A.R.CO. Associazione per la Ricerca e la Comunicazione


Vai ai contenuti

7. Armido Rizzi 29.05.1997

Bibbia > 5° Corso biblico: Messianismo. Liberazione o alienazione? (1997)



trascrizione integrale


Terra promessa e storia dell'Occidente


Le riletture dell'itinerario esodico



SOMMARIO

I. La rilettura spirituale
Nella chiesa patristica l'itinerario dell'Esodo viene trasposto sul piano della vita ecclesiale o/e della vita mistica, in base al principio che la Chiesa è l'
Israele spirituale: è il cammino del popolo cristiano dalla schiavitù del peccato e delle sue incarnazioni attraverso il battesimo e l'esistenza in fede e carità fino alla patria celeste.

II. La rilettura teologico-politica
I puritani, padri dei futuri Stati Uniti, lasciano l'Europa per l'America del Nord in base a una attualizzazione dell'Esodo: l'Europa come Egitto, l'elezione a realizzare il disegno di Dio attraverso un patto, il deserto delle difficoltà incontrate, la terra promesa della nuova patria religiosa e politica.

III. La rilettura liberazionista
1) Gli schiavi neri
La scoperta della Bibbia: il Dio dei padroni è, di diritto, il Dio degli schiavi. Significato dei Negro SpirituaIs.
2) La teologia della liberazione
Il nesso Esodo-creazione: la chiave di lettura della Bibbia è la liberazione dei poveri.

IV. Il sionismo e la sua ambivalenza
1) II sionismo del desiderio (
l'anno venturo a Gerusalemme“)
2) II sionismo storico
- l'interpretazione esclusivista: la terra promessa come proprietà
- l'interpretazione rappresentativa: la terra promessa come
imperativo a farne ciò che Iddio voleva ne fosse fatto (M. Buber)

Notazioni finali

1) Il paradigma esodico tra spiritualità e politica
2) Il paradigma esodico tra religione e laicità





Sul foglio distribuito ho aggiunto come sottotitolo "Le riletture dell'itinerario esodico". Avrei dovuto aggiungere anche una premessa che però mi risultava difficile formulare in maniera stringata. Tuttavia la faccio adesso. Mi riferisco al significato del termine "riletture".
Dobbiamo partire da una considerazione già presente tra le righe del nostro incontro precedente: raccontare una serie di fatti significa sempre riferirsi a dei dati in quanto portatori di uno o più significati. Nessuno racconta una serie di vicende per il gusto di raccogliere dei fatti. Noi raccontiamo dei fatti, significativi almeno per noi, perché li abbiamo conservati, inanellati, per così dire, nella memoria e li raccontiamo se pensiamo che possano avere qualche significato per chi li ascolta.
Questo vale naturalmente ed a maggior ragione per le grandi narrazioni ed in particolare per quella narrazione di cui ci siamo occupati durante il nostro primo incontro: la storia dell'Esodo.

In quanto storia, narrazione, l'Esodo si riferisce a dei dati ma li racconta perché coglie in essi un significato in cui il popolo, che al tempo stesso è il popolo di cui si narra, riconosce la propria storia, come fondatrice, come storia da cui ha avuto inizio la propria identità.
C'è allora una lettura iniziale dell'Esodo che è quella che nasce con la scrittura stessa. Il significato che Israele ha colto in quell'insieme di dati è una storia di liberazione, è un cammino, è l'incontro con il donatore di una legge, di una costituzione di vita, ed è l'approdo ad una terra promessa.
Questa dunque è la prima lettura costitutiva del senso, del significato originario di quella storia.

Il significato di una storia può però poi essere
riletto, in quanto quel significato viene riconosciuto illuminante di nuove successive storie.
E questo può avvenire in tanti modi; ma qui mi interessa metterne in luce due.
Quello più semplice è la riutilizzazione per una storia analoga di un significato che già è stato narrato in una storia precedente. Si tratti di una liberazione politica o di una guerra di indipendenza, chi racconta questa guerra di indipendenza pone una narrazione che potrà essere ripresa, applicata a se stessi e ad altri che faranno altre guerre di indipendenza.
Questa è, direi, la rilettura in una accezione più semplice, in qualche modo quel "ri" ha solo valore iterativo, di ripetizione. Gli scolastici avrebbero detto che il significato sarebbe rimasto univoco, lo stesso, cambiano solo le sue individualizzazioni.
Ma a noi interessa un'altra accezione di rilettura ed è quando il
ri non si riferisce soltanto alla ripresa ed alla reincarnazione all'interno di nuove vicende, ma ad una trasformazione dello stesso significato originario, o meglio si riferisce allo sviluppo di virtualità contenute nel significato originario che però non erano state ancora dispiegate.

