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8. Armido Rizzi 5.06.1997

Bibbia > 5° Corso biblico: Messianismo. Liberazione o alienazione? (1997)



trascrizione integrale

Il messianismo cristiano e le odierne strutture ecclesiali



SOMMARIO

I. Kant
1) L'illuminismo come uscita dalla condizione minorenne (dipendenza dall'autorità) e acquisizione-rivendicazione dell'autonomia (soprattutto etico-religiosa). L'individuo come localizzazione della ragione universale.
2) Il
male radicale: il pervertimento della ragione, cioè lo scarto tra ragione ideale e sua capacità effettiva.
3) Necessità di una "società morale": la chiesa e la sua perfettibilità.

II. Da Tommaso al Vaticano I
1) La
legge naturale (la coscienza morale) come riflesso della legge divina.
2) Il peccato originale e la necessità della rivelazione anche come supplenza. La tensione tra
sensus fidelium e Magistero, e lo sbilanciamento verso quest'ultimo: la piramide.

III. Il problema è, dunque, quello della verità (esistenziale, cioè etico-salvifica) e di chi ne è il soggetto portatore.
1) Problema della verità: sua eclissi nel post-moderno, sua ineludibilità (non surrogabile dalla salvezza-benessere).
2) Soggetto portatore: né (sola) autorità, né (solo) consenso-democrazia, ma articolato dialogo tra le coscienze, per un discernimento comunitario.




Contributo all'impostazione del problema.
Dei tre incontri previsti con voi quest'ultimo mi ha impegnato di più per trovare la focalizzazione idonea che fosse al tempo stesso in continuità con i primi due ed in sintonia con il tema specifico enunciato dal titolo: messianismo e strutture ecclesiali.
Mi è parso che l'aspetto del messianismo che meglio si prestasse ad una riflessione sul rapporto con la configurazione istituzionale e strutturale della chiesa, ed in particolare di quella cattolica, fosse una meditazione sul tema della verità.

Una delle caratteristiche del popolo messianico, non immediatamente percepibile nel racconto dell'Esodo ma in alcuni profeti, come ad es. il Deutero-Isaia, è quella di diventare luce per le nazioni.
Ed è proprio su questa linea, tenendo presente gli sviluppi dell'autocoscienza messianica di Israele, che sono convinto che l'interpretazione autentica del senso ricco e pieno della storia dell'Esodo non sia quella esclusiva di un popolo, ma quella che universalizza il significato del racconto senza togliere al popolo di Israele la sua peculiarità, ma trasformando tale peculiarità da vocazione esclusiva in vocazione rappresentativa.
Essere luce per le nazioni, per gli altri popoli, significa che nel proprio parlare, nel proprio agire, nel proprio esistere, in modi diversi si esprime la volontà di Dio nella storia degli umani, cioè si esprime che cosa debbono essere gli umani per corrispondere al disegno di Dio.

Prendo allora il tema della verità come una modalità parziale, ma fondamentale, tra tutte quelle che, all'interno della configurazione utopica legata all'attesa messianica, meglio si presta alla problematica del suo avverarsi o meno nella configurazione istituzionale, ossia nella struttura della chiesa.
Cercherò di mostrare i termini del problema perché, se non c'è consapevolezza su dove si posiziona effettivamente il problema, c'è il rischio di coltivare di nuovo illusioni messianiche, magari di senso rovesciato rispetto a quelle tradizionali più in voga, ma non meno egualmente illusioni.



