c'è una segreta intesa.
Sui motivi che hanno spinto Giuda ad indicare alle autorità giudaiche il luogo segreto dove si trovava Gesù non possiamo dire niente perché non abbiamo documentazione. L'interpretazione che lei ha illustrato può essere possibile ed anche probabile, ammesso che Giuda fosse uno zelota.


2. Volevo alcune spiegazioni sull'ipotesi della motivazione della condanna di Gesù fondata sulle dichiarazioni ed azioni di Gesù contro il tempio. Lei stesso ci ha detto che c'erano stati altri casi in cui si sono poi trovati degli escamotages per cui, anche se il fatto era gravissimo, non era tale da non permettere la possibilità di salvezza, come è successo ad altri.
Lei ha pure detto che l'accusa verso coloro che si proclamavano messia era molto più forte e questi venivano mandati inesorabilmente a morte. Non può esserci una convergenza tra i due motivi? Lei nel precedente incontro ha detto che Gesù non si presentava come messia, io ho sentito dire da altri teologi che all'inizio della sua predicazione Gesù non ne era consapevole, ma che verso la fine si presentava come messia e quindi usciva dalla tradizione ortodossa giudaica. Non può allora esserci stata un'interferenza tra i due motivi che abbia determinato la causa della morte?


La seconda domanda riguarda l'interpretazione del capro espiatorio.
Come mai quest'interpretazione non ha avuto seguito tra gli ebrei, è scomparsa completamente dalla tradizione ebraica? Essa è stata assimilata solo da un 5% dei cristiani che tra l'altro erano gli alieni, i diversi all'interno del mondo giudaico. Come mai non vi è una tradizione giudaica che rivaluti in una certa misura la figura del Cristo sotto la forma del capro espiatorio, secondo la loro prospettiva ovviamente? Come mai il meccanismo del capro espiatorio, che lei ci ha spiegato e che ha elementi validi, non ha portato conseguenze anche tra gli ebrei?


Circa la prima domanda i due motivi della condanna a morte di Gesù ci sono entrambi. C'è il motivo ufficiale, quello del messia politico, del ribelle, ed è la causa vera per cui Gesù è stato condannato. L'altro motivo che si riferisce al tempio è quello che ha spinto le autorità gerosolimitane.
Da una parte abbiamo la motivazione ufficiale con la quale le autorità giudaiche potevano chiedere la morte di Gesù che non poteva essere di natura religiosa, ma di tipo politico, quella appunto che era un ribelle come ce ne erano tanti altri per cui anche la dicitura sulla croce è di tipo politico e dall'altra c'è la motivazione delle autorità gerosolimitane che hanno denunciato Gesù. La motivazione politica si riferisce alle autorità romane mentre quella religiosa alle autorità giudaiche.

Circa la seconda domanda, la Bibbia ebraica descrive il capro espiatorio che veniva caricato dei peccati e mandato a morire nel deserto. Ma a parte questo rito, la tradizione ebraica ha anche il momento rivendicativo, la
vindicatio. Il centro della fede ebraica, come quello della fede cristiana, è Dio che rende giustizia. Nei Salmi abbiamo le figura di innocenti, capri espiatori che denunciano la loro sorte. In Geremia i canti del servo sofferente di JHWH che subisce la morte, ma è innocente.
Da una parte c'è la tradizione culturale del capro espiatorio che non ha avuto un grande influsso, dall'altra c'è il filone della
vindicatio, cioè la giustizia divina che difende e vendica il buon diritto dell'oppresso. Quest'ultimo filone è continuato in maniera prevalente presso i cristiani. Solo alcuni seguono le motivazioni degli avversari come appare in Gv 11,50 e 11,53, la tradizione della vindicatio, di questo Dio che rende giustizia, è quella fondamentale.
Naturalmente, in questo processo interpretativo l'elemento determinante è la credenza nella resurrezione. La resurrezione ha aperto gli occhi sul capro espiatorio ed ha fatto sì che si dicesse che Gesù non era colpevole, che Dio gli ha reso giustizia e che ha dato torto agli altri, è nata allora l'immagine del Dio che rende giustizia.
Si combattono due immagini di Dio, quella del Dio sacrificatore che vuole la vittima per pacificare il mondo, per fini nobilissimi dunque, e quella del Dio che rende giustizia e che smaschera i violenti.