Quando parlo di rilettura dell'itinerario esodico, o della terra promessa nella storia dell'occidente, prendo il termine
rilettura nell'accezione di un significato dilatato, un significato che in qualche modo è in nuce all'interno del significato originario e che tuttavia ha bisogno di essere esplicitato.
Questa esplicitazione può apportare un vero arricchimento di intelligenza, di qualcosa che era già contenuto nel significato originario, ma può anche arrivare ad una distorsione di quell'intelligenza, soprattutto quando il significato originario è ricco di valenze simboliche, ha un valore paradigmatico, come dicevo la volta scorsa.

Allora il simbolo è di sua natura polivalente ed è anche, per sua natura, esposto al rischio di essere frainteso. Ed è quanto è accaduto all'Esodo.
Non farò la storia di tutte le riletture, né mi interessa mostrare tanto gli aspetti negativi, i fraintendimenti e le riletture improprie; esporrò quelle che mi sembra siano state storicamente le più significative, anche se accennerò ad alcune letture improprie, che cioè pur appoggiandosi al significato della narrazione esodica ne alterano il senso originario.
Leggerò alcuni passi da questo libretto
Esodo, che nella sostanza contiene quasi tutto (ed anche altre cose) quello che andrò dicendo in questo incontro in cui presento la sintesi di due anni di incontri settimanali a Fiesole, sintesi che mi venne sollecitata da padre Balducci per le sue Edizioni Cultura della pace.



I. La rilettura spirituale

La prima rilettura sulla quale voglio sostare è quella spirituale, che poi riprenderò nelle notazioni finali.
La rilettura spirituale nella accezione prevalente della tradizione cristiana, per quanto attiene alla storia narrata nell'Esodo, ha avuto la sua maggiore fioritura già a partire da alcuni momenti del NT e soprattutto nella chiesa dei primi secoli, la chiesa dei Padri.

Per entrare in questa rilettura di tipo spirituale, bisognerebbe poter sviluppare, con un po' più di tempo a disposizione, il senso globale dell'operazione che la comunità cristiana ha fatto sulle Scritture ebraiche, consistita in una trasposizione di quello che si riteneva fosse il significato delle Scritture ebraiche ad un altro ordine di significato, chiamando i due ordini o i due livelli
carnale il primo e spirituale il secondo.

La comunità cristiana ha letto l'AT (o meglio
Primo Testamento“, o meglio ancora in quanto più neutrale Scritture ebraiche) come storie dotate di un senso carnale. cioè di un senso materiale: la conquista di una terra, di un insieme di beni che hanno a che fare con l'esistenza terrena, con la oggettività ed esteriorità di questa esistenza.
Sui personaggi l'interpretazione era un po' più delicata perché nel NT non si ha il coraggio di dire che Abramo, Mosè o Davide fossero solo dei personaggi carnali, comunque anch'essi assurgono poi ad un significato ulteriore.
Ma certamente vicende, oggetti, istituzioni (il tempio, il sabato, la Pasqua come ricordo dell'Esodo) vengono dotati di un significato letterale che attiene all'esistenza dell'uomo israelita nel mondo e come tale viene chiamato carnale.

È però convinzione della comunità cristiana che quel testo nasconda un significato ad un livello superiore. Agostino diceva
in Vetere Testamento novum latet (nell'AT è nascosto il nuovo) e in Novo Testamento veterum patet (nel NT si manifesta il significato dell'AT).

Dunque l'AT ha un secondo significato, proprio come testo. Ma gli ebrei che possedevano quel testo, non l'hanno capito perché lo svelamento di quel testo era affidato all'avverarsi di ciò di cui quel testo parlava, e l'avverarsi era l'avvento del Messia.
Soltanto con l'avvento di Gesù, e di ciò che ha inizio a partire da Gesù ossia con la comunità cristiana e con la chiesa, si manifesta il senso autentico per cui Dio ha voluto che venisse scritto anche il senso letterale; ossia con Gesù e con la chiesa si manifesta il senso autentico e spirituale delle Scritture ebraiche.

Non solo, quando la comunità cristiana opera la trasposizione del senso delle Scritture ebraiche ad un altro livello, fa convergere due movimenti.
Uno è quello accennato prima, ossia il passato, il presente, e le promesse di un futuro più ampio, più ricco, più perfetto: l'era messianica. L'altro è operante nella comunità cristiana, non viene dalla logica e dal dinamismo interno alle Scritture ebraiche, ma dal platonismo: le realtà materiali hanno la loro verità in un ordine superiore chiamato ordine ideale o spirituale.
Allora nel senso spirituale convergono da un lato il movimento temporale, che va dal passato-presente al futuro messianico, dall'altro il movimento che metaforicamente potremmo chiamare spaziale, che va dai beni materiali a quelli celesti ed alla loro anticipazione germinale nella interiorità: la gloria quindi e la grazia.