Seguirò lo schema di riflessione proposto nel foglio distribuito:

I. Kant

1) L'illuminismo come uscita dalla condizione minorenne

Perché la partenza da Kant? Perché Kant ha percepito, a mio avviso, pienamente il problema di cui vogliamo occuparci. Lo ha percepito da par suo, ossia dando al problema un'impostazione robustissima. Kant parte da una visione che per noi oggi è fin troppo facile considerare ingenua, ed è la visione dell'uomo illuminista, l'uomo arrivato all'età maggiorenne della storia dell'umanità, arrivato cioè, detto nei termini più semplici, ad avere la capacità di pensare con la propria testa e pensare non solo a quello che riguarda la struttura del mondo fisico naturale, ma soprattutto a ciò che riguarda la vita buona e la convivenza buona tra gli uomini. Pensare con la propria testa e quindi gestire sé stessi secondo un ordine di vita buona che è poi l'ordine utopico, dove “buona“ vuoi dire buona in senso etico, secondo il principio della verità etica, e poi di conseguenza buona nel senso di felice.
Interrogato insieme a molti altri illuministi su che cosa fosse l'illuminismo, Kant rispose: l'illuminismo è “
sapere aude“, una frase di Orazio: “abbi il coraggio di lavorare con la tua ragione“.

Noi siamo arrivati all'età maggiore perché oggi abbiamo acquisito la capacità di renderci autonomi dall'autorità che ci indica come o cosa dobbiamo fare per vivere bene (un
autorità religiosa, politica, o un intreccio delle due); ognuno può ormai diventare autorità suprema, principe, pontefice per se stesso.

Kant dice: “ognuno diventa legge a se stesso“, non nel senso che ognuno possa fare quello che gli pare, ma nel senso che ognuno è portatore della universalità nella sua piccola particolarità, individualità, singolarità,.
Ogni “io“ empirico è, per così dire, il vaso che contiene il fiore dell'io trascendentale universale, cioè della verità etica, che poi sboccia anche in verità religiosa.
C'è allora una verità etica, una verità salvifica, che esprime la via da percorrere, il senso dell'esistere umano, e questa verità ha il suo luogo nella soggettività di ognuno, una soggettività non soggettivistica, non l'io empirico con le sue passioni, la sua affettività, i suoi interessi, ma un io contenitore dell'io universale, cioè di quell'io che è in ognuno eguale e dove allora si può creare il consenso su che cosa è buono.


2) Il "male radicale"

Questa è in maniera molto schematica la posizione del Kant illuminista.
C'è però un secondo Kant, che si accorge dell'esistenza di uno scarto dentro il soggetto umano, con cui egli prima non aveva fatto i conti. Non c'è soltanto lo scarto tra l'io razionale che è la verità universale e l'io empirico con i suoi interessi e le sue passioni, ossia lo scarto tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che spesso si finisce per fare, ma c'è uno scarto interno allo stesso io razionale: quella ragione che dovrebbe essere l'io ideale ha al proprio interno uno scollamento tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è di fatto, noi non solo non viviamo come dovremmo vivere ma addirittura formuliamo come dovremmo vivere in maniera diversa da come dovremmo formularlo.

In questo Kant vede il male radicale che è poi una secolarizzazione dell'idea biblica del peccato originale.
Il male radicale non è solo la perversione dei costumi della vita, della condotta individuale, etc, cose con cui l'umanità ha sempre fatto i conti, ma è la perversione dello stesso principio della ragione che non riesce più a formulare il bene in maniera autentica, lo altera, lo mistifica.

La coscienza non riesce più a vedere dove sia veramente il bene e fa passare per bene ciò che non lo è. Questo capovolgimento della stessa istanza morale è molto vicino a mio avviso sia alla Genesi (cap. 2 e 3) che a Paolo (cap. 7 della Lettera ai Romani) il quale dice:
non faccio il bene che voglio, faccio il male che non voglio, che non è semplicemente uno scarto, secondo una lettura banale, tra quello che vorrei essere e quello che riesco ad essere, ma invece tra quello che dovrei essere idealmente e quello vorrei essere. Anche quest'ultimo modo è già distorto rispetto a quello che dovrei essere.


