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Valore dei testi fondativi della nostra fede (Sandro Stella 20.04.2012)

Bibbia


Ripensando alle osservazioni e commenti emersi nella riunione de l'A.R.CO. di mercoledì scorso intorno alla possibilità/impossibilità di scelta umana, prevista nel Deuteronomio e alla discussione sul valore normativo e salvifico di quel libro e di tutti quelli della Bibbia, o di ogni altro libro sacro (parola di Dio), ho raccolto alcuni
testi di venerata e antica tradizione, legati al tempo pasquale e alla norma di fede dei cristiani.
In particolare il centro della discussione si era focalizzato sulla fede nell'eucaristia, sulla risurrezione di Gesù e sulla questione di quale tipo di realtà essa esprima.
Su presenza reale e "transustanziazione" eucaristica, brutta parola di scuola tomistica, abbiamo detto diverse cose, citando la riforma protestante, la controriforma cattolica, i teologi conciliari e i documenti ufficiali post-concilari (a partire da Paolo VI), che hanno contrastato i rischi fuorvianti delle teorie teologiche contemporanee, nelle quali venisse a perdersi il valore della presenza reale, oggetto di dogma, contro il suo "significato", inteso come modalità simbolica.
La stessa cosa è applicabile anche alla fede cristiana nella risurrezione di Gesù. E, analogamente, alla fede nella "ispirazione" dei testi biblici.
Si tratta di "oggetti" la cui essenza rimane sempre un "mistero", al di là di ogni pur legittima indagine, e comunque soggiacenti al vaglio (critica, in senso etimologico) delle mutanti categorie culturali.
Non tutto ciò che è reale è tangibile e misurabile e il linguaggio poetico e romanzesco non è meno reale di quello scientifico o storico.
Il rapporto tra soggetto e oggetto della conoscenza e il metodo scientifico (sperimentale), come si sono sviluppati a partire dal 16° secolo, hanno mutato le categorie della "verità" e dell' "autorità", superando le precedenti, che non sono più considerate criteri adeguati di scelta o di conoscenza.
Anche con l'anima succede. Un corpo inanimato è morto. Come un violino il corpo è una cassa armonica vuota, che è uno strumento musicale in quanto animata dal suono alla vibrazione delle corde. L'anima è il suono e il suono è l'essenza del violino, anche se, scuotendo il violino, non esce la musica, o, ispezionandone l'interno, non si trova niente.
"L'idea di transustanziazione, ad esempio, nell'ambito delle categorie-aristotelico tomistiche, è riferita a un concetto di "sostanza" che non tiene conto delle "sostanze chimiche", scoperte vari secoli dopo, in era moderna. Mentre per gli "scolastici" il pane è una sostanza, per l'uomo di scienza il pane è un aggregato di sostanze.
La transustanziazione non muta le sostanze chimiche, come potrebbe essere agevolmente verificato al microscopio: le molecole dell'ostia o del vino prima della consacrazione eucaristica rimangono identiche anche dopo.
E' vero che per i cristiani si realizza nella messa la parola di Gesù che con le sue mani si fa pane e vino dei partecipanti, ma, stando alla sua parola, il fatto che egli ha proposto alla nostra fede non è che il pane o il vino diventa (il corpo e il sangue di) Gesù, ma è il percorso nel senso opposto, come, ancora, un'incarnazione rinnovantesi ogni volta, "fino al suo ritorno". Egli stesso, con le sue mani, si fa cibo dei partecipanti a quella mensa: "Cibum turbae duodenae se dat suis manibus." Come notavamo insieme, anche Panikkar ha evidenziato questa differenza.
Obbiettivamente, anche S. Tommaso d'Aquino, pensatore raffinato e prudente, in quell'epoca ricca di elevatissima speculazione e polemica, si guarda bene dal cadere a faccia avanti nella trappola "fisicista", come poi ha fatto, per polemica contro i protestanti, il movimento di controriforma, sull'onda dei dogmi del concilio di Trento. Per cui il sacerdote, insufflando con intenzione le parole sull'ostia, ha il potere, a sua discrezione (anche al ristorante, o con disprezzo, o a una riunione in cui criminali organizzano la peggiore specie di delitti) di costringere lo stesso Gesù Cristo a parteciparvi di persona, sottomettendolo a una così abbietta umiliazione.
Ricordate, tanto per citare un esempio per secoli molto praticato nelle chiese di Roma, le ostie avvelenate?
Mi sono andato a rivedere quei testi liturgici che hanno plasmato il nostro modo di credere, da cui siamo ormai profondamente influenzati e che continuano ad essere leit-motif dell'educazione religiosa profonda, fino a operare incosciamente a tutti i livelli di responsabilità ecclesiale. Questi inni, alcuni dei quali allego nell'originale e nella traduzione quasi letterale, pur avendo dato luogo correntemente a una visione magica, fuorviante, della fede - quasi che toccando l'ostia si fa la stessa esperienza di Tommaso apostolo - col loro linguaggio mantengono invece l'ambito del mistero e della differenza.
Di tenore contrario alla sacralizzazione magica è il comando dato da Gesù alla maddalena: "non mi toccare". D'altra parte, si potrebbe toccare l'essenza o invece noi tocchiamo comunque le apparenze, che fungono da "richiamo" dell'oggetto della fede? Penso che esse significhino un oltre che rimane nei "sacri misteri". Così, nella sequenza pasquale (Victimae paschali) non è Gesù che Maria vede ma, come lei racconta, "la tomba (vuota) del Cristo vivente e la sua gloria di risuscitato, i testimonini angelici, il sudario e le sue vesti". Le sue vesti. Il pane, il vino, la bibbia, che chiamiamo "parola di Dio", sono le sue vesti, in termini teologici i suoi "sacramenti" (cioè i suoi segni capaci di cambiare la nostra vita, o la nostra sorte), ma non la sua essenza. L'essenza è la musica, anche se, suonata da noi non è, purtroppo, all'altezza dello spartito.

Sandro




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