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Un Vangelo più antico, nei nostri vangeli
Pubblicato da Sandro Stella in Bibbia • 25/12/2010 9.08.12

Nessuno prendeva appunti!
“Andate e predicate”: le conclusioni dei vangeli riportano questa missione di Gesù ai dodici e agli altri suoi discepoli, già durante la stagione della sua vita pubblica.
Ci aspetteremmo, quindi, che, quando ascoltavano i suoi discorsi, che fossero racconti o istruzioni, essi prendessero appunti, in modo da poter poi riferire parola per parola.
Ma essi in realtà non presero uno straccio di nota, e quando Gesù se ne andò da questa vita non c’era nessun documento che raccogliesse le sue parole e i suoi atti.
Né d’altronde essi avrebbero potuto annotare niente, se non nella propria memoria, essendo, come in genere era allora il popolo, incapaci di scrivere, che era un’attività riservata a una specifica professione.
Del resto, una delle categorie di personaggi citati frequentemente nel vangelo nell’entourage del tempio era precisamente quella degli scribi.
Sembra che anche s. Paolo, il primo scrittore cristiano che ci ha lasciato dei testi, si servisse di uno scrivano. Infatti in una sua lettera ci tiene a dire ai destinatari, come atto di considerazione nei loro confronti e come autentica della paternità del testo, che i saluti sono scritti da lui, di suo pugno. “guardate con che lettere grandi vi scrivo, proprio di mia mano” (1Cor.16,21).
Questo può meravigliare molto noi, che siamo abituati a leggere il giornale e a sentire le dichiarazioni televisive, in cui vengono riportate “tra virgolette” le stesse parole come sono state effettivamente pronunciate. Allora invece, tranne le norme religiose e civili, si tramandava tutto a memoria, ben più allenata della nostra, proprio per la difficoltà di trascrivere.
E comunque, più della lettera, contava il senso delle parole.
Fatto sta che i testi dei vangeli, sia quelli “canonici”, cioè riconosciuti dall’universalità dei discepoli del “nazareno”, come anche quelli riconosciuti solo da gruppi “minoritari” di suoi seguaci (i cosiddetti “apocrifi”, per intenderci), oggi si ritiene che risalgano a non prima di mezzo secolo di distanza dagli avvenimenti conclusivi della sua vita terrena.
Certo, è una distanza notevole dai fatti raccontati. E per questo non possiamo attenderci un resoconto esatto delle parole e degli atti di Gesù, desunto da una specie di diario, tenuto da lui o da qualche suo “segretario particolare”.
Mi viene in mente, a mo’ di paragone, “Il giornale dell’anima” di papa Giovanni e il suo grande successo editoriale.

I detti di Q, prima dei Vangeli
Ma non c’è niente in mezzo, a fare da trait d’union tra le edizioni evangeliche a noi pervenute e le parole pronunciate e i fatti accaduti?
Gli studiosi della bibbia, nelle loro indagini storiche, nel secolo ventesimo (1938) hanno scoperto “Gesù secondo il testimone più antico”, per dirla col titolo di un libro (ed. Paideia, 2009) di James. M. Robinson. Egli, attraverso decenni di ricerche, è riuscito a ricostruire il testo “critico” del documento che ha fatto da fonte ai Vangeli ed è confluito in essi. Il cosiddetto Vangelo di detti Q.
È costituito da una raccolta di discorsi o istruzioni e racconti di parabole e miracoli di Gesù, composto in Palestina, probabilmente in due edizioni: la prima intorno agli anni 60 dell’era volgare e l’ultima negli anni 70. E poi perduto completamente come testo originale. Il contenuto si trova inserito, rielaborato in una redazione più narrativa, nei vangeli di Matteo e di Luca, successivi di uno/due decenni.
Val la pena di ricordare che le prime lettere di Paolo circolavano già dalla fine degli anni quaranta della nostra era.
Sembra, quindi, che - pur senza prendere appunti - i dodici e i discepoli si siano premurati di seguire alla lettera l’indicazione di Gesù di concentrarsi sulle sue istruzioni, senza preoccuparsi di tracciare una sua, pur elementare, biografia. Ad essa hanno tentato poi di sopperire, sia pur sommariamente, gli “evangelisti successivi”.
Quando i cristiani delle comunità palestinesi, dopo l’irreparabile sconfitta nella guerra giudaica, ripararono ad Antiochia e furono accolti dai cristiani di lì, nuovi redattori hanno ripreso in mano il materiale “evangelico” preesistente, fondendolo in una forma più narrativa adattata al nuovo e più “vario” pubblico “romanizzato”.
L’hanno integrato con elementi più esaustivi ed esplicativi, costruendo una trama e dei raccordi nella successione degli eventi narrati e delle pericopi e collegando letterariamente i brani che la fonte Q presentava slegati e giustapposti.

