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3. Gian Luigi Prato 24.04.1997

Bibbia > 5° Corso biblico: Messianismo. Liberazione o alienazione? (1997)



trascrizione integrale

Le attese messianiche nel giudaismo contemporaneo di Gesù



SOMMARIO

I. Il quadro storico del giudaismo tra il III sec. a.C. e il II sec. d.C.
1) Giudaismo ed ellenismo e correnti interne del giudaismo
2) La concezione della storia universale come successione di regni e la ricerca di un suo interprete legittimo
3) Normatività della Scrittura e libertà esegetica (la storia del testo biblico: problemi)

II. Gli scritti apocrifi (o pseudepigrafi)
1) Varietà di immagini e di espressioni (in testi complessi, tradotti e manipolati)
2) La progressiva accentuazione di prospettive “messianiche”; esempi da:
Testamenti dei 12 patriarchi, Libro dei Giubilei, Oracoli sibillini III, Salmi di Salomone, 1 Enoc, 2 Baruc, 4 Esdra

III. Il messianismo di Qumran
1) Le figure principali: il “profeta”, il “maestro di giustizia”, il (e/o ) i “messia di Aronne e di Israele”
2) La guerra tra i figli della luce e i figli delle tenebre

IV. La situazione socio-politica della Palestina (I sec. d.C.) secondo FIavio Giuseppe
1)
L'estrazione sociale di Flavio Giuseppe e le sue scelte politiche
2) Personaggi particolari e capi di movimenti
- a) aspiranti alla regalità: Giuda figlio di Ezechia, Simone, Atronge
- b) (pseudo-) profeti: Teuda, anonimo egiziano, anonimo samaritano
- e) profeti oracolari: Gesù figlio di Anania, Giovanni Battista
- d) “filosofi”: Giuda il gaulanita (e la “quarta filosofia”)
- e) sicari e zeloti; (nel contesto) Simone figlio di Ghiera, Menahem
3) Giuseppe evita di rivestire queste figure di tratti messianici, come pure non sono messianiche le sue profezie (per es. su Vespasiano imperatore)
4) Le sollevazioni popolari nel quadro ristretto della situazione storica locale e ad esso proporzionali

V. Gli scritti rabbinici (e targumici)
1) Bar Kosiba / Bar Kokhba: messianismo attribuito e negato
2) Incertezze e dubbi, fino alla concezione di un “messia creato prima del mondo”

VI. Conclusioni

1) II messianismo come convergenza di elementi diversi, resi omogenei
2) II messianismo nato per interpretare
una storia e sopravvissuto come visione “normativa” della storia: in che senso è universalizzabile?



La conoscenza del giudaismo dell'epoca in cui si è formato il NT è indispensabile per capire come si sia formata gradualmente la concezione del messianismo. Poiché il giudaismo di questo periodo storico è un fenomeno molto complesso, bisogna evitare di collocarlo entro schemi inappropriati, che rischiano di deformarlo.
Tale è appunto quel giudaismo che si potrebbe immaginare solo sulla base del NT stesso, il quale ce ne fornisce un'immagine parziale e tendenziosa, anche se non unitaria.
Dal lato storico il NT è solo una delle numerose fonti (e per di più abbastanza limitata) di cui possiamo servirci per ricostruire il pensiero religioso del giudaismo in generale, e quindi anche per ricercare le origini e la configurazione di eventuali concezioni messianiche.

Va quindi tenuto presente che sintetizzare in poco tempo e anche solo a grandi linee il giudaismo del tempo di Gesù è praticamente impossibile.
Possiamo solo dire qualcosa su alcuni aspetti generali che riguardano il messianismo, o meglio il sottofondo storico e mentale da cui quest'ultimo può essersi sviluppato, e passare poi in rassegna la documentazione più rilevante, per constatare fino a che punto si possa dedurre da essa una visione chiara del messianismo.



I. Il quadro storico del giudaismo tra il III sec. a.C. e il II sec. d.C.

Tra gli aspetti del giudaismo che qui ci possono interessare, vanno sottolineati soprattutto tre fattori, di cui il primo riguarda la storia di questo periodo e gli altri due il pensiero e le concezioni religiose del mondo giudaico.

1) Il giudaismo non è un movimento ristretto ad un ambiente geografico particolare, distinto o addirittura contrapposto ad un'area più vasta, dominata dalla cultura ellenistica.
Non esistono un giudaismo e un ellenismo come due movimenti separati o in lotta continua tra loro. Tutto il giudaismo è in qualche modo ellenistico, perché l'ellenismo era diffuso allora anche in Palestina e d'altra parte c'è una versione dell'ellenismo che è quella giudaica.
Il giudaismo inteso come realtà separata dal suo contesto storico e ambientale è il frutto di eventi posteriori, determinatisi verso la fine del periodo che stiamo considerando. La società giudaica non poteva (e non era in grado) di mantenersi aliena alla cultura greca, che era diffusa in tutto il mondo del Mediterraneo orientale, di cui anche il territorio palestinese era parte integrante.

Vi sono diversi uomini di lettere che, pur provenendo da varie zone della Palestina, hanno composto opere poetiche e storiografiche che sono in linea con i canoni letterari ellenistici.
I confini tra il giudaismo cosiddetto palestinese e quello della diaspora, da questo punto di vista (non geografico ma qualitativo), sono più labili di quanto lasci intravedere quella prospettiva tradizionale che si concentra su una specie di giudaismo ortodosso della madrepatria, rispetto al quale altre espressioni, geograficamente distanti, rappresenterebbero frange marginali o addirittura devianti.
Il giudizio sull'ellenismo che traspare da diversi prodotti della letteratura giudaica va capito nei suoi propri termini, talvolta anche generici o globali, ma non va confuso con la reale situazione storica da cui proviene quella letteratura, la quale del resto rivela una conoscenza abbastanza precisa, per esempio, di buona parte della mitologia greca.

E anche la dinastia asmonea, una volta giunta al potere dopo aver lottato contro i dominatori seleucidi, ha dato vita a un regno che si inseriva bene nella compagine politica e culturale del mondo ellenistico, nonostante la protesta o il separatismo di piccoli gruppi.

Inoltre, il giudaismo di questo periodo è caratterizzato da diverse correnti interne, di cui non riusciamo ad avere un'idea precisa perché le fonti che le descrivono, tra cui soprattutto il NT e Giuseppe Flavio, sono tendenziose.
Giuseppe Flavio, per enumerarle, usa il termine greco
hairesis, che allora significava semplicemente “corrente”, “tendenza” e non qualcosa di completamente separato dal resto o addirittura di eterodosso o “eretico”.