3) Necessità di una "società morale"

Come allora rispondere a questo sovvertimento del principio del bene, di quel principio che soltanto è capace di farci vivere bene?
Kant propone la costituzione di una società morale che sia come la realizzazione del regno di Dio sulla terra, dove assieme si cerchi, prima ancora di vivere bene, di formulare bene il principio etico, il principio del bene vivere.

Questa società morale, questo regno o conato di regno di Dio sulla terra è la chiesa.
Ma qui allora torna il problema. Se guardiamo infatti la chiesa come di fatto la conosciamo nella sua lunga storia, vediamo non solo lo scollamento tra i principi che ha pronunciato e la condotta effettiva degli uomini di chiesa, ma lo stravolgimento di molti principi da parte degli uomini di chiesa, per es. la legittimazione della violenza religiosa.

Le grandi guerre di religione non erano una forma di lontananza tra un ideale posto e la condotta effettiva, ma erano l'orrore dell'ideale posto a difesa della identità confessionale a prezzo del sangue.
Sembra allora che si torni da capo perché anche la chiesa, che dovrebbe essere il regno etico, il regno di coloro che si sforzano di ritrovare assieme l'innocenza del principio etico, in realtà lo ha stravolto.
E tuttavia, dice Kant, la chiesa, malgrado tutte le sue lacerazioni e tutta la sua storia sgangherata, si sta avvicinando, sotto il segno di una chiesa laicizzata, meno clericale, verso quel sogno di un regno di Dio sulla terra.

Qui Kant torna ad essere l'uomo dell'illuminismo, anche con qualche ragione storica perché il
700 rispetto al 600 è stato un secolo molto più tranquillo, molto meno violento, un secolo della pace religiosa, un secolo in cui Kant poteva addirittura scrivere un altro libretto, sull'utopia della pace perpetua.

L'elaborazione di Kant rappresenta un primo quadro del problema e mi sembra che lo abbia colto nei termini essenziali.
Kant nella sua elaborazione si muove all'interno di una tradizione e di una sensibilità che per un verso è agli antipodi della sensibilità protestante originaria luterana, ma per l'altro verso ne assimila una esigenza profonda che è appunto quella di ritrovare la soggettività come luogo del vero e del bene.

Adesso invece ci spostiamo all'interno della tradizione cattolica.



II. Da Tommaso al Vaticano I

1) La “legge naturale“ (la coscienza morale) come riflesso della “legge divina“

Oggi molti moralisti cattolici che si rifanno a S. Tommaso dicono volentieri e con ragione che Tommaso in qualche modo aveva anticipato di diversi secoli il discorso kantiano sull
autonomia della coscienza morale.
La coscienza morale ha in sé una luce sufficiente per guidare il singolo, l'individuo, ad una vita buona.
La differenza è che questa autonomia, o luce morale, per Kant non è correlata a Dio che viene fuori dopo, quando si tratta di coniugare esistenza, etica e felicità. La coscienza morale è un fatto di ragione e non ha in sé una valenza religiosa.
Per Tommaso invece la coscienza morale nella sua sufficienza è tale in quanto è una partecipazione della luce divina. La
lex divina si irradia in ogni coscienza e diventa la lex moralis, la lex naturalis.

Questo però vuol dire, come d'altro canto per Kant, che ognuno ha dentro di sé la legge al punto tale che non ha neppure bisogno di credere in Dio e di appellarsi ai suoi comandamenti.
Da questo punto di vista si può dire che c'è un'autonomia della coscienza morale affermata già da Tommaso, che i tomisti odierni rivendicano. Ma come Kant, anche Tommaso aveva fatto la seconda operazione, cioè si era accorto che, se in linea di principio ogni coscienza ha in sé la luce attraverso la quale capire la verità morale, quindi il bene, questo si riferisce alla costituzione originaria dell'uomo così come è uscito dalle mani di Dio.