Presentazione sommaria del Vangelo di Q
Prendiamo dall’apertura del libro di Robinson la presentazione iniziale con la quale l’autore ci introduce al contenuto del Vangelo dei detti.
“…Il vangelo di detti Q è una raccolta di detti di Gesù riuniti all’interno di quello che potrebbe essere definito il ramo giudeocristiano del cristianesimo, prima che questo sparisse dagli annali della storia. Fortunatamente per noi, quando ciò avvenne la raccolta era già stata inclusa nel Nuovo Testamento della chiesa cristiana di origine gentile: atto ecumenico d’importanza capitale. Mi sia concesso di spiegare come ciò sia avvenuto.
Intorno al 70 d.C. i cristiani di provenienza giudaica si servivano come loro “vangelo” di una raccolta di detti di Gesù, quando Marco era già stato pubblicato tra i cristiani gentili come loro “vangelo”. Più avanti, nel corso del I secolo comparvero Matteo e Luca come tentativi di integrare questi due “vangeli”, vale a dire la prospettiva di questi due cristianesimi: Matteo rappresenta un punto di vista piuttosto giudeocristiano, Luca quello di una chiesa cristiana gentile al volgere del secondo secolo.
È in questo modo che negli studi si è arrivati a comprendere per quale ragione Matteo, Marco e Luca, diversamente da Giovanni, siano tanto simili nella loro esposizione. Matteo e Luca disponevano delle stesse due fonti: il vangelo cristiano gentile di Marco e la fonte di detti cristiana giudaica. Poiché a questa mancava un nome, agli inizi vi ci si riferiva chiamandola semplicemente seconda “fonte”, in tedesco Quelle. L’iniziale di Quelle, Q, è diventata la sigla della fonte che oggi si indica come vangelo di detti Q per distinguerla dai vangeli narrativi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.”
L’autore del 4° vangelo, comparso circa 30 anni dopo quello di Luca, con la sua composizione si confronta e risponde in merito alle questioni “dottrinali” che presiedettero alla formulazione del “credo apostolico”, contro le tendenze gnostiche divenute accese sul volgere tra il primo e il secondo secolo (con Valentino, quale più famoso propagandista).
Queste controversie che agitarono le comunità cristiane e diedero l’avvio alle formulazioni cristologiche, (sviluppatesi grandemente in seguito), le ritroviamo, ad esempio, nella redazione dei più recenti racconti di resurrezione, dove Gesù risorto mangia coi discepoli e si fa toccare da loro.
Si vedano in proposito, oltre ai racconti post pasquali di Luca, i racconti di Giovanni al cap. 20 e 21 del suo vangelo e l’episodio, particolarmente dimostrativo, di Tommaso, in cui Gesù stesso accoglie l’esigenza dell’apostolo di vedere e di toccare il suo corpo risorto.
Anche in questo gli studiosi scorgono una “confessione di fede” della comunità cristiana del secondo secolo, contro la tendenza crescente di una spiritualizzazione del cristianesimo che rendeva “evanescente” la persona di Gesù, fatta di pura visione luminosa, senza consistenza fisica.
Oltre alla questione ora accennata, il libro, per poter definire un’edizione critica scientificamente ben fondata del testo di Q, si snoda attraverso approfondite analisi storico teologiche. Pur destando curiosità e interesse, esse sono anche molto specialistiche, ripercorrendo l’itinerario di oltre un secolo di studi sul “Gesù storico”.
Capitolo per capitolo, il nostro autore esamina le diverse posizioni espresse dalla varie scuole in materia ed esprime quella che più lo convince. Ma, a quel che percepiamo alla nostra lettura, ci troviamo ancora oggi piuttosto sul campo di un dibattito controverso che di condivise soluzioni soddisfacenti.
Per chi legge, ho ritenuto utile riportare qui sotto la scaletta dei temi trattati, come risulta dall’indice dell’opera.
- L’edizione critica di Q e la ricerca su Gesù
- Gesù da pasqua a Valentino (o al credo apostolico) [influenze/deviazioni gnostiche: insorgenza e opposizione]
- Il Gesù autentico del vangelo di detti Q
- Dio vero, uomo vero: la parte migliore di Gesù
- Il figlio dell’uomo nel vangelo dei detti Q
- La teologia di Gesù nel vangelo dei detti Q
- Ciò che Gesù aveva da dire
- Il Gesù di Q teologo della liberazione
- L’immagine di Gesù in Q
- La traiettoria Q: tra Giovanni e Matteo, passando per Gesù
- Autobiografia teologica
- Il VANGELO DI DETTI Q