Vi era ad esempio un ampio movimento sacerdotale, di cui facevano parte sia i sadociti, cioè i sommi sacerdoti della dinastia di Sadoc, sia i sadducei, un gruppo attaccato alle tradizioni sacerdotali.
Accanto ad essi vi erano i farisei e gli esseni (sempre secondo l'enumerazione di Flavio Giuseppe).
Una buona parte di queste correnti può essere collegata con il più vasto movimento degli “asidei” (o “pii”), che si era andato affermando sin dall'epoca dei primi maccabei, nel II sec. a.C.
Tutte queste correnti, inoltre, erano ovviamente attaccate alla legge, ma in modo diverso e con maggiore o minore apertura.
I farisei, sotto questo aspetto, hanno goduto purtroppo di una fama negativa, per via dell'immagine che di essi si è tratta dal NT, ma in realtà non rappresentavano un movimento chiuso e ipocrita; anzi, rispetto alle altre correnti, il fariseismo interpretava la legge con notevole libertà di spirito e ampiezza mentale.

Accanto a queste correnti possiamo collocare anche quella dei seguaci di Gesù di Nazaret, da cui sono derivate le prime comunità “cristiane”, caratterizzate a loro volta da una grande varietà interna, sia all'interno che al di fuori del territorio siro-palestinese in cui si sono originate, come testimoniano molto bene, ad esempio, gli scritti paolini.

Il mondo giudaico in questo periodo della sua storia, è dunque assai variegato.
Dedurne un'immagine coerente e unitaria non solo è impossibile, ma è anche indebito, poiché non ci si renderebbe conto a sufficienza della realtà storica, che non si presta ad essere interpretata secondo i luoghi comuni che si presumono ricavare dalle fonti.
Queste ultime, per essere utilizzate, vanno collocate nel contesto preciso da cui provengono, il quale rappresenta comunque solo una parte o un punto di vista assai limitato. Proiettare su tutto il movimento del giudaismo tale punto di vista significa percorrere un circolo vizioso, che conferma solo le precomprensioni errate (e spesso, purtroppo, assai presuntuose) su cui si costruiscono contrapposizioni apologetiche mai esistite.


2) Dobbiamo tener presente che oltre alla concezione generale della storia di cui abbiamo parlato la volta scorsa, cioè la prospettiva escatologica nata soprattutto con l'esilio ed il postesilio, si va formando in questo momento una concezione della storia universale, non in senso moderno, ma secondo la formulazione degli antichi.
La storia universale viene concepita in quell'epoca come una successione di imperi, di regni. Lo schema è più o meno fisso e le fonti sono numerose: orientali, greco-romane ed anche giudaiche. Si parla sempre della successione di almeno tre imperi: Assiria, Babilonia, Persia, con l'aggiunta di un quarto, che può essere la Macedonia (=Grecia) e perfino di un quinto, Roma. Sono ovviamente gli autori romani che parlano di questo quinto impero.
La prospettiva può variare per quanto riguarda l'evolversi di questa storia universale verso il suo ultimo punto. Lo scrittore romano vede naturalmente Roma come ultimo impero, che realizza il destino della storia. Se invece la fonte è giudaica, la serie degli imperi può essere di tre, quattro o cinque, ma poi si prevede una interruzione in seguito alla quale verrà la salvezza universale che è di parte giudaica.
La soluzione finale, mentre è vista in senso positivo ed evolutivo da parte romana o anche greca, da parte giudaica è vista come una sconfitta degli imperi universali, per esaltare la rivendicazione del popolo giudaico.

Questa concezione si esprime negli scritti giudaici del tempo, anche in quelli che per noi sono diventati biblici: nel libro di Tobia (14,4-7) si parla probabilmente di Assiria, Media, Persia, oppure di Assiria, Babilonia e Media. Nel libro di Daniele si parla di quattro metalli, che equivalgono forse a Babilonia, Media, Persia e Macedonia (cap. 2), oppure di quattro bestie, che rappresentano forse Babilonia, Media, Persia e Macedonia (ossia i Seleucidi, cap. 7), oppure ancora di Media, Persia e Grecia (8,20s.) e di Persia, Grecia, discendenti di Alessandro Magno (Tolomei e Seleucidi) e Antioco IV Epifane (cap. 11).

Noi conosciamo forse meglio questa concezione universale della storia nella versione di Esiodo, che parla però di una sequenza di metalli in senso degenerativo: dall'età dell'oro si passa all'età attuale che dovrebbe essere l'età del ferro, la più scadente. Non è proprio l'equivalente di quella concezione, ma ne conserva per lo meno lo stesso genere di formulazione, sebbene attraverso il simbolo dei metalli e in una prospettiva rovesciata.

Poiché in ambito giudaico questa visione della storia universale veniva inserita in un quadro escatologico che prevedeva una lotta finale, potevano sorgere delle tensioni: qualunque avvenimento poteva essere interpretato come un segno che preludeva al momento finale anche se si trattava di episodi di poco conto o di cambiamenti politici di dimensioni ridotte.
Inoltre, se il mondo giudaico era soggetto a un impero o a un dominio esterno, quest'ultimo poteva considerare l'interpretazione giudaica dei segni come un'autentica ribellione e quindi intervenire per reprimere e per punire.
Le tensioni che sorgevano in questo momento erano quindi legate a una tale concezione della storia universale, ma dal punto di vista pratico rappresentavano fenomeni di scarso rilievo. Qualunque cosa poteva dare esca a questa specie di attesa e di ribellione e quindi all'intervento dell'autorità competente, che cercava di ristabilire l'ordine, indipendentemente dal fatto di condividere o meno una simile concezione della storia universale.

Nessuno del resto era in grado di precisare dove e quando si realizzasse la salvezza finale, chi la rappresentasse e quale fosse eventualmente il movimento di ribellione o di insubordinazione che potesse appropriarsi di questa salvezza o esserne quasi l'anticipatore o il realizzatore. Non vi era quindi un interprete legittimo e in linea generale tutte le interpretazioni degli eventi erano ugualmente legittime e illegittime.


3) II giudaismo di questo periodo ritiene già di avere una Scrittura più o meno normativa, almeno in senso ideale; non esiste ancora un canone, ma esiste la tendenza a fare della Scrittura il testo fondamentale della propria tradizione.
Sorge però allora un problema storico-filologico: quale Scrittura? E noi la possediamo questa Scrittura? In realtà, il testo ebraico che possediamo e che è alla base della nostra Bibbia ebraica è del medioevo, di tradizione masoretica (VIII-X sec. d.C.).
Come si presentava il testo mille anni prima? Abbiamo però le testimonianze di Qumran (II sec. a.C. - I sec. d.C.) ed altri documenti molto frammentari, che ci possono dire qualcosa sullo stato del testo ebraico nel periodo che qui ci interessa.

Per alcuni aspetti possiamo affermare che si trattava di un testo che era diverso da quello masoretico. Le versioni greche che circolavano in quel momento erano numerose; più che versioni alla lettera, esse sembravano essere delle interpretazioni del testo originale, come quelle aramaiche (chiamate
targumim). Dal confronto tra le varie testimonianze testuali (ebraico e antiche versioni) possiamo dedurre che benché tutti si richiamassero ad un testo autorevole, che chiamiamo “biblico” ante litteram, vi era una grande libertà di interpretazione; anche se si possedeva un testo più o meno fisso, lo si poteva intendere in varie maniere.