2) Il peccato originale e la necessità della rivelazione

C'è però per Tommaso il peccato originale, che non è soltanto una ferita nella volontà, ma è anche un offuscamento dell
intelligenza, soprattutto dellintelligenza nei suoi momenti alti: in quanto si rapporta a Dio ed in quanto si rapporta all'esistenza buona.
Ed ecco allora che Dio viene incontro all'uomo con la rivelazione. Beninteso la rivelazione ci è stata data per tracciare in verticale la via che ci porta alla visione beatifica di Dio, quindi la via della salvezza attraverso la liberazione dal peccato: il battesimo, l'ingresso nella chiesa, l'eucarestia (la rilettura fatta del cammino dell'Esodo, come vi ho accennato la volta scorsa, in termini ecclesiali e/o mistici).

Dunque la rivelazione è stata data per il fine soprannaturale.
Ma al tempo stesso essa funziona anche come supplenza, come medicina della volontà ferita e della ragione offuscata. La grazia è grazia elevante, e questa è proprio la sua funzione di grazia soprannaturale; ma insieme è anche grazia sanante, medicinale. E così la rivelazione è certamente la luce che illumina il cammino verso la Gerusalemme celeste, ma contiene anche in forma esplicita quelle verità che di per sé dovremmo conoscere con la nostra ragione ma che soltanto qualcuno arriva a conoscere, per esempio Platone.
A chi gli diceva che il cristianesimo è un platonismo per le masse, Agostino rispondeva che proprio questa è la sua grandezza, cioè che le masse possono arrivare a capire quelle verità che invece nel paganesimo solo Platone arrivava a capire.

Allora la chiesa è il luogo dove viene ricostituita l'integrità della ragione religiosa e di quella etica. Parlando della rivelazione il concilio Vaticano I (1870) riprende le espressioni con cui Tommaso dice che Dio nella sua bontà ci ha rivelato anche quelle verità che di per sé noi già dovremmo conoscere, affinché le conoscessimo
firma certitudine et nullo admixto errore“, ossia con maggiore forza e certezza.
Quello che noi cercheremmo a tentoni se fossimo abbandonati alla nostra ragione, cioè la conoscenza del bene naturale, della legge naturale e delle sue articolazioni, che ci permette di vivere con sapienza e con bontà, tutto questo ci è stato regalato da Dio, come risulta nei dieci comandamenti. E tutto questo si trova all'interno della chiesa.

Ma il Vaticano I, assieme al documento sulla rivelazione, compie l'altro gesto (che in realtà non fa se non formalizzare quanto già era nella coscienza della chiesa, dei teologi o di chi parlava nella chiesa) e cioè la dichiarazione della infallibilità pontificia, eretta solo allora a dogma.
La ragione di questa formalizzazione, la ragione polemica, è di contrastare il principio di soggettività e nella sua forma religiosa (il protestantesimo) e nella sua forma laica (l'illuminismo, la modernità).
Viene quindi formalizzata la polarizzazione circa il luogo della verità: non la soggettività, ma l'autorità.

C'è bisogno dell'autorità perché la soggettività potrebbe essere, in linea di principio, il luogo della verità, lo sarebbe già per costituzione naturale perché è creata da Dio, ma è appannata dal peccato originale. Allora anche la rivelazione, la chiesa come
sensus fidelium (e questa è stata la grande riscoperta del protestantesimo) è a sua volta appannata, così che i due principi della lex naturalis e del supplemento di luce che viene dalla rivelazione alla coscienza risultano insufficienti come guida verso il bene e vengono in maniera formale sostituiti dallautorità.
Qual è il soggetto effettivo in cui alberga sia la luce della ragione che la luce della rivelazione, e che può dire la parola sicura, garantita e garante (garante in quanto garantita), in questioni di fede e di morale? Questo soggetto è l'autorità, il papa.

Vi risparmio l'excursus previso sulla vicenda marxista e la sua analogia con il cattolicesimo. Ci potrò tornare in sede di dibattito se qualcuno ne è interessato.