Elementi caratteristici propri del vangelo dei detti Q
Il testo è stato ricostruito da Robinson, e dalla sua numerosa equipe di ricercatori, sulla base dei manoscritti di un codice papiraceo ritrovati a Nag Hammadi, in Egitto. Avventurosa, e in più punti anche avvincente, nella biografia teologica, la narrazione di come l’autore è arrivato al testo e alla definizione dell’edizione critica.
Ma per noi, abituati al testo dei vangeli canonici successivi, è di maggiore interesse e sorpresa rilevare le differenze esistenti tra questi documenti più recenti e il testo dei detti Q.
Anzitutto il documento si caratterizza per la preminente composizione di discorsi e di istruzione: il cosiddetto discorso della montagna di Matteo (o della pianura, secondo Luca) ha la parte centrale, così come le istruzioni sulla “missione” dei (“72”) discepoli e le dettagliate norme di comportamento, improntate alla più stretta povertà e rigoroso ideale pacifico.
“Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, affinché diventiate figli del padre vostro, poiché egli fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli iniqui” (p.241).
“A chi ti percuote su una guancia porgi anche l’altra; e a chi ti vuole portare in tribunale per toglierti la tunica dà anche il mantello. Con chi ti costringe a fare un miglio con lui, tu fanne due. Dà a chi ti chiede e a chi fai un prestito non richiedere la restituzione del tuo. E come volete che gli uomini facciano a voi, così fate loro” (p. 242).
“E qualcuno gli disse: ‘ti seguirò ovunque andrai’ E Gesù gli disse ‘ le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il figlio dell’umanità non ha dove posare il capo’. Ma un altro gli disse: Maestro, consentimi di andare a seppellire mio padre’. Ma egli gli disse: ‘seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti’ “(p. 244).
I discepoli devono essere scalzi, viaggiare senza borsa dei soldi o bisaccia di provviste, non accettare pane per oltre una giornata, non portare nemmeno la più banale arma di difesa, il bastone, che i pellegrini portavano, se non altro, per difendersi dalle bestie randagie (vd. p. 244).
Devono andare di villaggio in villaggio senza fermarsi per strada a salutare nessuno, bussando a una casa col saluto “pace a questa casa”, e se accettati si fermeranno lì, senza girare da una casa all’altra, annunciando agli abitanti che “è arrivata la regalità di Dio”.
Se accolti, la pace scenderà su quella casa, e in compenso dell’accoglienza e del cibo - che mangeranno senza sollevare osservazioni sulla qualità o purità rituale - “i missionari” dimostreranno la venuta del regno curando e guarendo i malati che presenteranno loro.
Se respinti, se ne andranno dal villaggio scuotendo la polvere dai loro piedi.
In questo contesto è collocata anche la preghiera - più breve ed elementare - del padre nostro: “Quando pregate, dite: Padre - sia santificato il tuo nome – venga la tua regalità; dacci oggi il nostro pane per oggi e cancella i nostri debiti come noi li abbiamo cancellati ai nostri debitori, e non metterci alla prova.” (p. 245).
Nucleo di questo insegnamento sembra essere la radicale, illimitata, fiducia in Dio, che, come tale, fa ricordare solo quella praticata da Francesco d’Assisi. Specialmente per l’insistenza di Gesù di non preoccuparsi di quello che avrebbero trovato da mangiare e dei vestiti che avrebbero dovuto portare per il viaggio.
Dio che nutre i corvi e veste splendidamente i gigli dei campi provvederà ai discepoli, se essi si dedicheranno senz’altra preoccupazione all’annuncio del governo di Dio che sta per essere inaugurato (vd. pp. 248-249).
Robinson fa notare che ben presto una missione così austera e impegnativa si esaurì per mancanza di annunciatori. Quasi tutti abbandonarono Gesù., che forse allora, per “forzare la situazione”, lasciò la regione della Galilea, dove aveva tenuto la sua missione, dirigendosi a Gerusalemme per affrontare lo scontro e la morte orribile che presentiva.
La delusione per il rifiuto della regalità di Dio è esplicita nel discorso apocalittico sulle città della Galilea. “Guai a te Corazin, Guai a te Betsaida… perché se a Tiro e a Sidone ci fossero stati gli atti portentosi compiuti tra di voi, già da tempo si sarebbero ravvedute, in sacco e cenere. Perciò il giudizio sarà più sopportabile per Tiro e Sidone che per voi. E tu Cafarnao sarai, forse, esaltata fino al cielo? Fino all’ade sarai sprofondata” (p. 245).
“Perché mi chiamate maestro e non fate quello che vi dico?” (p. 243)
Va rammentato che ciò veniva scritto in Galilea e Giudea dai circoli cristiani, malvisti dagli ebrei osservanti, mentre infuriava la guerra giudaica, del 66-70 d.C., da cui la nazione ebraica uscì a pezzi.