Già nel nostro primo incontro ho accennato ad alcune interpretazioni in senso individualistico, che la versione greca della Settanta sembra operare su un testo ebraico originale, quando si parla di un qualche evento futuro.
Possiamo rivederle in parte ancora una volta, perché si inseriscono bene in questo quadro generale, storico e filologico.

In
Numeri 24 i versetti 7 e 17 ci offrono due esempi interessanti.
In 24,7 il testo masoretico non accenna a un futuro o a un personaggio particolare: «Fluirà l'acqua dalle sue secchie ed il suo seme come acqua copiosa». Si sta esaltando Giacobbe e il profeta Balaam non israelita sta pronunciando un suo oracolo su Giacobbe, cioè Israele, che in quel momento sta attraversando la zona transgiordanica, per insediarsi poi nella terra di Palestina.
Il testo della Settanta dice invece: «Uscirà un uomo dal suo seme e dominerà molte genti».
Si tratta dello stesso testo? Esisteva già allora questo testo o si tratta dell'interpretazione di un testo ebraico che è come quello masoretico che possediamo?
Molto probabilmente possiamo rispondere che il testo greco trasferisce su quell'affermazione una sua concezione che tende a vedere in un individuo particolare l'artefice o lo strumento di quel futuro prosperoso.

In 24,17 il testo ebraico afferma: «Spunta una stella da Giacobbe e sorge uno scettro da Israele», mentre quello della Settanta dice: «Spunterà un astro e un uomo da Israele».
Il
Targum, addirittura, traduce “astro” con “re” e “scettro” con meshiha, ossia “unto” (o “messia”). Il Targum è quindi ancora più tendenzioso.
Certo l'autorità del testo esiste, ma il testo è autorevole perché lo si rende tale, in base però alle prospettive che in esso si vogliono ritrovare.



II. Gli scritti apocrifi (o pseudepigrafì)

Esaminiamo ora le testimonianze che vengono offerte dalla vasta letteratura di questo periodo e che noi chiamiamo apocrifa (o pseudoepigrafa in campo protestante), cioè di quella che non è venuta a far parte del canone biblico. Essa è ovviamente essenziale per studiare il giudaismo di questo periodo e dal lato storico possiede lo stesso valore di quella confluita nel canone.

1) Anche questa letteratura presenta però una serie di difficoltà, innanzitutto perché è stata rifiutata dal giudaismo ufficiale, quello rabbinico, che invece ha raccolto la propria produzione letteraria nella Mishna, nel Talmud e nel Midrash.

È stata però trasmessa in campo cristiano ed è naturale che abbia subito delle manipolazioni, soprattutto su questioni centrali, come quella del messianismo; proprio per questo motivo i testi più significativi sono sempre sospetti.

Inoltre, le opere che appartengono a questa letteratura non ci sono giunte quasi mai nella lingua originale in cui furono scritte e le versioni che ce le testimoniano divergono spesso tra loro, anche in maniera considerevole.
Alcune di queste versioni sono addirittura medievali e, soprattutto in quelle slave, è possibile riscontrare un genere di interpretazione che accentua la concezione della “terza Roma”, e ciò a conferma che ogni traduttore ha visto nel testo una conferma delle sue prospettive particolari.


2) Se passiamo in rassegna i testi principali che vanno dal II sec. a.C. al I - II sec. d.C., possiamo notare un accentuarsi delle affermazioni messianiche verso la fine di quest'epoca, cioè verso il I-II sec. d.C.
Prima i testi sono più incerti: vi sono delle affermazioni ma molto deboli e sporadiche, per cui sarebbe errato vedere globalmente in queste opere delle chiare testimonianze di una concezione messianica.

Facciamo qualche esempio.
I
Testamenti dei 12 patriarchi è un'opera del II sec. a.C., ma con elaborazioni ulteriori. Possediamo la versione greca, e si sono trovati frammenti in ebraico, molto pochi purtroppo.
Per i testi che ci interessano (si veda
Test Giuda 21,1-15; 24; Test Levi 17,2-3; 18; Test Ruben 6,8), vediamo che si prosegue sulla linea a cui abbiamo già accennato la volta scorsa a proposito dell'AT: si parla di due figure che non sono però chiamate “messia”, una sacerdotale ed una regale.
Naturalmente, nel
Testamento di Levi si esalta la figura sacerdotale e in quello di Giuda la figura regale, ma non si parla né di due né di un messia, si parla solo di due figure che in futuro potranno avere un compito particolare.

Il
Libro dei Giubilei, che si colloca anch'esso nel II sec. a.C., si pronuncia ancora nei medesimi termini. Abbiamo una benedizione di Levi e una di Giacobbe, e ambedue le figure vengono esaltate a pari merito (31,11-17 e 31,18-20), non si introducono però compiti messianici.

Gli
Oracoli Sibillini sono un'opera molto vasta e complessa, la cui redazione va dal II sec. a.C. al VII sec. d.C.
Nel libro terzo (vv. 652-808) si parla della distruzione del tempio e si descrive una visione del giudizio cosmico che porterà alla salvezza gli eletti. Si presenta un regno escatologico e si accenna ai segni della fine. Vi è cioè un'attesa profetica del futuro, ma non vi è propriamente un messianismo. Siamo sulla linea della escatologia tradizionale, anche se la visione è più accentuata e più pressante, in base forse ad avvenimenti del momento.
Questo testo potrebbe risalire al ll-l sec. a.C., all'epoca asmonea.

I
Salmi di Salomone sono del I sec. a.C. Qui troviamo qualche testo che contiene affermazioni che potremmo chiamare messianiche. In 17,32 si esalta Davide ed una figura davidica e nel verso 33 si afferma: «II loro re sarà il Signore messia».
I filologi disputano sulla autenticità di quest'ultima espressione che vogliono trasformare in “messia del Signore”, il testo però sembra dire chiaramente
Chrystòs Kyrios e non Chrystòs Kyriou.
È vero che in 18,5 si parla del “suo messia”, ossia del messia di un altro, ma in 18,7 si parla ancora del “Signore messia”, anche se l'espressione è il genitivo (
Chrystoù Kyriou).
In questi testi si ha quindi un'affermazione in senso messianico, si parla del futuro e di un Signore che viene chiamato
Chrystòs, ossia “unto”, nel senso che gli è stata affidata una funzione. Si tratta però di affermazioni isolate, che non devono indurre a leggere tutta l'opera in chiave messianica.