Questo schema non vale solo per la storia dell'Esodo, ma per l'intero Primo Testamento, anche se in particolare la storia dell'Esodo è complessivamente il testo che maggiormente si è prestato alla trasposizione di significato, quindi alla rilettura a livello spirituale, perché la chiesa stessa pensa e chiama se stessa l'Israele spirituale.
Così come l'Esodo è stato la liberazione politica da una situazione di inidentità e di schiavitù in Egitto, così in Gesù Cristo, nel Risorto, nel suo Spirito e nella sua comunità si avvera la liberazione fondamentale per tutta l'umanità: la liberazione dal peccato, da quella radicale situazione di estraneità in cui si trova l'essere alienato, estraneo a Dio, fuori dal rapporto con Dio.

Questa configurazione del peccato come il vero e radicale Egitto, assume poi delle storicizzazioni che adattano la trasposizione spirituale dell'Esodo alla situazione in cui la comunità cristiana si viene a trovare.
Inizialmente l'incarnazione del peccato è il mondo pagano ed allora la liberazione dall'Egitto diventa la conversione dal mondo pagano al cristianesimo.
Quando poi con Costantino e con Teodosio il cristianesimo diventa religione ufficiale e si mondanizza, allora il
mondo (in una eccezione che arriva fino a noi) diventa il nuovo Egitto, ed allora bisogna uscire dal mondo ed entrare dentro quegli spazi che diventano per eccellenza gli spazi della spiritualità: i monasteri, la vita consacrata a Dio.

Dunque liberazione: liberazione dal peccato, che diventa liberazione dal paganesimo ed infine liberazione dal mondo. Liberazione per andare verso una terra promessa che nel suo esito ultimo è il cielo, approdo per eccellenza di ogni vita ed esistenza spirituale, che però ha delle anticipazioni: la grazia, la chiesa, il battesimo.

Il battesimo a volte è già la terra promessa, le acque battesimali sono quelle dove l'anima si può abbeverare e quindi il punto di approdo; altre volte è invece il punto di ingresso ed allora attraverso il battesimo si entra in quel cammino di deserto che è tutta la vita; altre volte ancora il cammino nel deserto anticipa il battesimo, che insieme alla confermazione ed alla eucarestia costituisce il blocco dei sacramenti di iniziazione conferiti nella veglia pasquale, preceduti dal cammino quaresimale che è il deserto del catecumenato. Con questo si approda alla incipiente terra promessa che è l'ingresso nella chiesa, che poi però a sua volta è un cammino verso l'ultima terra promessa.

Un altro esempio: il dono della legge diventa il dono di quella nuova legge che è lo Spirito, perché tutti i comandamenti sono riassunti nella carità, ma la carità è effusa nei nostri cuori dallo Spirito, che è lo Spirito di Gesù.
Allora ciò che nel Primo Testamento è scritto su tavole di pietra (la volta scorsa io negavo che fosse questo il senso della scrittura dei comandamenti) nel NT è scritto nei cuori perché è scritto dallo Spirito ed è la vita di fede ed amore, di fede e carità.

Questa rilettura ha da un lato un versante più propriamente ecclesiale, comunitario, sacramentale, dall'altra ha, soprattutto in alcuni padri, un tenore mistico.
Vi ricordo in particolare la
Vita Moysis di Gregorio di Nissa, bellissimo, che rappresenta il cammino dell'anima verso la contemplazione di Dio. La storia di Mosè che accompagna il suo popolo verso la terra promessa è l'itinerario verso la vita contemplativa.
Quest'ultima lettura suppone una certa sensibilità, una certa appartenenza preferenziale ad un mondo neoplatonico e non può essere generalizzata; invece la lettura ecclesiale e sacramentale è una lettura che abbraccia tutta l'ecumene cristiana dei primi secoli.

Ricordo alcuni testi di tre chiese, testi di omelie sul battesimo con l'interpretazione sacramentale dell'Esodo:
- la chiesa di Gerusalemme, chiesa madre (testo di Cirillo di Gerusalemme);
- la chiesa africana ( testo di Tertulliano);
- la chiesa milanese (testo di Ambrogio).
Sono tre aree che rappresentano in pieno tutta la chiesa del tempo.