3. Chiedo un chiarimento su quello che lei ha detto. Se si considera la morte nei minimi particolari del corpo, sangue, sofferenze, ossia tutta la spiritualità che ci hanno inculcato fino ad oggi dalla controriforma del 1600, si deve concludere che è stata proprio una cosa obbrobriosa.
Lei invece ci ha ricordato l'atteggiamento di Gesù di fronte a questo aspetto dicendo che è stato positivo, ma positivo in che senso? La positività dell'atteggiamento di Gesù di fronte alla morte sta nel senso della salvezza? Se diciamo che Gesù ci salva ricadiamo nel capro espiatorio di S. Anselmo. In che senso ci salva dalla morte e dalla inevitabilità del peccato, della violenza, del dolore inferto agli altri, agli innocenti? Paolo afferma che la legge è impotente a salvare, chi ci salva è Cristo perché non solo ci dice come si deve vivere, ma ci da la forza, cioè lo Spirito.

La positività di Gesù è nel modo in cui ha vissuto la morte, la sua donazione totale è una cosa straordinaria. Tutta la sua vita di amore e di oblatività, e poi la morte in cui è sfociata, è altamente creativa, positiva, vitale.
La vita di Gesù è positiva per noi anche nel senso che ci salva, non solo come esempio, ma in quanto ci coinvolge. Il risorto è un campo magnetico che sprigiona forze che in lui hanno avuto questa realizzazione straordinaria. Attraverso la fede ed il sacramento, dice Paolo, noi entriamo nel campo magnetico di Gesù e siamo travolti da queste forze della vita. L'espressione più alta a mio avviso della teologia paolina è la formula “entrare nella sfera di influsso del Cristo risorto” che è il centro di queste forze vitali che si sono manifestate nella sua vita e nella sua morte.
L'impotenza di Dio è che Egli non è padrone di dare la morte né di preservarci da essa, la sua potenza è potenza resuscitatrice dalla morte, potenza di vita.


4. Non si può vedere il senso sacrificale positivamente, come sforzo degli uomini per completare il pleroma, il piano divino di salvezza? Lei cosa ne pensa?

Le quattro interpretazioni della morte di Gesù di cui ho parlato prima sono quelle fondamentali da parte dei primi credenti, poi è venuto il concetto di pleroma di origine asiatica entrato anche nella lettera agli Efesini e in quella ai Colossesi e più tardi nella gnosi.
Il pleroma fa parte di grandi speculazioni anche cosmiche dove è preponderante il linguaggio mitologico. Si può presentare probabilmente una interpretazione mitologica, cioè Cristo nella morte ha sottomesso i signori del mondo, ossia gli spiriti che stanno in mezzo tra Dio e gli uomini e che controllano il mondo. L'interpretazione è fondamentalmente mitologica ed appare anche nel cap. 15 della 1 Corinzi di Paolo, ma lo stesso Paolo dice che l'ultimo nemico ad essere vinto sarà la morte. Paolo esce allora dal linguaggio mitologico ed entra in quello della realtà umana.


5. Mi riferisco alla parte della sua esposizione che riguarda l'impotenza di Dio. Mi chiedo allora se non ci sia qualcosa che copra la parte che Dio non riesce a coprire e se ciò possa essere la causa della nascita del dualismo. Non è pericoloso, anche se affascinante, interpretare così l'idea di Dio e ciò non apre la strada alla gnosi come fa il pleroma o il dualismo? Tale interpretazione inoltre contrasta con quella giudaica basata in buona parte sul Dio violento, certo non solo un Dio di guerra, ma un Dio che può controllare tutto, che ha un piano e che nonostante l'opposizione del suo popolo lo porta avanti, tanto è potente.

Non credo che la conseguenza sia un dualismo perché l'aspetto negativo è nell'uomo e nel mondo, non c'è un principio divino violento, mortifero. Il versante violento è tutto nell'uomo.
L'espressione probabilmente non è la più adatta, però bisogna uscire finalmente da quest'archetipo religioso dell'onnipotenza divina, di un Dio uguale a Zeus secondo schemi religiosi arcaici. Bisogna smettere di parlare genericamente di Dio, bisogna parlare del Dio di Gesù Cristo che è un Dio particolare, non divino, non zeusico, in cui l'elemento determinante è la potenza vivificatrice e resuscitatrice.
Dobbiamo andare a rileggere la 1 Corinzi di Paolo ed il vangelo di Marco, che poi hanno subito nei secoli altri influssi. Lì ritroviamo il tema dell'impotenza, della debolezza del figlio di Dio e di Dio nella storia, la loro potenza è quella escatologica, quella della resurrezione con anticipi parziali nella storia.