Proseguendo in ordine cronologico, possiamo parlare a questo punto di
1 Enoc e Enoc etiopico, che è una specie di Pentateuco, ossia un'opera composta di cinque parti diverse.
La seconda parte è costituita dalle “parabole”, che rappresentano il testo più discusso dal punto di vista cronologico e redazionale. Molto probabilmente esse costituiscono la sezione più recente di tutta l'opera, qualcuno la colloca nel I sec. d.C. e ciò spiegherebbe anche le numerose manipolazioni che vi sono presenti.
In 48,10 si dice: «Essi hanno rinnegato il Signore degli spiriti e il suo messia».
In 52,4 l'angelo, rispondendo al veggente che gli chiede cosa significano le cose che ha visto, afferma: «Tutte queste cose che tu hai visto avvengono per autorità del messia per cui egli può comandare ed essere potente sulla terra».
Si parla dell'autorità del messia, ma anche qui bisogna vedere a quale epoca precisa risale il testo e se non ha subito manipolazioni posteriori.

Vediamo infine ancora due opere, che sono del tardo I sec. d.C. - inizio II sec. d.C.
2 Baruc o Apocalisse siriaca di Baruc (il testo ci è pervenuto in siriaco).
Nei capp. 36-37 e poi ancora in 72-74 abbiamo delle visioni escatologiche che fanno perno su Ezechiele 17, la visione del cedro abbattuto e dai cui rami sarà preso e trapiantato un virgulto.
In particolare in 29,3 e 30,1, nel contesto di un'altra visione escatologica, si nomina l'“unto” che deve apparire. Si parla dunque di un “messia”, ma siamo verso l'inizio del II sec. d.C. Su questa figura, però, l'opera non ci dà altre informazioni.

Il libro chiamato
4 Esdra descrive anch'esso delle visioni e parla di un “unto” (unctus: il testo è stato conservato in latino). Si dice ad es. in 12,32: «Quanto al leone che hai visto... esso è il messia (unctus) che l'Altissimo ha riservato per la fine dei giorni e che sorgerà dalla discendenza di Davide».
Così pure si parla di un periodo felice e si cita un “mio figlio messia”, con molte varianti (tra cui anche “mio figlio Gesù”, evidente manipolazione cristiana posteriore). Il testo così afferma «...mio figlio messia sarà rivelato a quanti saranno con lui e coloro che resteranno gioiranno per 400 anni (con varianti, 30 anni o 1000 anni); dopo di essi il messia morirà».
Si prevede quindi un regno messianico, ma con la morte del messia. Il messia non è allora l'ultimo personaggio che realizzerà la salvezza, ma solo il precursore che dominerà per un periodo limitato.
Siamo verso la fine del I sec. d.C., quando effettivamente si accentuano le attese messianiche nell'ambito del giudaismo.



III. Il messianismo a Qumran

La letteratura di Qumran, nonostante i numerosi studi a cui ha dato origine, non rappresenta ovviamente tutto il giudaismo, ma solo una sua frangia tutto sommato ristretta.
Questa letteratura ci presenta diverse figure che possono testimoniare delle funzioni in qualche modo messianiche, ma in fondo non si va oltre a quanto è già presente, sia pure in forma più larvata, nella tradizione precedente.

1) In un passo della Regola della comunità (=1QS9,11) si dice: «Finché giunga il profeta e i messia di Aronne e di Israele» (si noti il plurale “i messia”), mentre altrove si parla del “messia di Aronne e di Israele”(Documento di Damasco (=CD) 12,23-13,1; 14,19; 19,10s.; 19,35-20,1).
Si discute se l'espressione originaria sia “il messia di Aronne e di Israele”, oppure “i messia di Aronne e di Israele” ma molto probabilmente si sviluppa l'idea delle due figure, quella sacerdotale e quella regale, che già si era intravista in Aggeo e Zaccaria e di cui parlano anche i testi apocrifi.

Lo si constata più ampiamente in un altro testo, che si legge nella
Regola dell'assemblea o della congregazione (=1QSa =1Q28a) in 2,11-14.
Accanto a queste due figure compare anche il profeta, come nel testo 1QS9,11 citato sopra, e un altro personaggio il cui compito è quello di interpretare la legge e che si identifica con la “stella” di
Nm 24,17 (così in CD7,18-20) oppure che è posto accanto a un “rampollo di Davide” (4Q Florilegium =4Q174, in 1,11).

La combinazione tra queste varie figure viene talvolta operata con la citazione e l'accostamento di più testi biblici, come ad es. in 4Q
Testimonia (=4Q175), dove si fa riferimento a Dt 18,18-19 (profeta), Nm 24,15-7 (personaggio regale) e Dt 33,8-11 (benedizione di Levi e quindi personaggio sacerdotale).

Se si tende ad esaltare di più la figura sacerdotale, non va dimenticato d'altra parte che anche un discendente di Davide, e quindi una figura regale, assume un suo ruolo e viene esaltata: si veda il testo prima denominato
Benedizioni patriarcali e a cui oggi si preferisce dare il titolo di Pesher (=commento) della Genesi (=4Q252), dove si fa riferimento a Gen 49,10 (in V.1-7).

Infine, nella comunità di Qumran vi è un “maestro di giustizia”, a cui competono vari compiti, tra cui quello di interpretare la Scrittura, ma la sua figura non sembra rientrare tra quelle che hanno funzioni messianiche.


2) Quando però la comunità di Qumran pensa alla soluzione finale della storia, non prevede l'intervento di un messia particolare, e parla piuttosto della guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre, guidati rispettivamente da Michele e Belial, che non sono due figure messianiche. La lotta si svolge tra due gruppi, con la vittoria finale dei figli della luce.
(
Regola della Guerra, il cui testo principale è stato trovato nella prima grotta (1QM), ma va integrato con altri frammenti scoperti nella quarta grotta).

Qumran per certi aspetti partecipa dunque della tradizione delle due figure, sacerdotale e politica, ma non accentua le attese messianiche, anzi quando parla di soluzione finale pensa ad una guerra, con la vittoria dei figli della luce. Quindi il messianismo di Qumran è molto attutito (e per alcuni non esiste neppure).

La storia della comunità di Qumran finisce con la conquista romana; non si sa però se siano stati i Romani a distruggere quell'insediamento o se siano stati i Giudei stessi che hanno posto fine alla comunità all'avvicinarsi dei Romani, nascondendo i rotoli nelle grotte.

D'altra parte il collegamento tra i testi di Qumran, ossia quelli ritrovati nelle grotte, e l'insediamento stesso è di per sé ipotetico, anche se abbastanza spontaneo.
Nell'insediamento, che viene di solito interpretato come la residenza di una comunità di tipo monastico, non si sono trovati testi. La struttura edilizia e soprattutto la presenza di molti lavacri o piscine per la purificazione ha fatto appunto pensare che quella fosse la sede di una comunità religiosa di stretta osservanza, identificata normalmente con un gruppo di “esseni”.