Questo è quindi il primo tipo di rilettura dell'Esodo che arriva fino a noi. Le nostre liturgie pasquali sono piene di riferimenti alla notte dell'Esodo:
«Questa è la notte in cui Dio ha spogliato gli Egiziani ed ha arricchito gli ebrei, etc ...», adesso però spoglia gli ebrei del senso della loro esperienza spirituale per arricchire i cristiani, spoglia la sinagoga per arricchire la chiesa. Quest'ultima parte non viene detta nel testo, ma lo fa intendere.



II. La rilettura teologico-politica

Questa rilettura non avviene con un insieme di azioni ripetute attraverso la ciclicità dell'anno liturgico, né attraverso tante vicende individuali, esperienze ascetico-mistiche verso la contemplazione di Dio, ma attraverso una grande vicenda di popolo, di collettività che vuole diventare il popolo di Dio.

La storia dei puritani appartiene a tale rilettura. I puritani erano una delle ramificazioni dei calvinisti, diffusa in Olanda e in Inghilterra. Una parte di essi approda negli Stati Uniti, cioè vive la vicenda di cui adesso vi parlo brevemente.
Nel 1630, preceduti dieci anni prima da un piccolo numero che aveva varcato l'oceano per ragioni prevalentemente commerciali, un migliaio di puritani lascia l'Europa per approdare al nuovo mondo, l'America del Nord, con la precisa intenzione di realizzare il nuovo Esodo. Infatti l'Europa rappresentava il nuovo Egitto, da quando era iniziato il connubio tra religione e potere con l'era costantiniana. Si sperava che tale connubio finisse con la Riforma, ma ormai anche la Riforma stava ripiegando le sue vele, in parte per la oppressione esterna ed in parte per uno spegnimento interno. Dall'Europa allora non c'è più nulla da aspettarsi, è terra di schiavitù dal punto di vista cristiano e quindi si va al nuovo mondo.

È Dio che li chiama. I puritani hanno sviluppato una teologia della vocazione e della elezione. È l'idea che ogni esistenza cristiana è vocazione, personalissima ma universale, e dentro la comunità cristiana ci sono delle vocazioni specifiche.
I puritani sentono di essere chiamati da questa vocazione specifica, sentono di essere eletti, come l'antico Israele, per iniziare il nuovo popolo di Dio sulla nuova terra, che sarà allora la terra promessa.
Da un lato quindi c'è l'elezione da parte di Dio e dall'altro, se viene accolta questa elezione, si stipula un patto, una alleanza, un contratto tra Dio che propone e la piccola comunità che accetta e che sotto il segno della vocazione pone il proprio viaggio ed i suoi esiti futuri.

Vi leggo alcuni testi che mi sembrano particolarmente significativi.
Nella prima storia dell'America, che non a caso ha come titolo
Magnalia Christi Americana (Le imprese di Cristo in America), ad un certo punto il testo dice: «la mano di Dio si era protesa ed i migliori dei suoi eletti erano stati condotti dall'Egitto alla nuova terra di Canaan, l'unico luogo dove indubbiamente la Riforma non poteva fallire, dove il mondo poteva contemplare un esempio di ciò che sarebbe avvenuto in tutta la terra nei tempi gloriosi che si annunciavano. Ciò che mancava in Europa, sarebbe esistito, doveva esistere in America».

Questa è una retrospettiva del primo storiografo che racconta l'epopea dei primi decenni dei puritani nei futuri Stati Uniti. Ma l'idea non è soltanto retrospettiva, è già a monte dei fatti. Quando i puritani partono, il capo del gruppo, varcando l'oceano, tiene un lungo discorso al cui centro vi è proprio il patto tra Dio ed il popolo:
«Questa è la nostra situazione rispetto a Dio, noi abbiamo stipulato un contratto con lui, nei confronti dell'opera che stiamo per compiere, ci siamo assunti un compito ed abbiamo quindi implorato da Lui favori e benedizioni. Ora se piacerà al Signore ascoltarci e condurci in pace al luogo che desideriamo, Egli avrà ratificato questo contratto e suggellato il nostro compito e si aspetterà una stretta osservanza degli articoli in esso contenuti, ma se noi trascureremo l'osservanza di questi articoli che sono i fini che ci siamo proposti e, tradendo il nostro Dio, seguiremo il mondo ed i nostri scopi terreni, cercando grandi cose per noi e per i nostri posteri, il Signore certamente si impunterà contro di noi, si vendicherà di un popolo tanto spergiuro e ci farà conoscere il prezzo della violazione di un simile contratto».
Se non vi avessi indicato i riferimenti di questo testo, lo avreste attribuito ad una pagina del Deuteronomio:
«metto davanti a te questo fatto, la vita che è il bene e la morte che è il male, scegli. Sappi che se vai sulla via del bene approdi alla vita, se vai sulla via del male, ti rovini».