III. Verità esistenziale e soggetto portatore

1) Problema della verità: sua eclissi nel post-moderno, sua ineludibilità

II problema è dunque quello della verità esistenziale, cioè etico-salvifica, la verità della realizzazione del senso dell'esistere umano.
Finora ho dato per scontato il problema della ricerca della verità e di un luogo qualunque ove questa verità appare, perchè lo davano per scontato Tommaso, Kant: comunque noi siamo alle prese con la verità del nostro esistere.

Oggi non è più scontato. Dopo molti secoli dalla instaurazione della società cristiana in Occidente, oggi è la prima volta che avviene quello che si può, con buona ragione, chiamare l'eclissi della verità.
Parlo non dell'eclissi della verità per quanto riguarda il mondo fisico, ma della verità sul piano etico, esistenziale. A mio avviso questa è la sostanza del post-moderno.

Qualcuno dice: questa è la sostanza della modernità.
Io non sono d'accordo. I cattolici in genere hanno interesse a dire che questa è la sostanza della modernità che ha espulso Dio e di conseguenza anche la verità umana. lo non lo credo, non si può dedurre dall'eclissi di Dio (del Dio religioso o del Dio cristiano) l'eclissi dell'umano e della sua verità. Rispetto moltissimo l'impresa Kantiana e quelle venute dopo di lui, quindi non lo credo.
Certo, storicamente c'è una connessione, ma una connessione non rigorosamente necessaria.
Comunque sia, noi siamo oggi in questa eclissi della verità etica.

A me sembra che buona parte della ricerca che oggi si presenta come religiosa, non sia più ricerca di verità ma pacificazione interiore, di benessere interiore, in cui quello materiale è in qualche modo presupposto. Questa è l'eclissi della verità.
Ecco perché l'esigenza di rifiutare il principio d'autorità come luogo unico garante di verità va coniugata con l'esigenza di riaffermare la verità. L'alternativa al luogo autoritativo non può essere, come spesso finisce per essere, il nessun luogo, ossia ognuno si fa la propria verità, la negazione della verità.

Ribadisco che non parlo di verità in astratto, di dogmi, di verità riguardanti l'essenza di Dio, l'essenza del mondo etc, ma di verità riguardante l'esistenza dell'uomo, cioè verso dove stiamo camminando, verso dove è giusto camminare per essere veramente ciò che un Dio, o la natura, o la storia, o la società, o l'essere, ci chiamano ad essere.

Credo che ridare al problema della verità la sua propria fisionomia sia essenziale per essere popolo messianico, per essere quel popolo che come quello dell'Esodo passa attraverso un cammino di fede (il deserto) e poi un cammino di verità etica (la Torà, il dono della Legge) e per questo può rendere abitabile e luminosa la terra a cui perviene.
Dunque per primo è necessario ricostituire il problema della verità, non accettare la deriva post-moderna della sostituzione della verità salvifica con il benessere psichico.


2) Soggetto portatore: né (sola) autorità, né (solo) consenso-democrazia

Per seconda cosa si pone il problema di quale sia il luogo dove abita questa verità.
Se ci mettiamo all'interno dell'esigenza di ritrovare il senso della verità, di ritrovare il carattere normativo dell'esistere, la risposta autoritativa ed autoritaria che sigilla l'abitazione della verità all'interno di un solo soggetto (quando si parla di questioni di fede e di morale, il papa da solo può dire la verità in conflitto non solo con il popolo di Dio, ma anche con gli episcopati!) non può trasmettersi alle coscienze.