IV. La situazione socio-politica della Palestina (I sec. d.C.) secondo Flavio Giuseppe

Flavio Giuseppe costituisce la fonte letteraria principale per la conoscenza della Palestina del I sec. d.C. (almeno fino alla prima guerra giudaica del 66-70 d.C.) e spesso si fa riferimento ai suoi scritti per rilevare come in quel tempo siano sorti vari movimenti di tipo messianico, guidati da personaggi che vengono visti quindi in questa luce particolare.
Ma esaminiamo più da vicino tali figure.

1) Va tenuto presente, anzitutto, che Giuseppe Flavio è di estrazione aristocratica, ha occupato posti di responsabilità durante la prima guerra giudaica e poi è passato dalla parte dei Romani. Quindi nei suoi scritti egli deve salvare sia la legittimità delle aspirazioni dei Giudei sia il comportamento dei Romani e deve soprattutto giustificare la propria conversione politica.
In quanto aristocratico, egli aveva anche poca comprensione per i movimenti di ordine popolare che sono sorti in quel periodo. La sua è quindi una testimonianza abbastanza tendenziosa, che richiede una buona dose di cautela e soprattutto di esercizio ermeneutico.


2) Quali sono dunque queste figure?

a)
Anzitutto vi sono personaggi che aspirano alla regalità.
Si tratta di Giuda, figlio del capobanda Ezechia, che ha agito all'epoca di Erode Antipa. Costui aveva radunato un certo numero di seguaci a Seffori, in Galilea, aveva assalito il palazzo reale, si era impossessato delle armi che aveva distribuito ai suoi seguaci, ed aspirava alla regalità (
Antichità giudaiche [=A] 17,271s.; Guerra giudaica [=G] 2,56).

Così anche Simone, che era uno schiavo di Erode, si pone il diadema sul proprio capo e viene proclamato re dai suoi seguaci.
Assalta anche lui un palazzo del re, quello di Gerico (A17,273-277; G2,57-59).

Atronge è un uomo di basse origini, pastore, di grande statura, forte; anch'egli aspira alla regalità, ma con esito negativo (A17,278-281.282-284; G2,60-65).

Queste figure si inseriscono nel fenomeno del banditismo di quel momento, il quale va inteso nel contesto sociale della Palestina del I sec. d.C.: non era qualcosa di emarginato o di abnorme, ma alimentava il desiderio di una giustizia sociale più equa.


b) Vi sono poi dei profeti, o meglio pseudoprofeti.
Questi personaggi sono interessanti perché, pur essendo chiamati impostori (ed infatti i loro movimenti hanno fatto fallimento e sono finiti nel sangue), in realtà hanno suscitato nei loro seguaci la speranza in una nuova realizzazione di eventi biblici famosi.

Per es. Teuda, che agisce sotto il procuratore Fado, (44-46 d.C.), persuade molta gente a recarsi al fiume Giordano; diceva di essere profeta e che il fiume si sarebbe diviso, consentendo così il passaggio. Ingannò molta gente, e Fado inviò uno squadrone di cavalleria che ne uccise molti e fece prigionieri gli altri (A20,97s.).
Cioè Teuda voleva ripetere le imprese dell'attraversamento del Giordano all'epoca della conquista. Il suo è quindi un modo, se vogliamo alquanto singolare, di interpretare la Scrittura.
Si tratta molto probabilmente dello stesso personaggio citato in Atti 5,36.

Giuseppe parla poi di un anonimo egiziano che porta i suoi seguaci sul Monte degli Ulivi dicendo che le mura di Gerusalemme sarebbero crollate ed essi sarebbero così potuti entrare nella città per conquistarla (A20,162-172; G2,261-263; cfr. anche
At 21,38).
Ci si riferisce naturalmente alle mura di Gerico che devono cadere per permettere l'ingresso miracoloso del nuovo Israele in Gerusalemme.

Abbiamo infine un anonimo samaritano che si reca sul Garizim e qui dice di scoprire i vasi che Mosè vi aveva nascosto (A20,85- 87).
Ci si richiama ad una tradizione samaritana secondo la quale il profeta di cui si parla nel
Dt 18,15-18 avrebbe nascosto le suppellettili del tempio sul Garizim.
In questo caso è Pilato (26-36 d.C.) che reagisce e reprime il tumulto.


c) Abbiamo poi dei “profeti oracolari”, che predicano grandi catastrofi, come la caduta di Gerusalemme.
Giovanni Battista si può inserire in questa categoria. Giuseppe Flavio parla di lui, ricorda la sua condanna a morte e la prigionia nella fortezza di Macheronte, dovuto al fatto che aveva esortato il re a condurre una vita onesta, a praticare la giustizia e ad unirsi a lui nel battesimo (A18,116-119). Giuseppe non accenna al fatto di Erodiade e di sua figlia, né alla morte del Battista causato dalla richiesta capricciosa di quest'ultima (
Mc 6,17-29).

È singolare poi la figura di Gesù, figlio di Anania, per il quale possiamo citare per esteso il testo di Giuseppe, per farci un'idea di quanto fosse tesa la situazione del momento, e come in essa potessero sorgere personaggi strani e poco credibili (siamo alla vigilia e durante la prima guerra giudaica):
«Quattro anni prima che scoppiasse la guerra, quando la città era al culmine della pace, un contadino rude, Gesù, figlio di Anania, si recò alla festa in cui è d'uso che tutti costruiscano tabernacoli per il dio (=la festa cioè dei tabernacoli) e cominciò a gridare nel tempio: “Una voce da Oriente, una voce da Occidente, una voce dai quattro venti, una voce contro Gerusalemme e il Tempio, una voce contro sposi e spose, una voce contro il popolo intero” (cfr. Geremia, 7,34 e 16,19). Continuava a ripetere questo suo ritornello, nonostante fosse stato catturato e fatto percuotere. Fu trascinato davanti al procuratore Albino da alcuni che pensavano fosse posseduto da una forza soprannaturale, ma egli, ad ogni battitura a cui era sottoposto, continuava a gridare: “Povera Gerusalemme!” Non volle rispondere ad Albino che gli chiedeva chi fosse e da dove venisse, finché Albino, ritenendolo pazzo, lo lasciò andare. Egli ripeté sempre, per sette anni e cinque mesi, il suo ritornello: “Povera Gerusalemme!”, e smise solo all'inizio dell'assedio, quando un giorno, andando in giro sulle mura, gridò a squarciagola: “Ancora una volta, povera la città, povero il popolo e povero il tempio!”, e alla fine soggiunse: “E povero anche me!”: una pietra scagliata da una catapulta lo colpì uccidendolo all'istante, ed egli spirò ripetendo ancora quelle parole» (G2,300-309).
Si tratta di un fanatico che muore sotto i colpi dell'artiglieria romana.
Non si può dire certo che questa sia una figura messianica; è semplicemente un uomo che grida: “Povera Gerusalemme!” ed è egli stesso la prima vittima di quello che dice.