Questi sono i puritani che in nome del Dio di Gesù Cristo vanno per realizzare il nuovo Israele, la nuova chiesa, il nuovo popolo di Dio, nella nuova terra promessa.
Essi trovano per prima cosa il deserto che bisogna attraversare. Non è certo il deserto in senso letterale, anzi è l'estremo opposto del deserto, ma ha lo stesso significato. Nella prima storia dell'America si parla
«di immense foreste che si estendevano da ogni parte e non offrivano quasi spazio per le case e per i campi».
La volta scorsa vi dicevo che il deserto è il luogo invivibile perché non si può seminare e quindi non si può raccogliere, non ci si può nutrire e non si possono costruire delle case. Nel caso dei puritani, anche se i dati naturali sono opposti a quelli del deserto, gli spazi che debbono attraversare hanno lo stesso significato: la invivibilità, e di qui la necessità di lavorare molto e di rendere vivibile tali spazi, naturalmente sotto il segno della elezione e della alleanza con Dio, e quindi dell'obbedienza alla Sua volontà.
L'mpresa è estremamente ardua, molti muoiono per gli stenti, molti scappano via e tornato in Inghilterra, comunque l'impresa riesce, il deserto fiorisce in giardino.

Ma assieme fiorisce anche la problematica, intravista la volta scorsa, dell'ambiguità della ricchezza.
Da un lato la terra promessa è terra buona e la promessa consiste nel dire: “se tu vivrai secondo Dio, la terra fiorirà, dunque diventerai ricco”.
Shalom, la felicità, la benedizione, la vita: sono tutti termini che concretamente significano ricchezza, una vita agiata, colma.
D'altra parte però, e già Israele lo aveva conosciuto, riesplode la stessa problematica della sovrabbondanza ottenuta proprio da una vita condotta secondo una grande disciplina. Attraverso una vita disciplinata è facile che non solo uno abbia da vivere a sufficienza, ma che si formi il superfluo, la ricchezza che aliena.
È importante capire il carattere, non dico contraddittorio, ma problematico, del rapporto tra osservanza del patto e felicità, e di come la felicità, frutto del patto, possa convertirsi in possibilità di autosufficienza nei confronti di Dio e in fonte di corruzione.

Una breve parentesi. Dall'esodo dei puritani nascono gli Stati Uniti (1776) che diventano nel '900 la prima potenza economico-militare del mondo.
È interessante notare che quando noi parliamo di secolarizzazione e pensiamo all'illuminismo, alla nascita dello Stato laico in Europa, automaticamente sentiamo un certo tenore anticristiano. Questo tenore anticristiano rappresenta la nascita della laicità in Francia ed in Italia, che in ciò è figlia della Francia, ma non vale, o comunque vale in maniera diversa, per la Germania dove tutto il grande pensiero laico è uno sforzo immane per capire il senso del cristianesimo (Kant, Hegel).
A sua volta, non sul piano speculativo di filosofia della storia, ma su quello di realizzazione etico-politica, attraverso i puritani arriva nell'America del Nord una forma di cristianesimo che si evolve poi verso la formazione di uno Stato laico, che tuttavia mantiene, non dico fino ad oggi ma almeno fino a tutto l'8OO, la continuità con la propria radice cristiana. È una continuità non polemica. Anche quando prende le distanze e si deconfessionalizza sia a livello di Stato che di coscienza, mantiene il riconoscimento di essere figlia di quella storia.

In sintesi, la rilettura teologico-politica si chiama così perché è una teologia che si traduce in politica ed è una politica che porta dentro di sé un'anima teologica, come ho cercato di evidenziare nella storia prima riassunta.



III. La rilettura liberazìonista

Per questa rilettura accenno a due episodi:

1) Gli schiavi neri, in particolare gli schiavi neri nell'America del Nord


Ripensavo ad una citazione che non riguarda direttamente gli schiavi neri d'America, ma i colonizzatori neri in Africa. La citazione, riportata da Lanternari nel suo bel libro sui movimenti religiosi di liberazione e di salvezza dei popoli oppressi, riguarda un contadino, non ricordo di quale nazione dell'Africa, il quale dice al missionario a braccetto con il colonizzatore: “Voi siete venuti ed avevate la Bibbia, noi avevamo la terra. Voi ci avete preso la terra, ma noi vi abbiamo preso la Bibbia“.