6. Mi piacerebbe mettere in relazione Gesù e Mosè. Mosè convoca il popolo che con l'aiuto di Dio si è liberato dalla potenza congiunta del faraone e dei religiosi. Gesù inizia la stessa strada però non riesce in vita a convocare il popolo che sarà convocato nelle Pentecoste. Se le cose vanno secondo un andamento lineare dovremmo allora attenderci una seconda convocazione con una seconda Pentecoste e, perché no, una liberazione dal potere del tempio e del palazzo che hanno condannato Gesù e che ancora lo continuano a condannare.

Certamente. La vera novità rispetto all'esperienza di liberazione di Mosè e di qualsiasi altro è il fatto della morte violenta di Gesù, il fatto di sangue che sta al centro del cristianesimo e lo qualifica una volta per sempre. Questa è la cosa su cui dovremmo riflettere molto.


7. Vorrei che fosse ripetuto più chiaramente un concetto che non ho ben capito. Mi pare che lei dica che la resurrezione è una interpretazione. Sul piano storico non c'è la resurrezione, infatti lei dice che Dio nella storia è impotente.

La resurrezione di Cristo è un evento creduto e non un evento storicamente documentato, ma è un evento capitale, creduto come capitale. Resta però un evento escatologico perché lo stesso termine resurrezione indica una realtà ultima, definitiva. In Cristo c'è l'anticipo della potenza resuscitatrice di Dio che è una realtà escatologica, l'anticipo della svolta decisiva del mondo in cui Dio diventa il re. Ci sono anticipi parziali nella storia però l'elemento determinante resta una realtà escatologica che avrà il suo disvelamento pieno alla fine.


8. Dimezzo la mia domanda visto che l'altra metà è già stata chiesta. Riguarda la contraddizione tra il Dio ebraico, violento e con caratteraccio interventista e quello cristiano impotente che accetta qualunque provocazione da parte nostra. Sono due Dii diversi. Il Dio debole a mio giudizio non è un Dio. Dio per definizione è potente, non può essere impotente.
Aggiungo poi una questione che mi ha colpito molto. Gesù Cristo dice nella famosa frase sulla croce:
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? e non Padre mio. Se era Dio come poteva sentirsi abbandonato da Dio?
Per quanto riguarda la resurrezione di Gesù Cristo mi ha sempre colpito che Gesù morto e risorto si è fatto vedere da quattro gatti e non si è fatto vedere né da Ponzio Pilato, né da Caifa, ossia da gente che aveva l'autorità per dire di averlo visto.

Certo Dio non è onnipotente secondo il nostro schema religioso, ma la dobbiamo smettere di dire che il Dio cristiano è un Dio generico. No, è il Dio di Gesù Cristo, è un Dio che si dimostra per quello che è nella croce e nella resurrezione.
Se non è onnipotente, allora non è Dio? Non sarà il Dio che piace a noi, è un Dio tipico, specifico, è un Dio non Dio.

Ma allora non è più il Dio della Bibbia

Non dobbiamo mai contrapporre, come ho detto altre volte, il Dio della Bibbia cristiana e quello della Bibbia ebraica, il primo buono ed il secondo cattivo. Marcione diceva queste cose. Ci sono dei filoni più o meno maggioritari che vanno avanti e che poi si scontrano. È la storia del popolo ebraico che ha mostrato questo Dio debole, per es. nell'esilio, nella storia di una piccola comunità postesilica insignificante, perseguitata. La scoperta del filone del giusto, dell'innocente perseguitato e oppresso e di Dio che non muove un dito nasce da lì.
L'importante per noi è questo: la croce di Cristo elimina dal mondo tutti gli dei ed i sacerdoti degli dei. Noi oggi ci troviamo in un tempo molto delicato in cui gli dei stanno tornando e così i pontefici e le vittime sacre. Dovremmo stare abbracciati a questo simbolo della croce non soltanto come il segno della sofferenza, ma anche per tutti gli altri significati. Sulla croce le carte di identità di Dio, del figlio di Dio e dei figli di Dio che vogliamo essere noi, sono messe a nudo senza ambiguità e tutto questo ci dovrebbe far riflettere.

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