d) Vi sono poi i cosiddetti “filosofi”.
Quando Giuseppe Flavio tratta di quelle che noi chiameremmo correnti, parla di Farisei, Sadducei ed Esseni come filosofie e poi parla di una quarta filosofia fondata da un certo Giuda il Gaulanita che qualcuno ritiene lo stesso Giuda, figlio di Ezechia, che già abbiamo citato.
Costui proveniva da una città chiamata Gamala e con l'aiuto del fariseo di nome Saddoc si diede alla causa della ribellione (siamo poco prima del 10 d.C.), esortando ad astenersi anche dal versamento del sangue, se fosse stato necessario. «Giuda e Saddoc introdussero una quarta scuola di filosofia, con la quale ci portarono alla rovina», dice Giuseppe (A18,4-9). Non era dunque un movimento armato, ed era disposto a sottoporsi al martirio.
«Questa quarta filosofia concorda con quella dei Farisei», dice ancora Giuseppe, «tranne che per un desiderio di libertà. Ritengono che solo Dio è il loro capo e la loro guida. Sono disposti a tutto, anche alla morte, pur di non chiamare nessuno maestro» (A18,23-25; cfr. 02,118). Questo gruppo rifiuta persino una figura particolare di capo carismatico.


e) Bisogna menzionare ancora i movimenti dei sicari e degli zeloti.
Verso la conclusione di questo periodo e durante la presa di Gerusalemme, si fanno particolarmente vivi movimenti già sorti prima, tra cui quelli dei sicari e degli zeloti.
Giuseppe Flavio forse fa un po' confusione tra essi e non lascia capire chiaramente quanti fossero e soprattutto quale influsso reale potessero esercitare.

Normalmente si pensa che il movimento degli zeloti fosse molto ampio e, come dice la stessa parola, fosse molto fanatico, dedito allo “zelo” per la legge e la tradizione, ma si tratta di due attribuzioni che non si addicono alla realtà storica.

I sicari, a loro volta, presero il nome da “sica”, il pugnale che usavano quando, aggirandosi tra la folla di Gerusalemme, lo usavano per uccidere proditoriamente chi volevano. Erano dei terroristi, ma come tutti i movimenti terroristici erano una minoranza (A20,185-188).

Giuseppe cita infine un altro movimento, guidato da Simone figlio di Ghiera. Costui riunisce intorno a sé una banda di briganti. Prima si rifugia a Masada e poi assedia Gerusalemme. Gli vengono rapiti moglie e figli e poi, secondo Giuseppe Flavio, essendo Gerusalemme dominata dagli zeloti e da un gruppo guidato da Giovanni di Giscala, i sommi sacerdoti lo avrebbero chiamato per salvare Gerusalemme.
Simone si sarebbe in effetti impossessato di Gerusalemme e l'avrebbe tenuta sotto controllo, come suo signore (G4,503-584).

Per completare il quadro possiamo accennare ancora a Menahem, figlio di Giuda detto il Galileo, che saccheggiò l'arsenale di Erode ed assediò Gerusalemme dove si comportò da tiranno. Contro di lui si sollevò Eleazaro con i suoi partigiani e lo aggredirono nel tempio. I suoi seguaci fuggirono ed alcuni si rifugiarono a Masada. Menahem si nascose nell'Ofel, dove venne raggiunto ed ucciso (B2.433-448).


3) Giuseppe non riveste mai queste figure di tratti messianici; quando parla di quei personaggi che aspirano alla regalità, non dice mai che sono unti o discendenti di Davide.

Anche le profezie che egli stesso fa non sono di ordine messianico.
Tra queste vi è quella famosa che riguarda Vespasiano imperatore. Giuseppe parla infatti di «un'antica profezia secondo la quale uno proveniente dalla loro nazione sarebbe divenuto padrone del mondo. Essi (=i Giudei) la intesero come se si riferisse a un proprio connazionale, mentre essa si riferiva al dominio di Vespasiano, acclamato imperatore in Giudea» (G6,311-313). Di questa profezia parlano anche Svetonio (Vespasiano, 4,9s.; 5,9) e Tacito (Storie 5,13,2), ma non si sa a quale testo scritturistico essa si riferisca; forse è una libera interpretazione di più testi (tra cui per es.
Gen 49,10; Nm 24,17). IV-4)

In gran parte, questi tumulti sono da collegarsi a movimenti di ordine popolare che intendono instaurare una giustizia sociale nell'ambito del potere esistente.
Non vanno giudicati soltanto come movimenti contrari ai Romani, soprattutto durante l'assedio di Gerusalemme; anzi Giuseppe lascia intendere che questi movimenti talvolta potevano essere anche alleati del potere. Chiedevano solo una giustizia più equa, e in tal senso facevano parte del tessuto sociale di allora, formato soprattutto da uno strato aristocratico più abbiente e uno strato più basso e più povero.
I tratti messianici ed universalistici non sono presenti, e così pure le figure dei
leader non sono rivestite di tratti messianici.



V. Gli scritti rabbinici (e targumici)

Questa letteratura inizia con il II sec. d.C., dopo quella che viene considerata come la seconda rivolta giudaica (132-135 d.C.).

1) Vediamo anzitutto come viene giudicata la figura del capo della seconda guerra giudaica, condotta contro i Romani al tempo dell'imperatore Adriano. Il nome di questo personaggio è Bar Kosiba, ed è stato interpretato come “figlio della menzogna”, in base al verbo kazab che vuoi dire appunto “mentire”, perché ha ingannato il popolo e lo ha condotto al fallimento.
Però lo si era soprannominato anche Bar Kokhba, “figlio della stella”, in base anche alla stella di
Nm 24,17, e gli erano state attribuite caratteristiche messianiche.
In quel periodo erano state coniate monete con la scritta “Simone, principe di Israele”, ed accanto a lui nel primo momento della insurrezione è comparsa anche la figura di un certo Eleazaro, sacerdote, per richiamare probabilmente l'idea della duplice figura, quella politica e quella sacerdotale. Mentre altrove, come a Qumran, si esaltava di più la figura sacerdotale, ora si accentuava di più il compito di quella politica.

Di fatto anche la seconda insurrezione è fallita.
Qualcuno dice addirittura che non vi è stata neppure una vera e propria guerra giudaica; la letteratura giudaica posteriore, ossia le fonti che possediamo, avrebbe rivestito questa seconda rivolta con i termini della prima, per cui essa è passata alla storia come una seconda guerra.
In realtà vi sono state solo piccoli scontri; alcuni gruppi giudaici si erano ritirati nel deserto e non si è trattato della contrapposizione di due eserciti veri e propri.

A proposito del capo del movimento giudaico, è interessante porre l'attenzione su quanto viene riportato dal Talmud gerosolimitano (
Taanit 4,8=68d 48-51): «Simone bar Jochai ha interpretato il nome Bar Kosiba come Bar Kokhba, e lo ha salutato con queste parole: “Questi è il re, il messia”. Ma Johanna bar Torta ha replicato: “Dovrà nascere erba dalle sue mascelle, e il figlio di Davide non sarà ancora venuto”».
Quindi nella tradizione posteriore vi è stato chi ha dubitato del messianismo di Bar Kosiba/Bar Kokhba, che in tal senso è rimasta una figura ambigua.