Gli schiavi neri hanno anch'essi conquistato la Bibbia. L'hanno conquistata in quanto non gli è stata data, a differenza della colonizzazione africana, ed a differenza soprattutto della colonizzazione dell'America del Sud.

Il messicano Octavio Paz, premio nobel della letteratura, diversi anni fa nel suo libro antropologico
Il labirinto della solitudine (tradotto da Mondadori) nel capitolo molto bello sulla Conquista, fa questa osservazione: «a differenza dei puritani che andando nell'America del Nord pensavano di costruire la loro chiesa cristiana e quindi non si sono mai sognati di portare il vangelo ai nativi, agli indiani, né di portarlo ai loro schiavi, invece la chiesa cattolica è venuta nell'America del Sud per portare il vangelo, e questo ha significato per gli Indios del Messico e del Perù - i due grandi blocchi della mesoamerica e della zona andina, lì dove la conquista europea ed in particolare spagnola ha distrutto la loro cultura - presentare loro un'altra casa culturale: attraverso il battesimo potevano entrare nella chiesa, e qui trovare una nuova identità».
Questa argomentazione è molto interessante perché non viene da un apologista della storia cattolica, ma da un uomo estremamente laico che legge la storia senza quegli sbandamenti, apologetici da un lato e demonizzatori dall'altro, in cui è facile cadere.

I puritani invece non intendono predicare il Vangelo, né agli indigeni né ai propri schiavi neri, ma gli schiavi neri se lo prendono nella seconda metà del '700.
Attraverso i movimenti del "risveglio cristiano" (alla metà del '700) i neri vengono accolti nella chiesa e fanno la straordinaria scoperta che il Dio dei loro padroni, quel Dio verso il quale i loro padroni pregano, è di diritto il Dio degli schiavi, cioè il loro Dio. È una scoperta formidabile, è l'abc della storia dell'Esodo.
Il Dio di Israele infatti ha manifestato la sua identità andando a prendersi quelli, stranieri e schiavi, che non avevano Dio e che quindi non erano nessuno. Gli schiavi neri d'America sono così nella giusta posizione, in quanto hanno la precomprensione, la pregiudiziale, l'ottica che permette loro di leggere e di accorgersi di quello di cui i loro padroni non si accorgevano. Si, questo Dio è proprio il Dio liberatore.

È una grande pagina che non diventerà una pagina rivoluzionaria in senso politico, di ribellione etc, ma di conquista di una identità: posso essere politicamente schiavo, ma sono un essere umano, uomo o donna, come il mio padrone o la mia padrona, ed ho un solo Signore che è Gesù Cristo, il Dio di Gesù Cristo, che è lo stesso Signore dei padroni che presumono di chiamarsi signori.
Questa storia si è sedimentata nei Negro Spirituals, ed è stata poi ripresa nella seconda metà degli anni '60 dalla teologia nera, la versione teologica del black- power, e da Martin Luter King.

L'altro giorno leggevo un aneddoto interessantissimo. Nella chiesa USA è stata fatta una nuova traduzione delle letture bibliche della liturgia. Sono state depennate tutte le espressioni di violenza o di sessismo e così via. Così per es., Dio padre è diventato Dio padre e madre.
La Commissione teologica, molto ampia e pluralista (formata di bianchi, neri, uomini, donne, teologi, ministri del culto, etc), voleva sostituire “Signore“ con “Essere sovrano“ perché Signore sapeva troppo di quella tradizione dove Dio è il Signore maschio, ma i neri hanno detto no. È interessantissimo: se Egli è Signore noi sappiamo di non poter avere altri signori, sappiamo che qualunque altro assuma il nome di Signore o padrone sta usurpando il titolo; attraverso il Dio Signore noi abbiamo preso coscienza della nostra dignità di creature.

Questa autoaffermazione antropologica e teologica sta alla base delle rivendicazioni dei diritti civili dei neri. È un capitolo di grande interesse che riguarda la liberazione interiore ma non interiorista, perché non è la ricerca di un Dio da contemplare a prescindere da ogni umiliazione. È la ricerca di se stessi, di un Dio che si dona a noi stessi e che ci dona la coscienza della nostra umanità. Questo motivo è stato ripreso di recente, in particolare dal teologo nero Cone che ha fatto anche un bel commento dei Negro Spirituals secondo la chiave che vi ho sopra indicato.