Insieme ai contenuti caratterizzanti che leggiamo nel vangelo di detti non sono meno rilevanti da menzionare le notevoli lacune che vi si riscontrano.
Mancano i riferimenti biografici personali del nazareno (come il suo mestiere di fabbro), familiari (non compaiono né suo padre, né sua madre, né i suoi fratelli), non si nominano gli apostoli, non vengono tracciati itinerari della sua vita pubblica, sono omessi diversi miracoli (ci sono quasi solo quelli di guarigione), la sua nascita, le sua genealogia.
Ma quel che sorprende di più, e non ce lo aspetteremmo mai, è la mancanza dal testo di Q del racconto della passione e degli eventi pasquali e post-pasquali, che, invece, costituiscono l’elemento più importante di tutti e quattro i vangeli canonici.
Questa assenza differenzia in modo ancor più radicale il cristianesimo testimoniato dai detti, da quello di Giovanni e dei tre ‘sinottici’.
E, ancora di più, dalla predicazione di Paolo, che mette l’avvenimento pasquale a fondamento della sua concezione cristologica, privilegiando il “Cristo” circonfuso di luce del risorto rispetto al “Gesù” visibile/ tangibile nella sua esistenza storica pre-pasquale.

Come si sono formati i nostri vangeli
Attraverso l’esame dei testi si risale dalle fonti originarie, in cui erano depositati i materiali dei vangeli, alla loro attuale redazione.
All’inizio ci furono 2 fonti: una per le comunità di ambiente gentile (il Vangelo di Marco) e un’altra delle comunità di ambiente giudaico (il vangelo dei detti Q).
La prima fu elaborata in forma narrativa, sebbene molto stringata, e cominciò a circolare negli anni 70, al tempo della guerra giudaica. Di questi eventi conserva le connotazioni apocalittiche e il giudizio di Dio che ha scelto i gentili, dopo essere stato rifiutato dal “suo” popolo, consegnando la nazione e abbandonando Gerusalemme, la sua città, e il suo tempio (la casa in cui egli stesso abitava) alla completa rovina (Mc, cap. 13).
Proprio a Roma, intanto, l’imperatore Tito ne celebrava trionfalmente l’evento, con l’arco monumentale che sovrasta ancora la Via Sacra nel punto più alto del Foro.
La seconda fonte (Q) cominciò a circolare intorno agli anni 60 nelle comunità cristiane di ambiente galilaico. Non ha una composizione narrativa e dopo il 70, all’epoca di una presumibile seconda redazione, scompare come testo autonomo, che ricompare in Egitto soltanto a circa metà del secolo scorso.