Il messianismo, come sappiamo, è certo frutto del giudaismo, ma bisogna attendere testi abbastanza recenti, quelli posteriori al II sec. d.C., per vedere formulato un messianismo che, tra l'altro, insiste di più sulla casa di Davide, anziché su un personaggio particolare.

Dobbiamo citare a questo proposito la XIV delle
Diciotto Benedizioni, la preghiera che rappresenta la sintesi del giudaismo: «Nella tua grande misericordia abbi pietà, Signore nostro Dio, di Israele tuo popolo, di Gerusalemme tua città, di Sion dimora della tua gloria, del tuo tempio, della tua abitazione, del regno della casa di Davide, del messia della tua giustizia» (recensione palestinese).
Si accentua di più la dinastia e la prospettiva generale, Gerusalemme più che il messia individuale, come si vede anche dalla recensione babilonese della stessa preghiera (dove diventa la XV della serie): «Fa crescere presto il germoglio di Davide e con il tuo aiuto innalza il corno (=la tua potenza). Sia lode a te, Signore, che fai germogliare un corno (=una potenza) di aiuto».

Quindi si pensa a una dinastia più che a un singolo personaggio e perfino nei
Targumin, ossia nelle versioni aramaiche del testo biblico, si è talvolta molto cauti per quanto riguarda il messia.


2) Nella tradizione rabbinica vi sono poi diversi testi che parlano del messia che è creato prima dalla creazione del mondo, assieme ad altre realtà tipiche di Israele.
Queste realtà variano negli elenchi, ma per es. possono essere queste: il nome del messia, la Torà, la conversione, il giardino dell'Eden, la Geenna, il trono della grazia e il tempio.
Quando si parla del messia anteriore alla fondazione del mondo, lo si fa dunque per analogia con altre realtà fondate prima del mondo, nella tradizione giudaica. Tra queste realtà vi è soprattutto la Sapienza.

In questo modo, il messia (e anche il messianismo) viene a far parte dell'eredità religiosa di Israele, ma solo dopo il II sec. d.C., almeno secondo la testimonianza letteraria, e sulla base di altri elementi caratteristici del patrimonio religioso giudaico.
Il messia e il messianismo non sono in tal senso un punto di partenza, ma un punto di arrivo.



VI. Conclusioni

Possiamo riassumere quanto abbiamo sin qui detto in due punti:

1) La concezione del messianismo si va chiarendo tra il I e II sec. d.C., quindi contemporaneamente alla formazione del NT e anche dopo, e risulta dalla convergenza di figure, immagini e prospettive, assai eterogenee.

Tra l'altro, non c'è alcun testo che ci parli di “messianismo” ossia che usi la parola astratta, mentre la figura del “messia” può essere indicata in varie maniere; il termine che è prevalso è quello di “unto”, e quindi
mashiah (all'ebraica) o cristo (alla greca).

Il messianismo è quindi il frutto di una tradizione che si è formata nel giudaismo attraverso una complessa interpretazione della propria storia e in particolare di un determinato momento di questa storia.


2) II messianismo è nato dunque per interpretare una storia, che è appunto quella giudaica, ossia la storia particolare di un popolo, ma è sopravvissuto nella mentalità comune come interpretazione della storia in generale, perché quella tradizione è diventata normativa non in se stessa ma in quanto ha posto a sua base il testo biblico diventato testo canonico.
Come il testo biblico è diventato testo canonico e normativo così la tradizione del giudaismo che ha utilizzato il testo biblico per interpretare se stessa e formare una concezione del messianismo, è diventata a sua volta canonica o perlomeno normativa e determinante in senso culturale.

Ecco perché il messianismo nella nostra tradizione ha acquistato maggiore importanza di quanto l'abbia acquisita un qualunque testo biblico o addirittura la Bibbia stessa.
Si tratta di uno di quei fenomeni culturali che certamente risalgono alla Bibbia come testo sacro, ma che si debbono attribuire sostanzialmente alla tradizione, pur antica, che ha interpretato la Bibbia e che, per modo di dire, ha dettato legge perché la Bibbia è diventata testo normativo di riferimento.

Se questo è il messianismo, fino a che punto è allora determinante per una visione della storia?
Torniamo così al nostro intento fondamentale con il quale abbiamo iniziato questo corso.
Se il messianismo è frutto dell'interpretazione di una storia contingente, esso avrà senso nell'ambito di questa interpretazione.
Se è sopravvissuto come interpretazione della storia in generale, deve fare un esame di coscienza per vedere a quale storia si riferisce e come intende interpretarla. Quindi il messianismo resta sempre una chiave interpretativa.

Fino a che punto siamo allora legati a questa concezione del messianismo?
In realtà esso è un prodotto della tradizione biblica: se lo riteniamo fondante, dobbiamo spiegare anzitutto perché poniamo il testo biblico a fondamento della nostra tradizione religiosa e culturale.
Una volta chiarito questo, dobbiamo pensare al messianismo come a un tentativo di interpretare il testo biblico in base a una concezione della storia che deve rendersi conto anzitutto dei presupposti che la animano o che la condizionano.



DIBATTITO


1. Ma nel NT si parla di messia e di messianismo

Certo, il NT contribuisce al pari della letteratura di cui già abbiamo parlato, a formare l'idea di messianismo, e a suo modo.
La figura di Gesù come messia è frutto di una interpretazione che si inserisce benissimo in tutta questa corrente. Il NT parla appunto di messia nell'ambito di questa storia e di questo ambiente. Bisogna inoltre vedere come se ne parla, quali immagini si utilizzano per parlare di Gesù come Cristo. A questo punto potremmo dire che il messianismo è frutto della cristologia, cioè di una interpretazione della figura di Cristo perché corrisponde ad alcune aspettative e a quella concezione della storia che sta sempre alla base di tutto questo lavorio.
Il NT a suo modo si colloca dunque nell'ambito di quella tradizione giudaica che fa convergere vari elementi verso una concezione messianica che si esplicita tra il I e il II sec. d.C. Come dicevamo la volta scorsa, non è corretto, perciò, contrapporre il messianismo del NT, come se fosse l'unico o il più eccellente o il più spirituale, a un altro che tale non sarebbe.


2. Si è visto che la storia come tradizione cristallizza, o anche arricchisce, interpreta ulteriormente attraverso i maestri e i vari libri, come un fiume che diventa sempre più ricco e fluente di acqua; però poi queste idee di fatto continuano a vivere da una parte cristallizzate, ma dall'altra con una vivacità e una ricchezza ulteriore. Ma che cos'è questo meccanismo per cui vi è questa capacità di essere fedeli a se stessi ma anche diversi?