D'altra parte la democrazia nella chiesa è formalmente la rinuncia al principio “verità“. La democrazia si basa sul principio di maggioranza, ma la maggioranza non fa la verità.
E una democrazia ideale è utopia etica non meno di un'autorità ideale.
Alcuni anni fa ho sentito Bobbio che diceva: trovatemi qualcosa di meglio, ma fino ad oggi l'unica democrazia funzionante è quella che stabilisce che chi ha raccolto più voti vince.
Certo, possiamo dire che questa democrazia è imperfetta. Come l'autorità ideale potrebbe essere il luogo della verità, ma l'autorità di fatto non è l'ideale, così una democrazia come effettivamente viene esercitata non può essere il luogo della verità perché rinuncia in partenza ad esserlo, in quanto si mette sul piano del quantitativo, della vittoria della maggioranza.

Ed ecco allora come il popolo messianico, il popolo eletto può essere luce delle genti a partire innanzitutto da quei frammenti di gente che sono coloro che già vi partecipano.
Non vedo altro modo se non quello del dialogo tra le coscienze, un dialogo per giungere ad un discernimento, ad una percezione della verità tutti assieme.
Dialogo tra le coscienze vuol dire che ogni coscienza è un possibile luogo di verità etica, esistenziale, salvifica. Molte coscienze sono già dei luoghi effettivi di questa verità; altre possono essere non solo offuscate ma addirittura stravolte, ma sono dei luoghi possibili perché c'è un qualcosa in loro che è come in attesa di una parola che le colpisca.

Sto leggendo il bellissimo libro
Tornate ad essere uomini del padre gesuita Adolfo Bachelet, fratello di Vittorio, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980.
Questo vecchio padre gesuita, morto qualche mese fa, dal tempo della morte del fratello, quasi settantacinquenne, cominciò a fare attività pastorale con i carcerati politici, ed ha raccolto le sue esperienze in un libro edito da Rusconi.
È un libro formato da testimonianze e lettere di ex terroristi dove l'elemento comune è proprio la coscienza che si riaccende. Lo testimoniano in prima persona: la falsa coscienza da parte di coloro che credevano di essere gli unici detentori della vera coscienza e che in nome di essa uccidevano, e poi la scoperta che non c'era nulla di più abissalmente falso di ciò che li portava ad uccidere. E la luce sorge per l'amore fedele di una madre che malgrado tutto accompagna il figlio in questa terribile peripezia, oppure all'incontro del familiare (la moglie o il padre o altro) della loro vittima che va a trovarli e li perdona.

Ci sono coscienze dove la verità etica non abita, ma non è stata radiata per sempre; possiamo dire, si trova a covare sotto la cenere. Ce ne sono altre ricche di verità e capaci di farla sprigionare fin dall'inizio, ed è una verità basata sulla grande saggezza che viene dalla vita, dal patire. Ce ne sono poi altre che hanno più sapere, e quindi sanno articolare meglio il discorso e sanno disegnare le mediazioni tra verità etica e le sue concretizzazioni. Ce ne sono poi altre ancora che hanno una vocazione ad un servizio all'interno della comunità e quindi hanno anche un dono di consiglio, di governo, di regole, etc. Sono tutti doni diversi che esigono ognuno una modulazione particolare di coscienza etica, spirituale, salvifica, religiosa, nel popolo messianico.

Credo che queste coscienze dialoghino tra loro e cerchino di ascoltarsi anche se con contrasti, litigi, etc, come spesso succede. In questo dialogo ed ascolto la parità non c'entra. La parità è la cosa più lontana che ci possa essere dalla verità perché ha come unica verità che bisogna essere pari. Ma cosa c'entra la parità con la verità? L'unica parità è che tutti siamo dei poveri diavoli in cerca della verità, uno ha fatto più strada magari perché ha patito di più, forse perché è più povero degli altri economicamente e quindi ha acquisito di più la capacità di portare la pena di vivere e può essere molto più ricco di sapienza etica. Non siamo assolutamente pari, in questo campo dove ognuno può dare ed ognuno può ricevere.

Io non vedo altro modo che questo per essere popolo messianico, che può dare un po' di luce a chi vive all'interno e magari anche a chi vive al di fuori.



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