Da Q e Marco sono stati elaborati i vangeli di Matteo e di Luca..
Quello di Matteo, composto ad Antiochia intorno agli anni 80, ha un’impronta più filogiudaica e “testimonia il momento in cui il movimento “Q” di ambiente giudaico si fuse infine nelle chiese gentili. Mt 3,11 ha anzitutto lo scopo di ratificare il vangelo giudaico Q (“io vi battezzo con l’acqua … ma viene uno…), mentre Matteo 12,28 (…ma se invece io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio…) non è che l’edizione e la trascrizione del più antico vangelo gentile, Marco.
Il grande mandato con cui Matteo si conclude (‘Gli undici discepoli andarono in Galilea, su quella collina che Gesù aveva indicato. Quando lo videro lo adorarono. Alcuni però avevano dei dubbi. Gesù si avvicinò e disse: “a me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Perciò andate, fate diventare miei discepoli tutti gli uomini del mondo; battezzateli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò sempre con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo – 28,18-20’) fa di questo vangelo un testo ecumenico: non solo autorizza la missione della chiesa gentile, ma anche l’importanza riconosciuta dalla chiesa giudaica ai detti di Gesù presenti in Q” (p. 233).
“Per parte sua, il vangelo che più compiutamente rappresenta il mondo delle chiese gentili, Luca, ha semplicemente incorporato Q nel Vangelo gentile marciano. Luca proseguiva con il secondo volume, gli Atti degli apostoli, in cui la storia delle chiese gentili tende ben presto a diventare la storia delle chiese intese come tutt’uno.
I detti Q in Matteo e Luca si lasciano individuare con una regola empirica: provengono probabilmente da Q i detti (e i pochi racconti) che ricorrono in Matteo e Luca, ma non in Marco, oppure in Matteo e Luca in una forma molto diversa da quella che hanno in Marco (ad esempio, il racconto della tentazione in Mt 4,1-11 par. Lc 4,1-13; cf Mc. 1,12-13“ (vd. p. 234).

A questo punto non rimane che la lettura del testo del vangelo dei detti Q, riportato da Robinson al termine del volume, e, nelle letture liturgiche dei nostri vangeli, risuonerà più percepibile l’eco dei vari “stili” di cristianità che hanno saputo armonizzarsi e convivere in unità, mantenendo una pluralità di voci, testimoniate dai numerosi vangeli.



Roma, 21 dicembre 2010


Per il gruppo A.R.Co.
Sandro Stella

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