Se capisco bene, la domanda chiede se è più influente la Bibbia o quello che deriva dalla Bibbia. Di fatto il contorno della Bibbia ha più influenza della Bibbia stessa, perché se è vero che la Bibbia viene intesa come punto di riferimento, essa rappresenta solo il punto di riferimento di una tradizione religiosa che la costruisce come tale, ossia che la considera come propria base in quanto testo sacro.
La Bibbia cresce in un ambiente storico, ma naturalmente non ci dice tutto di quell'ambiente. Non si può, ad es., pretendere di conoscere la storia e la geografia della Palestina solo in base all'AT. Storicamente non si hanno interruzioni: c'è sempre una tradizione storica che continua, la quale crea la Bibbia e poi la colloca come suo punto di riferimento e ad essa si rifà continuamente.
Prendiamo il NT: come si è costruito? Come interpretazione dell'AT. Non c'era allora un'altra Bibbia. Solo quando la corrente che noi chiamiamo “cristiana” ha preso coscienza di una sua autonomia ha posto alla sua base una serie di scritti “biblici” che ha chiamato AT (quelli per così dire preesistenti) e NT (quelli attraverso cui essa ha interpretato la “Bibbia” preesistente).
Ma dal lato storico sia l'AT sia il NT non sono sufficienti a spiegare o anche a contenere tutta la tradizione religiosa che si è sviluppata attorno ad essi, e che essi stessi hanno contribuito ad alimentare. Da questo punto di vista, si può dire che è la tradizione che “inventa” lo scritto sacro, che a sua volta diventa il suo punto di partenza o di appoggio ideale.
Ciò spiega perché l'influsso maggiore sia esercitato dalla tradizione e non dal testo in se stesso: quest'ultimo sopravvive in quanto soggetto a un continuo lavoro di interpretazione.


3. Per prima cosa faccio una richiesta: sarebbe interessante sapere se esiste una pubblicazione non specialistica dei testi di Qumran. Vengo quindi alla domanda. Nell'ascoltare il panorama delle attese messianiche e non, mi sono ricordato di una risposta della dott.ssa Lea Sestieri, relatrice di un incontro in un precedente corso biblico. Alla domanda: qual è l'età messianica per gli ebrei di oggi? La dott.ssa Sestieri rispose: “Questo è il momento messianico”, aggiungendo che il messianismo doveva costituire l'unità dell'umanità. Le dispiace mettere in relazione questa considerazione della dott.ssa Sestieri con il panorama da lei sviluppato?

Una volta che si è formata la concezione del messianismo, l'ebraismo lo interpreta alla sua maniera. L'ebraismo antico, quello medioevale e quello moderno interpretano il messianismo secondo le loro proprie visuali, per cui si può certo dire che l'età del messianismo è quella di oggi o di domani.
Però è interessante il fatto che di fronte a quella che poteva sembrare una realizzazione messianica, ossia il Sionismo, l'ebraismo ufficiale lo abbia rifiutato, perché il messianismo non può identificarsi con questa contaminazione terrena e politica, e va atteso in un altro momento futuro.
Che l'oggi sia un tempo messianico, lo possiamo dire anche noi. Se il messianismo equivale alla speranza basata su una determinata visione della storia, tutti siamo allora orientati verso la realizzazione messianica. Ma quando, dove e come? Non c'è un interprete legittimo proprio per la natura stessa del messianismo, il quale in realtà non può mai essere identificato con una contingenza storica particolare, né con una persona o con un movimento. Ogni visione della storia che le vuol dare una soluzione escatologica non può mai definire le coordinate spazio-temporali entro cui tale soluzione si realizza.
Per quanto riguarda la pubblicazione dei testi di Qumran, oggi finalmente siamo in grado di avere opere integrali che contengono anche quelli sconosciuti fino a qualche anno fa. In lingua italiana è stato edito il volume curato da Fiorentino García Martínez (in spagnolo) con una traduzione originale dei testi qumranici operata da Corrado Martone:
Testi di Qumran, (Biblica. Testi e studi 4), editrice Paideia, Brescia 1996.


4. Che importanza ha il messianismo per l'umanità? È una curiosità intellettuale che ha un suo fondamento sulla base di studi seri, oppure che cosa? La Chiesa cattolica dice che il Messia è già venuto, però può essere una costruzione mentale della Chiesa cattolica. Ma che importanza può avere, visto le varie interpretazioni, quella dell'ebraismo, quella nostra eventuale, quella della Chiesa cattolica? C'è allora molto di relativo e niente di assoluto?

L'importanza del messianismo per l'umanità dipende dalla validità che la concezione della storia in senso messianico può avere anche per altre culture o altre religioni. Se una determinata tradizione culturale si riconosce in una certa visione della storia, potrà anche formulare una sua visione messianica della storia, così come l'abbiamo noi nella nostra tradizione. È quindi fondamentale l'idea della storia.
Del resto abbiamo cercato di vedere che, quando nel giudaismo si è formata una concezione della storia universale, si sono innescati processi interpretativi che hanno portato alla visione messianica della storia.

La Chiesa cattolica, o meglio il cristianesimo, si rifà ad un NT che interpreta a suo modo il messianismo, ossia tenta eventualmente di ricondurre una certa concezione messianica alla figura di Gesù creando in tal modo una cristologia. La cristologia del NT non è però l'equivalente del messianismo, ma tutt'al più una sua espressione. Il messianismo è una visione della storia più ampia nella quale trova posto anche la cristologia.


5. La Bibbia è stata scritta da uomini ed allora qual è il rapporto tra messianismo ed il divino?

Si può osservare che se la visione della storia è di tipo teocratico, vi può essere coincidenza tra messianismo e divino. Però per quanto concerne il messianismo vero e proprio, la sua natura divina non è chiara nella tradizione, e se prendiamo la figura del messia, essa non è divina di per sé: partecipa della divinità, riceve un incarico, ed è persino soggetta alla morte.


6. Che senso ha la frase “parola di Dio” parlando della Bibbia, anche in rapporto alle altre religioni?

La Bibbia è “parola di Dio” perché nella tradizione religiosa che adotta la Bibbia quest'ultima è parola di Dio, ossia lì si trova il fondamento di se stessi. Però la parola di Dio non è qualcosa che discende materialmente dal cielo.

Ma non mi è chiaro il concetto di “parola di Dio”. Ad es. Dio non può essere sballottato a destra e sinistra, come succede quando un'altra tradizione religiosa dice il contrario della Bibbia. E quando c'è la violenza, francamente non riesco a capire, allora non è parola di Dio.

Noi pensiamo che non sia parola di Dio perché pensiamo che da Dio non deve venire la violenza, in questo modo però siamo noi che creiamo la parola di Dio, così come abbiamo creato il messianismo.
La parola di Dio è in realtà frutto di una tradizione che la formula.



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