2) La teologia della liberazione, soprattutto nella sua versione originaria in America Latina


Formulo una chiave di lettura per mezzo del nesso Esodo - Creazione. Questo nesso fa parte della Teologia del Primo Testamento da diversi decenni e non è stato certo scoperto dai teologi della liberazione. Anche se noi troviamo nella prima pagina la Creazione e solo più tardi il racconto dell'Alleanza, però l'ottica in cui va letta la Creazione è quella che ci viene fornita dal racconto dell'Alleanza, perché la Creazione è l'inizio del mondo ma visto nella prospettiva di Israele, e nasce nell'esperienza di liberazione e di alleanza.

Vi leggo alcune righe prese dal testo di Gustavo Gutierrez, considerato la Magna Carta, il primo canto della teologia della liberazione:
«Dominare la terra come comanda la Genesi, prolungare la creazione, non hanno valore se non sono compiuti in favore dell'uomo, se non sono al servizio della sua liberazione nella storia, solidalmente con tutti gli uomini. A ciò risponde l'iniziativa liberatrice di Javèh suscitando la vocazione di Mosè. Solo la mediazione di questa autocreazione, rivelata inizialmente con la liberazione dall'Egitto, solo essa permette di abbandonare le espressioni retoriche e le categorie approssimative, e di comprendere in profondità e sinteticamente la relazione tra creazione e salvezza così energicamente affermata nella Bibbia».

Tutto ciò vuoi dire che c'è anche una lettura dell'alleanza o della salvezza che può tranquillamente riassorbire la stessa creazione all'interno di una prospettiva spiritualista, come è stato fatto per secoli soprattutto nella tradizione cattolica, mentre la liberazione è la possibilità offerta agli stranieri, agli schiavi, ai poveri di credere con fiducia nel Dio liberatore, obbedendo al suo comandamento che è di liberazione.

Sostanzialmente il nucleo teologico della teologia della liberazione, al di là delle circostanze e della strumentazione di categorie desunte (non tutte ma in buona parte) dal marxismo almeno agli inizi, è la riscoperta che Dio è il Dio degli stranieri e degli schiavi.
Si può dire che è la riscoperta dell'acqua calda, ma quando l'acqua calda è stata coperta per tanto tempo anche questa riscoperta può essere davvero un risveglio di coscienza per un intero continente.

Le letture dell'Esodo, dei Profeti e della prassi messianica di Gesù sono i tre poli preferenziali dei testi biblici da parte dei teologi della liberazione. L'Esodo è il primo dei tre ed è quello fondante.



IV. Il sionismo e la sua ambivalenza

1) II sionismo del desiderio

Israele ha vissuto per quasi 2000 anni, a partire dalla diaspora del 70 d.C. (distruzione di Gerusalemme e del Tempio), il sionismo del desiderio, quello che porta ogni anno durante la Pasqua a dire: “quest'anno qui, l'anno venturo a Gerusalemme“.


2) II sionismo storico

Nella seconda metà dell’ ‘800 invece il desiderio è diventato progetto, progetto di ricercare un pezzo di terra su cui tornare a costituire l'unità degli ebrei come popolo eletto.
Non si pensava alla terra dell'attuale piccolo Israele, ma ad alcune zone disabitate dell'Africa o dell'Argentina, poi prevalse la proposta di tornare nella terra dei padri.
Questo ritorno iniziò alla fine del secolo scorso e si realizzò in cinque ondate, la principale è stata quella con cui ha avuto inizio lo Stato di Israele nell'immediato dopoguerra.


Il sionismo è percorso dall’ambivalenza circa il duplice modo di leggere l’elezione:

- Interpretazione esclusivista
“Dio ci ha dato questa terra, questa terra è nostra e basta“. È la lettura fatta oggi da una certa parte degli abitanti di Israele, o anche da coloro che ne sono fuori. Certo si possono trovare nella testualità biblica argomenti per coltivare questa lettura, per possedere quella terra ed esserne padroni.

- Interpretazionre rappresentativa
Personalmente sono convinto, anche a prescindere dalle ragioni storiche e da tutto quello che è venuto dopo (dal fatto ad es. che gli ebrei tornarono su quella terra solo cento anni fa, ad eccezione di un piccolo gruppo che vi è rimasto da sempre) che ci siano ragioni all'interno della Bibbia per intendere in un altro modo la presenza degli ebrei come popolo eletto su quella terra, quello che qui formulo con le parole di Martin Buber: “La terra promessa è l'imperativo a farne ciò che Dio voleva ne fosse fatto“ cioè realizzare su un piccolo pezzo di terra l'umanità come Dio la voleva.
Il significato è che Israele concepisse la sua elezione come rappresentativa della vocazione universale dell'uomo come abitatore della terra, rappresenta l'altra lettura del sionismo, che semplicemente dice: “riprendiamo la nostra vocazione ad abitare questa terra, ma ad abitarla così come Dio vuole che sia abitata tutta la terra. Il primo atto da fare è di instaurare qui una politica di giustizia e di pace che è l'unica che legittima biblicamente il nostro essere“.



Notazioni finali

La lettura che ho proposto la volta scorsa dovrebbe permetterci di discernere tra le riletture che ho oggi presentato, quali sono quelle che rispondono in maniera più fedele alla autentica ispirazione del racconto dell'Esodo, e quali sono invece quelle che la travisano.

Ho saltato molte altre riletture in quanto poco interessanti.
Accenno solo ad un'ultima che metteva l'elezione dell'Esodo alla base dell'apartheid nel Sud Africa, perché Dio aveva dato quella terra al popolo eletto identificato nei bianchi, gli olandesi soprattutto, i boeri.
È una rilettura vissuta fino a qualche anno fa e probabilmente
in pectore vive anche adesso: una teologia della legittimazione biblica del possesso, da parte dei bianchi, di quella terra in quanto popolo eletto.


Voglio fare alcune notazioni integrative:

1) Il paradigma esodico tra spiritualità e politica


Cosa vuoi dire? Vuol dire che nell'Esodo noi possiamo ritrovare il luogo testuale che ci riinsegna a coniugare ciò che una lunga tradizione cristiana ha invece dissociato, cioè da un lato il rapporto con Dio, la dimensione spirituale, e dall'altro la dimensione di relazione con altri uomini e con la terra, ossia la dimensione politica.
L'Esodo è insieme spirituale e politico, teologico e politico, non solo lì dove è stato riletto come nella teologia della liberazione, ma nel suo significato originario.
La liberazione è un processo politico attraverso il quale Dio prepara il suo popolo, certamente un popolo nel senso politico del termine, un popolo a cui Dio dà una costituzione, una costituzione che è insieme legge politico-giuridica e legge del cuore, e quella politico-giuridica non può stare in piedi senza quella del cuore.

Come vi dicevo l'altra volta, la terra promessa può fiorire soltanto al calore, da un lato della libertà divina che la dona e che è fedele, e dall'altro della libertà umana che nella sua fragilità può anche venir meno.
Ma allora la terra promessa non è più tale, così come il giardino dell'Eden smise di essere giardino già nel momento in cui venne gustato il frutto proibito e non nel momento in cui Dio cacciò Adamo ed Eva. In realtà l'Eden non è più Eden una volta che i due non si riconoscono più, una volta che litigano tra di loro, una volta che la donna deve partorire nelle doglie, una volta che il maschio deve lavorare con il sudore della fronte. Che poi Dio li butta fuori è soltanto un ridire in termini di metafora spaziale quanto è stato detto molto meglio nei termini della mutazione esistenziale.

Questo che vale per l'Eden su scala generale, rappresenta la terra promessa su scala particolare, una terra promessa dove non viene mai meno la fedeltà portante di Dio, ma può venire meno l'altro polo del patto, l'obbedienza al patto. Allora la terra promessa non è più tale.
Questa dimensione è allora il collegamento essenziale tra spiritualità e politica, la prima come radice della seconda.


2) Il paradigma esodico tra religione e laicità

I testi citati sono testi religiosi che hanno però un messaggio che può essere assimilato anche mettendo tra parentesi il riferimento religioso. Cioè noi possiamo leggere questi testi come svelatori di possibilità che sono dentro l'esistenza e la coesistenza degli umani e del rapporto tra gli umani e la terra.

Ma averle dentro non significa che le abbiamo sempre alla mano, possiamo dimenticarle, occultarle. Ci sono allora dei testi che ce le svelano.
Certo la Bibbia in genere, e l'Esodo in particolare, sono grandi testi che attribuiscono tutto all'autorivelazione di Dio, così che l'antropologia o il paradigma dell'itinerario per diventare umani dipende da questa autorivelazione divina.
Proviamo però a lasciare in sospeso quella autorivelazione, noi troviamo un disvelamento delle possibilità dell'umano che può parlare anche a chi non accoglie la dimensione religiosa, credente, di questi testi.
lo credo che questa sia un lettura laica della Bibbia, non in quanto lettura estetica, archeologica, etc. ma in quanto anche al laico, al non credente, la Bibbia svela qualcosa che prima d'allora non conosceva di se stesso.





Home Page | Chi siamo | Attività | Relatori | Bibbia | Chiesa | Etica | Economia | Polis | Pensieri | Audio | Video | Newsletter | Link | Mappa del sito

Cerca

Torna ai contenuti | Torna al menu